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Lo-fi tragedy, non c’è perfezione nell’Ifigenia in Tauride di Gassmann

Recensioni “Escape tragedy” la chiama Jacopo Gassmann la sua "Ifigenia in Tauride" di Euripide, in scena al Teatro greco di Siracusa fino al 4 luglio, con Anna Della Rosa nei panni della vittima di ieri che diventa eroina. Il regista voleva giocare con l'accumulo di paradossi ordito da Euripide, in una scena dove nulla è come sembra, ma è proprio la resa dei magmatici incroci familiari e di popolo, che portano allo scioglimento di gran parte dei dubbi dei protagonisti, a non convincere fino in fondo

Coraggio, astuzia e inganno. Sono questi gli ingredienti principali che condiscono la fuga rocambolesca dei protagonisti di “Ifigenia in Tauride”, la tragedia non-tragedia con cui Euripide rivendica il potere dell’uomo sullo “stravolere” degli dei. E sulla fuga finale dalla barbara terra dei Tauri, che corrisponde all’odierna Crimea (e i russi allora non c’erano, che lo sappia il “professorino di storia” Putin…), di colei che doveva essere vittima innocente di un sacrificio innaturale voluto dal padre Agamennone per soddisfare i voleri divini e poter portare a compimento la guerra di aggressione dei Greci contro Troia, fuga condivisa col fratello Oreste, ritrovato per caso in Tauride insieme con Pilade, amico e cognato in quanto sposo di Elettra, su quella fuga imposta la sua narrazione il regista Jacopo Gassmann, ultimogenito del grande Vittorio, terzo protagonista dietro le quinte della stagione classica 2022, 57a al Teatro Greco di Siracusa della Fondazione Inda (Istituto nazionale del dramma antico). Un’opera poco rappresentata che mancava da Siracusa da ben 40 anni, come sottolineato dal traduttore Giorgio Ieranò.

Anna Della Rosa è Ifigenia, foto Michele Pantano

“Escape tragedy” la chiama Gassmann, anglosassone nella sua formazione da regista, e in questa “fuga per la vittoria”, che vittoria piena alla fine non sarà, il team improvvisato pilotato da Ifigenia, una compassata e mai veramente empatica Anna Della Rosa, vede due comprimari – un timido Ivan Alovisio nei panni di Oreste, e un didascalico Massimo Nicolini nei panni di Pilade – un po’ escursionisti e un po’ rescue team nel loro look, che si compiacciono quasi a contrapporre una solidarietà tutta al maschile contro un piccolo esercito femminile, rappresentato dalla (sua malgrado) sacerdotessa di barbari riti sacrificali per volontà di Artemide e dalle donne greche schiave dei Tauridi (il coro) che da lei dipendono in devozione e pensiero.

Ivan Alovisio (Oreste), foto Carnera

Massimo Nicolini (Pilade), foto Centaro

Un coro rigorosamente in nero (belli i costumi di Gianluca Sbicca) che esalta una scena prevalentemente bianca, firmata da Gregorio Zurla, dominata dal tempio di Artemide rappresentato come un contemporaneo totem dalle linee squadrate con tre finestre elettroniche che raccontano per colori, immagini proiettate e ombre interiori il mood del momento. L’elegante incrocio cromatico fra coro e scena, però, non trova sufficiente spinta dinamica e le 10 attrici che incarnano le schiave greche (Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Brigida Cesareo, Caterina Filograno, Leda Kreider, Marta Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Giulia Mazzarino e Daniela Vitale), dark ladies a metà tra mediterranee madri in lutto perenne e un sabba di streghe assetate di vendetta, restano “schiave” di un’assenza di coordinamento dei movimenti. Siamo ben lontani dall’elegante fluire del ben più corposo coro dell’“Edipo re” di Robert Carsen.

Il coro di schiave greche, foto Carnera

Se l’intento di Jacopo Gassman era quello di mettere in scena al Teatro Greco di Siracusa una tragedia lo-fi con la sua “Ifigenia in Tauride”, lode all’intento ma un dubbio ci pervade fino all’ultima scena. Lo-fi tragedy? Lo-fi è la ricerca della non-perfezione, o dell’imperfezione, come cifra stilistica. E non basta accogliere il pubblico con un stridente pattern di sottofondo di pura distorsione armonica – presagio della cupa ma vibrante colonna sonora dello spettacolo a firma di G.U.P. Alcaro (ancora lui, nell’universo sonoro dell’Inda…) che ben racconta attraverso l’ascolto la tragedia cupa e inquieta che Gassmann ha messo in scena -, per poi chiudere l’opera con il melanconico fatalismo del cantautore americano Bill Callahan, in arte Smog, il quale con la sua “Rock Bottom Riser” ci ricorda, con una sorta di mantra intimo, l’amore per madre, padre e sorelle e il senso di sgomento per averli lasciati al di là di un fiume che divide i destini.

