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Roberto Toro, chef neostellato Michelin: «Volevo costruire qualcosa di buono nella mia Sicilia. Così è nato l’Otto Geleng»

In cucina Roberto Toro, da Palagonia all'Europa per tornare in Sicilia, a Taormina, dove è diventato chef del Belmond Grand Hotel Timeo creando nel 2018 l'Otto Geleng, cucina creativa per soli 8 tavoli, tra lo Jonio e l'Etna: «A tutti i miei ragazzi va il mio primo grazie per aver creduto in me, per la loro dedizione e le ore passate in cucina»

Tra le nuove stelle della guida Rossa Michelin che brillano sulla Sicilia c’è anche quella dell’Otto Geleng, ristorante del Belmond Grand Hotel Timeo di Taormina con soli otto tavoli apparecchiati nella splendida terrazza affacciata sullo Jonio e vista sull’Etna. L’Otto Geleng, che deve il nome al pittore tedesco che intuì le potenzialità della Perla dello Jonio, è l’avamposto gourmet in cui Roberto Toro, Executive Chef di tutto il Belmond Grand Hotel Timeo, esprime tutta la sua creatività. Tanto che, a poco più di un anno dall’inaugurazione datata giugno 2018, e in soli otto mesi di apertura stagionale, è arrivato il riconoscimento della Michelin.

Il neostellato chef Roberto Toro a Piacenza durante la presentazione della Guida Michelin 2020

«La soddisfazione è grande sia da parte mia, sia da parte di tutto il team. Ci abbiamo sempre creduto tutti e abbiamo lavorato sodo e con umiltà tenendo sempre i piedi per terra. Quando lo si fa, i riconoscimenti arrivano», afferma con orgoglio Roberto Toro sotto la cui gestione l’Otto Geleng ha già ricevuto il premio Barawards 2018 per il miglior ristorante d’hotel. L’umiltà e la pazienza sono due delle caratteristiche dello chef neostellato. «È quello che mi è stato insegnato da piccolo – si schernisce – e io ho cercato di trasmetterlo a chi lavora con me da anni».

I nuovi chef stellati 2020, Roberto Toro è il secondo, seduto, da destra

Andrea Turiano, sous chef dell’Otto Geleng

I successi non sono mai soltanto dello chef…
«Sarebbe un errore pensarlo. Senza tutti i miei ragazzi non varrei nulla ed è a loro che va il mio primo grazie per aver creduto in me, per la loro dedizione e le ore passate in cucina. E non parlo soltanto dello staff dell’Otto Geleng (di cui fanno parte il sous chef Andrea Turiano, la sommelier Simona Di Goro e il maître Giuseppe Privitera, nda) ma di quello di tutti coloro che lavorano nelle tre cucine dell’hotel perché solo la loro professionalità mi permette di potermi dedicare serenamente anche all’Otto Geleng».

Simona Di Goro, sommellier dell’Otto Geleng

Giuseppe Privitera, maitre dell’Otto Geleng

Come e quando è nato il progetto Otto Geleng?
«Lavoravamo al progetto da tempo e quando l’anno scorso è arrivato l’appoggio dell’amministratore delegato Robert Koren, Senior vice president Emea di Belmond, abbiamo accelerato ed eccoci qui a festeggiare un risultato cui tutti abbiamo creduto».

Ma lei ci ha creduto più di ogni altro…
«Io ci ho creduto dal primo giorno in cui ho messo piede al Timeo di cui ormai faccio parte della mobilia. Quando sono arrivato nel 2006 la ristorazione era completamente diversa da quella cui ero abituato, ma in me c’era un forte desiderio di rimanere in Sicilia e di costruire qualcosa di buono. Mi sono fatto forte della mia testardaggine, sapevo che le cose prima o poi sarebbero cambiate: nel 2013 mi hanno dato le redini delle cucine e un anno fa è nato l’Otto Geleng».

