A Siracusa l’Ifigenia in Tauride di Jacopo Gassman
Dopo “Agamennone” di Eschilo, con la regia di Davide Livermore, ed “Edipo Re” di Sofocle, con la regia di Robert Carsen, terzo grande debutto nella cinquantasettesima stagione di rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa. A giorni alterni, dal 17 giugno al 4 luglio la Fondazione Inda mette in scena “Ifigenia in Tauride” di Euripide con la regia di Jacopo Gassmann, nella traduzione di Giorgio Ieranò; un testo, come dice il regista, «costellato di domande e contraddizioni, una escape tragedy, una fuga rocambolesca da una terra dove apparentemente si compiono sacrifici umani ma che, a uno sguardo più approfondito, rivelerà una natura molto più ambigua e sfuggente».
Jacopo Gassmann parla di Ifigenia in Tauride
La prima figlia di Agamennone, Ifigenia, che tutti credono morta, vive nella remota Tauride. La dea Artemide l’aveva salvata, sostituendola con una cerva e portandola lontano dall’Aulide nell’attimo in cui il padre la stava sacrificando. Ifigenia lo narra nel prologo, descrivendo la sua dolorosa condizione di sacerdotessa di Artemide, straniera in un paese straniero, costretta a sacrifici umani. Il fratello Oreste, in fuga dalle Erinni, approda in Tauride con Pilade e sfugge al sacrificio perché riconosce la sorella. I tre beffano il re locale, Toante, e fuggono per mare.
Nel cast Anna Della Rosa (Ifigenia), Ivan Alovisio (Oreste), Massimo Nicolini (Pilade), Alessio Esposito (Bovaro), Stefano Santospago (Toante), Rosario Tedesco (Messaggero), Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Brigida Cesareo, Caterina Filograno, Marta Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Leda Kreider, Giulia Mazzarino, e Daniela Vitale (Coro di schiave greche), Guido Bison, Gabriele Crisafulli, Domenico Lamparelli, Matteo Magatti, Jacopo Sarotti e Damiano Venuto (Coro dei Tauri). Le scene sono di Gregorio Zurla, visual designer sono Luca Brinchi e Daniele Spanò, i costumi di Gianluca Sbicca, il progetto sonoro di G.U.P. Alcaro, il disegno luci di Gianni Staropoli, movimento e coreografie di Marco Angelilli, regista assistente è Mario Scandale, maestro del coro è Bruno De Franceschi, direttore di scena è Nanni Ragusa.
Le note di regia di Jacopo Gassmann
«Come scrive Mario Untersteiner, la sofistica “è l’espressione naturale di una coscienza nuova pronta adavvertire quanto contraddittoria e perciò tragica sia la realtà”. Euripide, il filosofo della scena, conosceva bene i sofisti e scrisse questo dramma straordinariamentedenso e problematico in un momento di profonda crisi della cultura e della società ateniese. Ifigenia in Tauride è infatti un testo costellato di domande e contraddizioni, a partire dalla sua natura stilisticamente ibrida. È una tragedia scura e inquieta che si trasforma improvvisamente in una “escape tragedy”, una sorta di fuga rocambolesca da una terra dove apparentemente si compiono sacrifici umani ma che, a uno sguardo più approfondito, rivelerà una natura molto più ambigua e sfuggente. Ci troviamo infatti in un luogo dove niente è quel che sembra: i sogni si rivelano ingannevoli, i rituali sono falsi, gli Elleni sono barbarizzati, i Tauri ellenizzati e i paradossi si accumulano. Euripide gioca qui con lo spettatore, prima mandando in corto circuito la nostra percezione (qual è la natura della realtà e come possiamo stabilirla se il linguaggio ci inganna e la verità si nasconde?) e poi chiamando in causa la nostra memoria culturale. Ifigenia in Tauride infatti prende spunto dall’Orestiade di Eschilo ma devia dai fatti noti, li riscrive, li problematizza. I personaggi hanno una funzione metamitologica: parlano di se stessi in terza persona, sono fin troppo consapevoli dei loro miti e dei loro riti. Sembrano quasi uscire da un grande archivio borgesiano fatto di storie e sentieri alternativi, di citazioni di citazioni. A un certo punto, da vittime del dramma, diventano scrittori e registi stessi del testo, sfondando l’illusione scenica nel tentativo di dare un senso agli eventi. Per finire, Ifigenia in Tauride è un testo, a mio avviso, profondamente toccante perché è una storia di figli. Ifigenia e Oreste sono le ultime vittime di una dinastia sciagurata, una dinastia senza più padri, incui si è versato molto sangue. Restano solo loro a vagare in questa terra di nessuno, inquieti e pieni didomande, sotto un cielo plumbeo, che sembra non avere più risposte».
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