Nelle sue intenzioni Gassmann voleva giocare con l’accumulo di paradossi ordito da Euripide, in una scena dove nulla è come sembra, ma è proprio la resa dei magmatici incroci familiari e di popolo, che passo dopo passo portano allo scioglimento di gran parte dei dubbi che pervadono i protagonisti, a non convincere fino in fondo. Coro a parte, l’imperfezione campeggia nel serrato dialogo fra fratelli, quando Ifigenia e Oreste, ancora ignari delle sorti reciproche, sembrano quasi calarsi in un a tu per tu da soap che per un teatro di parola di questo livello stride quando finisce per suscitare più volte una spontanea risata del pubblico, per giunta nei momenti di maggior pathos del confronto. Una reazione di quanti nel pubblico conoscevano bene i multistrati del testo di Euripide? Ne dubito.

Ivan Alovisio (Oreste) e Anna Della Rosa (Ifigenia), foto Centaro

Forse una condizione se non voluta quantomeno accettata dal regista, forte di una traduzione moderna di Giorgio Ieranò, per una tragedia non-tragedia, dove alla fine in scena non muore nessuno. Ma il pathos dell’incontro fortuito dei due fratelli, che doveva rappresentare il culmine, il vero coup de theatre dell’Ifigenia in Tauride, la quintessenza del teatro addirittura per Aristotele, come spiega bene Ieranò, sulla scena del teatro greco siracusano alla fine perde per strada l’emozione del romanzo, di quel fogliettone popolare ante litteram che sta alla base del racconto, che vede pian piano la trasformazione della vittima di ieri, poi divenuta sacerdotessa di morte per volontà divina, in eroina.

Ivan Alovisio (Oreste) e Anna Della Rosa (Ifigenia), foto Ballarino

Non regge il crescendo il tono della voce di Anna Della Rosa, acusticamente imperfetta a sostenere il doppio registro di Ifigenia, aulicamente drammatico nei confronti della dea Artemide o del re dei Tauri Toante (l’ovunque presente Stefano Santospago, una voce, una garanzia, ormai conclamato re siracusano dei ruoli comprimari), più umana e donna tout court nei confronti degli affetti personali Oreste e Pilade, e nei confronti delle amate ancelle greche.

Anna Della Rosa (Ifigenia), foto Pantano



Alla fine finisce per aggiunge sapido colore il messaggero, un ironico e sopra le righe Rosario Tedesco, che accorre in scena vestito da tecnico del suono e che introduce l’esaltante finale multimediale che ha finalmente il giusto ritmo per dettare la morale dell’opera affidata alla voce fuori campo della dea Atena, colei che alla fine dell’Orestea con il novello tribunale dell’Areopago aveva già salvato Oreste dall’accusa di omicidio della madre Clitennestra, e che riesce a far desistere il re Toante dall’intento di riprendersi a tutti i costi la statua della dea Artemide che i tre fuggiaschi, con l’inganno, stanno riportando in Grecia, la “conditio sine qua non” che il dio Apollo aveva dettato a Oreste per poter sfuggire alle ire tormentose delle Erinni.

Stefano Santospago (Toante) e Rosario Tedesco (messaggero), foto Pantano

Stefano Santospago (Toante) e Rosario Tedesco (messaggero), foto Ballarino

Gassmann, grande appassionato di filosofia, nelle sue intenzioni voleva sottolineare l’aspetto filosofico di Euripide, sensibile ai tempi alle tematiche della sofistica che sottolineava le mille tragiche contraddizioni della realtà. E in questo il regista romano ha rispettato il gioco incalzante fra dubbi, domande e contraddizioni che finiscono per salvare i due fratelli, sull’orlo di una crisi di nervi per questa errata percezione iniziale della realtà; si credono morti reciprocamente e alla fine si ritrovano non solo vivi ma desiderosi di dettare il proprio destino. E quando un greco antico fugge da una terra di barbarie il destino è fatto anche di progresso, soprattutto culturale: le immagini sul video-wall e gli oggetti in scena, compreso un grammofono, richiamano una storia in movimento fatta di arte, letteratura e musica, la grecità classica così come l’abbiamo conosciuta. Un destino, comunque, segnato alla fine dalla volontà divina perché se Oreste sì vedrà espiata la colpa del peccato matricida, come Apollo aveva voluto, Ifigenia resterà sacerdotessa di Artemide, questa volta di pace, nel tempio di Brauron dove sarà sepolta. Se non una vittoria piena, un pareggio che accontenta tutti.

Anna Della Rosa (Ifigenia), foto Centaro

E teatro nel teatro, Ifigenia, Oreste e Pilade si ritrovano in abiti contemporanei spettatori su poltroncine rosse delle proprie esistenze. L’eccitazione del pericolo è sempre lo spettacolo più bello del mondo. Il Teatro greco di Siracusa, pieno ma non stracolmo, ha salutato fra gli applausi il lavoro dell’intero cast.

Ivan Alovisio (Oreste), Anna Della Rosa (Ifigenia) e Massimo Nicolini (Pilade), foto Pantano

“Ifigenia in Tauride” replica al Teatro Greco di Siracusa, a giorni alterni, fino al 4 luglio per poi spostarsi al Teatro grande di Pompei, il 15 e il 16 luglio, in chiusura di Pompeii Theatrum Mundi, la rassegna estiva del Teatro di Napoli diretto da Roberto Andò. Il 15 settembre andrà in scena al Teatro romano di Verona.

Un momento dello spettacolo, foto Pantano



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