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Sciascianamente vostro, Franco Maresco

Blog Nella sua destrutturazione della contemporanea Palermo dell’antimafia, in "La mafia non è più quella di una volta" Franco Maresco sembra ben tenere a mente il celebre articolo firmato da Leonardo Sciascia pubblicato dal “Corriere della sera” il 10 gennaio 1987. Articolo, titolato allora dal giornale milanese, in maniera un po’ “estesa”, I professionisti dell’antimafia, che, 32 anni dopo, fa discutere ancora oggi

Uscendo dalla multisala Margherita di Acireale, dove ha aperto la 18° edizione del festival Magma,  l’ultimo film di Franco Maresco La mafia non è più quella di una volta, mi ha trasmesso un forte input, come dire, di… familiarità. E non intendo che l’ultimo docu-film del regista palermitano assomigli a qualche altra opera da lui stesso firmata, o a quella di chiunque altro. No, non è questo, anche se l’ultima opera di Maresco, premiata a Venezia col premio speciale della giuria, è un ovvio sequel di Belluscone – Una storia siciliana del 2014.

No, non è una questione di déjà vu. E’ una costruzione logica del film che mi ricorda tanto un’altra opera del pensiero. Poi, l’illuminazione. Certo, nella sua destrutturazione della contemporanea Palermo dell’antimafia, Maresco sembra ben tenere a mente il celebre articolo firmato da Leonardo Sciascia pubblicato dal “Corriere della sera” il 10 gennaio 1987. Articolo, titolato allora dal giornale milanese, in maniera un po’ “estesa”, I professionisti dell’antimafia, che, 32 anni dopo, fa discutere ancora oggi.

Franco Maresco

In quell’articolo, pervaso da una non riverenza di fondo verso uomini universalmente riconosciuti come “superiori” e moralmente intoccabili, e che ha sdoganato un modo di dire che ancora oggi tanta politica usa a sproposito per propri fini di bottega, l’intellettuale di Racalmuto in sintesi sosteneva che in Italia, dalle azioni militari del fascista prefetto Mori fino al pubblico rinnegamento della Dc più collusa se non complice della criminalità organizzata della “primavera di Palermo” di Leoluca Orlando, l’antimafia era “uno strumento di potere”; vuoi per radicare una dittatura (il fascismo) che usava i campieri rappresentanti dei proprietari terrieri collusi con la mafia per far piazza pulita dei ogni tipo di “disordine” interno che veniva subito bollato come “mafioso”; vuoi per portare avanti, in piena democrazia, una gestione della cosa pubblica che ammantata dal crisma dell’antimafia “poteva permettersi” – era il pensiero di Sciascia –  anche lacune amministrative più o meno evidenti. Sciascia nel famoso articolo arriva a sostenere che il fatto di essersi occupato prevalentemente di azioni anti-mafia abbia in qualche modo favorito la nomina a Procuratore della Repubblica di Marsala di Paolo Borsellino, permettendogli di arrivare alla nomina prima di altri suoi colleghi magistrati più anziani, nonostante “la minore anzianità del dottor Borsellino”.

In sostanza tanto sbattersi in giro, ma non col vero fine ultimo di eliminare il cancro criminale. O l’antimafia come vessillo, al di là di ogni concreto risultato. Fin qui Sciascia. Maresco la sua reprimenda la spinge oltre fino a farla diventare iconoclastia, e l’unica persona in comune fra i due è l’ancora oggi sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Ma più che Orlando, nel mirino di Maresco c’è tutta la Palermo antimafia a cui, almeno, affida d’ufficio un avvocato difensore, la sempre battagliera fotografa Letizia Battaglia, la quale dall’alto dei suoi 83 anni ne ha di lotte sulle spalle in difesa del sogno di una Palermo più civile e meno compromessa con gli interessi criminali. Maresco, però, a differenza di Sciascia, e 30 anni dopo (il film parte nel 2017 con le celebrazioni dei 25 anni delle stragi del 1992) si fa prendere la mano dal nichilismo. Ed ecco che la stessa Battaglia è la prima a tornare, malvolentieri, per pentirsene un attimo dopo, sotto l’Albero Falcone durante l’ennesima colorita e rumorosa manifestazione per il 23 maggio. Troppa caciara per lei, poco raccoglimento vero. Commossa, e rabbiosa, la Battaglia si lascia andare ad un “forse ho vissuto troppo” per poter sopportare tutto questo, ovvero un impegno che in fine dei conti risulta quasi di facciata e che risultati concreti nella società ne ha portati ben pochi.

