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Giletti Mezzojuso mezzo narciso

Blog Come se bastasse la tv ma non è così che si fa. Mi sento offeso come siciliano e come spettatore. Nella nuova puntata in diretta dalla piazza di Mezzojuso di "Non è l'Arena" sulla vicenda delle sorelle Napoli vitime della mafia locale, Giletti assume una spocchia di superiorità spavalda davanti alle belve sicule, mafiose e ottuse. Ma della Mezzojuso che non ha votato consiglio e giunta sciolti per mafia non sappiamo niente

Riassunto delle puntate precedenti. Per chi non l’avesse seguito in tv. Massimo Giletti si è intestata una battaglia personale a favore delle sorelle Napoli di Mezzojuso (Palermo). Queste tre figliole, Ina, Irene ed Anna, proprietarie di un grande appezzamento di terreno avuto in eredità dal padre, subiscono sin dal 2006 una serie di intimidazioni ed atti vandalici, per allontanarle violentemente da quelle terre, parrebbe a cura della mafia dei pascoli locale. Non ci sono ancora prove schiaccianti e condanne definitive. Ma c’è una indagine in corso e sta di fatto che il consiglio dei ministri, ai primi di dicembre, ha sciolto per mafia il consiglio comunale di Mezzojuso guidato da un sindaco agguerrito; che a sua volta conduce la sua battaglia personale a suon di insulti e querele contro Giletti, ritenuto responsabile di questa “infame guerra mediatica contro il suo paese” apostrofandolo spesso come un farabutto. 

La puntata di “Non è l’Arena” del 18 dicembre

Il conduttore di Non è l’Arena, oltre ad invitare le sorelle in studio a Roma, ha portato le telecamere di La7 direttamente nella piazza del paesino palermitano realizzando almeno due trasmissioni che sono state delle vere e proprie maratone televisive di oltre tre ore l’una. L’ultima mercoledì 18 dicembre. Sul palco oltre a Giletti e alle tre sorelle, il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, la ex deputata forzista Nunzia De Girolamo e lo scrittore siciliano Pietrangelo Buttafuoco. Confesso che fa molta tristezza assistere a questi spettacoli. Per la dubbia qualità e per la superficialità di come sono gestiti. Ciò che restituisce la diretta, o che almeno Giletti interpreta, è l’immagine di un conduttore, coraggioso paladino e strenuo difensore di donne sole, deboli e abbandonate che lottano contro un gruppo di mafiosi e contro tutti i loro concittadini. È vero. Le tre donne sono un tantino antipatiche e scostanti. Ma fino a quando il legislatore non codificherà l’antipatia come reato, passibile di multe e sanzioni, loro hanno pieni diritti in seno alla comunità in cui vivono. Meritano rispetto e legalità. 

Le telecamere inquadrano un gruppo di un centinaio di persone urlanti sotto il palco. Spesso solidarizzano col sindaco. Un po’ scalmanate un po’ risolenti. Mi sono chiesto più volte se è tutto lì il paesino. Se tutta quella comunità è rappresentata da questo sparuto nugolo di persone che (a parer mio) potrebbe essere benissimo dei sostenitori del primo cittadino, che proprio, in quanto eletto, avrà ovviamente la sua clac. Sennò chi glielo ha messo lì in Comune, lo Spirito Santo?! Quelli sono i suoi elettori. Sostengono quella persona e le sue tesi, tutte contrarie alle Napoli. Sembrano quelle solite faccende di paese, che noi paesani del Sud conosciamo benissimo. Fatte di storie ataviche, parentele in conflitto, cose non dette, simpatie, antipatie. Antichi rancori. Se non fosse che qui aleggia quella maledetta parola che ci fa così brutti, sporchi e cattivi agli occhi del mondo: MAFIA. 

Ma non sarebbe il caso di andarci un po’ con le pinze? Di approfondire bene? È veramente quello tutto il paese di Mezzojuso?? Quella comunità è tutta sotto quel palco? La pensano effettivamente tutti così? Come sembra?? Si è mai posta questa domanda il conduttore? Ha affrontato una seria indagine conoscitiva dell’ “altro” paese? Di quello non inquadrato? Di chi non ha votato quel sindaco per esempio?? Assolutamente no! O almeno Giletti non ce lo ha raccontato. Egli sa quanto sia delicata la rappresentazione di una realtà complessa, soprattutto in luoghi dove la manifestazione del pensiero non è poi storicamente così libera e scontata. La televisione ha il grande potere di accendere riflettori su zone oscure e grigie, ma anche quello terribile di sbattere il mostro in prima pagina, senza filtri, senza contraddittorio, se non si hanno apparati critici e di indagine di un certo rilievo e valore.