L’Etna vista dal ristorante Otto Geleng di Taormina

La sua testardaggine l’ha portata da Palagonia in giro per l’Europa.
«Dopo aver frequentato la scuola alberghiera a Giarre volevo fare esperienza per confrontarmi con modi diversi di pensare la cucina per poi tornare ad affermarmi nella mia terra. Così ho mandato tanti curricula, mi ha risposto il Noma e sono partito per Copenaghen dove per tre anni ho lavorato come commis, all’inizio andavo a scuola di danese al mattino e lavoravo al pomeriggio. Poi ho trascorso un anno all’Hilton, sempre a Copenaghen; da lì mi sono spostato al Louis XIII a Parigi e poi da Alajmo».

Cos’ha imparato in ognuno di questi posti?
«Al Noma ho imparato il rigore e che si può fare grande cucina anche quando non si hanno a disposizione grandi materie prime. In Francia, invece, il rispetto per le materie prime che, però, io ho sempre avuto perché vengo da una famiglia di contadini e so quali sacrifici sono necessari per mettere il cibo in tavola. Io e i miei fratelli andavamo a lavorare i campi con mio padre Salvatore che non c’è più e cui dedico questo mio successo. Da mia madre ho imparato come trasformare rispettosamente la materia prima. Da Massimiliano Alajmo ho imparato, ancora di più, l’umiltà, e la presenza costante in cucina: lui era sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via».

Roberto Toro

Un’altra immagine di Roberto Toro

Oggi, però, molti chef si dividono tra televisione, show cooking, consulenze.
«Ritengo che l’esposizione mediatica di alcuni chef abbia contribuito ad avvicinare le persone all’enogastronomia. Purtroppo, però, molti programmi fanno passare un messaggio distorto perché le cucine non sono un inferno, ma esigono sacrifici e nessuno può “arrivare” dall’oggi al domani, senza gavetta».

Se lei dovesse definire la sua cucina?
«La mia cucina parte da prodotti territoriali e non che cerco di miscelare facendo tesoro delle mie esperienze. Un esempio su tutti è il maialino nero dei Nebrodi che servo con mandorla pizzuta d’Avola e una riduzione di maialino con aggiunta di soia che spinge il sapore esaltando il prodotto».

Il suo signature?
«I miei piatti sono tutti figli. Se devo sceglierne uno è il baccalà alla ghiotta che ho destrutturato e presento con baccalà cotto a bassa temperatura, crema con olive disidradate e olio extravergine di oliva, estratto di ciliegino, spuma di patata e capperi in polvere».

Il baccalà, piatto principe di Roberto Toro

Quanto le è servita la ribalta mediatica conseguente al pranzo del G7?
«Nella vita non c’è nulla di inutile, anche dalle esperienze negative si può trarre qualcosa di positivo. Quella è stata un’esperienza unica e irripetibile ed è stata una meravigliosa vetrina per me, per il Belmond Grand Hotel Timeo. A quell’evento è seguito l’invito a Washington, sei serate a quattro mani con chef stellati, la presentazione del mio libro “Piacìri”».

Roberto Toro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il G7 di Taormina del 2017

Che fine hanno fatto i tortelli di pecorino liquido, basilico e gambero rosso di Mazara che erano piaciuti tanto a Trump?
«Li ho tenuti in carta la scorsa estate, adesso li servo in un altro ristorante perché c’è gente che arriva da lontano per assaggiarli».

Roberto Toro e i suoi famosi tortelli

Qual è la spinta che ha ricevuto dalla stella Michelin?
«Felicità a parte, so che domani continueremo a lavorare a testa bassa cercando di continuare a migliorarci. Personalmente per me non cambia nulla, sono lo stesso di prima».

Cosa farà quando tutti i ristoranti del Belmond Grand Hotel Timeo saranno chiusi?
«L’Otto Geleng è stato chiuso 20 giorni fa, il 5 gennaio chiude l’hotel e per un mese mi dedicherò a mia moglie e ai miei due figli che mi vedono davvero poco e sono coloro che mi danno la forza. Poi andrò a fare attività di comunicazione con il Belmond negli Stati Uniti e poi visiterò altri ristoranti».

Il primo?
«L’Osteria Francescana di Massimo Bottura».

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