Ciccio Mira in “La mafia non è più quella di una volta”

Nel suo modo paradossale, Maresco, torna con la sua macchina da presa allo Zen, anzi allo Zen 2, la parte più emarginata di Palermo dove la parola “antimafia” non può albergare manco nei macchiettistici spettacoli di avanspettacolo vecchia maniera organizzati dal solito Ciccio Mira, l’impresario dei neomelodici, con tanto di Falcone e Borsellino stampati sul palco. Tutto diventa farsa, barzelletta, freak show. Ciccio Mira, gia conosciuto dal pubblico cinematografico in “Belluscone”, dove mostrava con orgoglio le zone dove il berlusconismo in Sicilia era una fede, adesso è un protagonista borderline di quella Palermo che non si fa troppi scrupoli a lavorare sia con i promotori della legalità sia con l’esatto opposto. Anzi arriva a rimpiangere la “mafia di una volta”, della serie “si stava meglio quando si stava peggio”. Anche qui si fa caciara, stavolta in maniera volgare e triviale, ma alla fine sempre di caciara si tratta, con l’immagine dei due santi laici siciliani brutalizzata sulle teste di questi pupi di periferia.

La furia iconoclasta di Maresco arriva a mettere in cattiva luce anche l’amica Letizia Battaglia quando la stessa si scontra con la cinica indifferenza degli abitanti dello Zen 2 ai quali non solo di dire “abbasso la mafia” non gliene può fregare di meno, anzi incalzano, davanti alla difesa d’ufficio di Orlando da parte della fotografa, accusando il “Comune”, chiunque esso sia, chiunque sia il sindaco, di non avere fatto nulla per loro. E come dar loro torto, perché lo Zen 2 tutt’oggi resta uno schifo di posto, dove viverci è allucinante. Che poi, come per la napoletana Scampia, tanta popolazione che ci vive o è criminale, o è collusa o incapace di opporsi allo strapotere criminale, poco importa, perché alla fine il risultato è che un pezzo di città (e lo stesso discorso si può estendere a tante altri città siciliane) non solo fa schifo dal punto di vista urbanistico e sociale, ma è pure in mano agli spacciatori della mafia. E lo Stato, non solo il Comune, non è in grado di opporsi, figuriamoci i poveri Cristi che ci abitano.

Qui c’è il rilancio di Maresco rispetto a Sciascia. Non è solo l’antimafia come strumento di potere, è l’inutilità dell’antimafia, rappresentata dal viso sorridente di Antonello Montante, l’ex capo degli industriali siciliani, ed ex paladino antimafia, finito sotto inchiesta per reati di mafia. Qui siamo oltre pure il Gattopardo, non è più l’ottocentesco “cambiare tutto per non cambiare niente”, è cambiare niente per manifesta incapacità di cambiare le cose.

Ecco che arriva l’ultima stoccata di Maresco, che nella sua iconoclastia di fondo arriva a criticare un intoccabile come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Così come Sciascia in tempi non sospetti dice la sua su Paolo Emanuele Borsellino, il “magistrato gentiluomo” (lo scrittore, scomparso esattamente 30 anni fa, non arrivò a conoscere la stagione delle stragi per mano di Cosa Nostra), a Maresco non va giù che il nostro Capo dello Stato non abbia detto nulla dopo la sentenza dello scorso anno che riconobbe che la trattativa Stato-mafia ci fu. Difende, quindi, il pm Nino Di Matteo, tra i principali artefici di quella sentenza di condanna, ma non lesina critiche al Capo dello Stato per il suo silenzio.

La locandina di “La mafia non è più quella di una volta”

Anzi, va oltre, e sempre per bocca di Ciccio Mira, anima ed erede della Palermo più collusa di sempre, fa ricordare che la famiglia di Mira votava la Dc di Bernardo Mattarella, padre del Presidente della Repubblica e di Piersanti, il presidente della Regione siciliana trucidato dalla mafia nel 1980. C’era forse un doppio fine nelle parole di Mira che potenzialmente avrebbe voluto una grazia per un congiunto in carcere ma far parlare così a lungo della famiglia del presidente ad un uomo moralmente nullo sembra un modo velato per ricordare che il più volte ministro democristiano, e genitore di cotanti figli, fu più volte accusato (accuse mai dimostrate) da pentiti di varie epoche storiche di essere vicino alla mafia trapanese delle sue radici. Ovviamente Maresco nega ogni attacco al Capo dello Stato ma “quel silenzio” lo inquieta.

Il nichilismo di Maresco si stempera nell’ultimo fotogramma di La mafia non è più quella di una volta (un film che andrebbe proiettato nelle scuole e che invece è passato di striscio nella sua Palermo e a Catania non è mai arrivato), dove la mai doma Letizia Battaglia, dopo quell’attimo di scoramento, assolutamente umano, alza le due dita a mo’ di vittoria, per dire che contro la mafia, la sua lotta di donna di sinistra continua, sempre, fino alla vittoria. Sotto l’occhio attento e vigile del libertario Franco Maresco che in cuor suo, siamo certi, non può che condividere.

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