Giletti dà l’idea per tutta la diretta di essere su quel palco non tanto per capire, approfondire, svelare i maledetti gangli che attanagliano questo come i tanti luoghi del Sud, ma quasi per metterli alla berlina, sputtanarli, punirli, fare spettacolo. Si serve addirittura di un collegamento con un gruppo di cittadini di Troina, sindaco compreso, con tutt’altro atteggiamento di rottura nei confronti della delinquenza. Per umiliare ancora di più i mezzojusari. In cambio di una manciata di audience e di punti di share. Egli entra come un elefante, o meglio come un ballerino maldestro in quel museo di cristallerie che è il Sud Italia, dove i secoli hanno depositato scorie, pezzi di vetro e diamanti lucenti e taglienti, preziosi quanto pericolosi, da maneggiare con massima cura ed attenzione. Retaggi e risentimenti, modi di dire di vivere e di morire per i quali c’è bisogno di altro tipo di intervento, compreso ovviamente quello duro e repressivo della macchina della giustizia. Ma non solo, non solo! 

Come se bastasse la tv, vien da dire. Giletti ha quello come strumento, solo quello. E quello usa, brandendolo come una clava addosso a chi gli capita davanti. Lui che è il prodotto e il degno rappresentante della TV delle futilità e delle semplificazioni, dei giochi a premi e del bell’applauso, del varietà e della pubblicità, indossa a sbafo i panni che sono stati di Dalla Chiesa (non a caso ha la figlia collegata in diretta per carpirne la benedizione). Ma anche quelli di Falcone, Borsellino, Livatino e tutta quella lunghissima schiera di persone serie e silenziose, che nel chiuso della propria coscienza e solitudine, mai a favore di telecamera, hanno combattuto fino al sacrificio estremo, le organizzazioni mafiose. Ma si traveste anche da Santoro, sembra a tratti un giornalista di Report senza averne il fisico del ruolo.

Irene, Ina e Anna Napoli

Non è così che si fa. Mi sento offeso come siciliano e come spettatore. Mi sarei aspettato di più anche dallo scaltrissimo Buttafuoco, intento al solito barcamenarsi alla ricerca dell’approvazione generale. Tiene a precisare varie volte di essere siciliano, per chiamare un paio di applausi che puntualmente arrivano. Certo, qualcuno, visto il suo accento bergamasco, avrebbe potuto equivocare. Poi si arrampica su una serie di considerazioni arzigogolate, incomprensibili e da azzeccacarbugli per tenersi buono i contestatori, ma anche il conduttore che lo ha invitato. Il diavolo e l’acqua santa. La piazza e La sette. In pratica sta con tutti, come spesso gli avviene di fare in TV.

Giletti ora indossa i panni di Cavour (da bravo torinese qual è) e di Bixio. Assume quella spocchia di superiorità spavalda davanti a queste belve sicule, mafiose e ottuse. Hic sunt leones. Il suo plotone di esecuzione imbraccia le telecamere anziché il fucile. Scende in mezzo alla gente, sfida le prime file di facinorosi che lo contestano. Si rivolge alla signora con la giacca verde, a quello che sbraita, sembra quasi lo voglia picchiare. Grande momento di tv verità, o spazzatura; fate voi. Chiede il motivo di quell’ astio. Per la verità parla solo lui e non cede manco per un attimo il microfono per evitare magari che quelle motivazioni possano in qualche modo metterlo in difficoltà.

Bada bene: le sorelle Napoli sono tre donne che hanno subito e continuano a subire le angherie di gruppi malavitosi. Più o meno strutturati, più o meno pericolosi. A loro va tutta la solidarietà e il sostegno della giustizia, delle persone oneste e per bene. Bisogna proteggerle adeguatamente, anche con una scorta armata se è il caso, mettere al sicuro i loro averi e il loro lavoro. Verificare con indagini accurate le responsabilità combattere i reati e punire fermamente i colpevoli.

Quello in cui non crediamo e che francamente ci urta è assistere a questi spettacoli indegni. Questa televisione che diventa a turno aula di tribunale, per divorzi e tradimenti; con tanto di giudice togato e giuria popolare; ring a cielo aperto con orde di scalmanati che affrontano le bande rivali a suon di insulti e minacce a squarciagola; insindacabile selezionatrice di talenti canori e artistici, dove dietro versamenti ingenti di denaro si costruiscono successi clamorosi quanto effimeri e inutili di cantautori e show girl.

Queste sono solo pantomime di bassa lega. Portarci dentro la vita vera, quella fatta di nervi e di sangue, di lacrime e dolore, di persone vere, con i loro vizi e talenti, con le storie complesse e travagliate è solo una farsa ignobile. Non basta la diretta tv, le telecamere, i microfoni e cerone. Questa terra paradisiaca e maledetta ha bisogno di un approccio serio e complesso per tentare di affrontare finalmente i problemi secolari e complessi che la attanagliano. C’è bisogno di cultura più che di tv, di teatro, di musica, di arte, di scuola, più che di Giletti.

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