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“Credi davvero (che sia sincero)”, in scena il dramma del femminicidio: «Nel nome di Monica»

Teatro e opera In scena dal 26 al 29 ottobre ad Aci Castello per il Catania Fringe Off Festival, la piéce diretta da Alice Grati con Nino Faranna e Francesca Macci in scena, è tratta dal libro di Roberto Ottonelli ispirato dalla vicenda di Monica Ravizza, uccisa dall'ex nel 2003. Un’opera teatrale che lascia il segno per un dramma dei giorni nostri in cui si racconta come si alimenta un rapporto tossico sino a sfociare nel femminicidio

Segnatevi questo titolo: “Credi davvero (che sia sincero)”, un dramma dei giorni nostri in cui si racconta come si alimenta un rapporto tossico sino a sfociare nel femminicidio. Un’opera teatrale che lascia il segno. Si esce profondamente toccati dopo avere seguito le vicende di Antonio e Martina, magistralmente interpretati da Nino Faranna e Francesca Macci, diretti da Alice Grati che ne ha tratto la sceneggiatura dall’omonima opera narrativa di Roberto Ottonelli, il cui libro è liberamente ispirato alla storia tragicamente vera di Monica Ravizza, assassinata dal suo ex il 19 settembre 2003 a Milano. Lo spettacolo – con i costumi e le luci del Collettivo artistico Difesa Donne e la produzione dell’Associazione Difesa Donne “Noi ci siamo” – adesso è in programmazione per il Catania Off Fringe Festival alla Sala Cassiopea 2 del Four Points by Sheraton Catania Hotel in Via Antonello da Messina, 45 ad Aci Castello. Quattro le repliche: giovedì 26 ottobre alle 18, venerdì 27 ottobre alle 20, sabato 28 ottobre alle 22 e domenica 29 ottobre alle 18. Ingresso intero € 12, per tutte le promozioni del Catania Off Fringe Festival https://cataniaoff.com/it/biglietteria.

Con il Fringe Festival, per due settimane Catania è un palcoscenico “Off”

Monica Ravizza aveva ventotto anni e aspettava un bambino. L’anno in cui fu uccisa non era stato ancora inventato il termine femminicidio, tragicamente poi entrato nel linguaggio comune. Fu l’antropologa messicana Marcela Lagarde che lo utilizzò per la prima volta nel 2004 con lo scopo di attirare l’attenzione sulla drammatica situazione vissuta dalle donne di Ciudad Juárez. Un dramma che non conosce confini e non accenna a diminuire nonostante il passare degli anni e l’accresciuta sensibilità sociale. Ben ottanta le donne uccise nei primi nove mesi di questo 2023 in Italia. Ottanta femminicidi.

Monica Ravizza

“Credi davvero (che sia sincero)” richiama la canzone che Vasco Rossi cantò l’8 luglio del 2003 in apertura del suo concerto a San Siro. A quel concerto, a godere una serata di musica e svaglo, c’erano anche Monica Ravizza e Roberto Ottonelli, l’autore del libro che poi racconterà la sua storia. Roberto non conosceva Monica, ma sposerà una sua cara amica e conoscerà la mamma della ragazza, Maria Teresa D’Abdon, che aveva fondato un’associazione con altri genitori, anche loro ritrovatisi a vivere con figlie rubate alle vita. Un’associazione nata per evitare il ripetersi di simili drammi.

Il libro di Roberto Ottonelli

Roberto Ottonelli

Racconta Roberto Ottonelli: «La mamma di Monica, fin da subito dopo quella tragica notte tra il 18 e 19 settembre 2003, fondò un’associazione insieme ad altre mamme che avevano vissuto la stessa tragedia con l’obiettivo che la loro tragica esperienza potesse tornare utile ad altre ragazze per evitare di entrare in quella spirale perversa che precede il femminicidio. Per una serie di motivi poi, io e la mamma di Monica, nel 2021 abbiamo fondato l’associazione difesa donne “Noi ci siamo”, con cui ci siamo proposti, attraverso il mio libro dapprima, “Credi davvero (che sia sincero)”, e quindi successivamente con la rappresentazione teatrale che ne è stata tratta, di raccontare come si concretizza un femminicidio. Ci rivolgiamo soprattutto alle scuole ma anche alle associazioni, alle aziende, ai festival. Il mio lavoro è liberamente ispirato alla vicenda di Monica. Nel libro racconto la storia di Antonio e Martina e la racconto sia dal punto di vista di Martina che del suo carnefice, Antonio, ovviamente senza lo scopo di spiegare o, peggio, giustificare le sue azioni, ma proprio per mettere a fuoco come agisce un manipolatore sulla psiche di una ragazza, come funziona il suo modo di pensare, come si relaziona con gli altri. Proprio perché oggi sappiamo che un soggetto apparentemente troppo premuroso e troppo gentile con la propria compagna, spesso è quello che la controlla in maniera ossessiva bisogna fare molta attenzione. Il confine insomma è molto sottile. Nella rappresentazione teatrale noi raccontiamo proprio questi due modi di pensare e interagire. Sulla scena si alternano Francesca Macci e Nino Faranna, che tra l’altro è siciliano. Loro due impersonano i protagonisti, lui soltanto Antonio, mentre lei impersona Martina, la vittima, ma anche l’avvocatessa e la psicologa che poi, a femminicidio compiuto, segue Antonio in carcere. Una storia che vale per se stessa, certo, ma come ci hanno segnalato tutti coloro che hanno visto lo spettacolo, mette in scena una rappresentazione di tutti quei segnali di allerta e pericolo che sono ricorrenti nei casi di femminicidio e sui quali vorremmo focalizzare l’attenzione, proprio per far vedere come funzionano e si alimentano questo tipo di relazioni tossiche. A me personalmente la prima cosa che mi ha colpito quando ho visto lo spettacolo è stata Francesca, che impersona Martina, e che quando è salita sul palco era inizialmente bella e solare e poi, man mano che la storia procedeva e loro relazione si deteriorava, lei si è spenta. Alla fine c’è il suo monologo dove racconta del suo essere completamente svuotata, senza personalità».

La storia di Martina è tratta da una storia vera e vale la pena ribadire che un femminicidio non avviene mai per un raptus ma è la summa di molteplici fattori che si accumulano nel tempo fino a diventare quasi invisibili per consuetudine. E invece così non è perché i campanelli di allarme ci sono e vanno riconosciuti per quel che sono. Segnali di pericolo vero, reale. Pericolo mortale. La vera violenza sulle donne comincia con la manipolazione e proprio questa va stroncata sul nascere, per salvarsi da una vita non vita, da una prigionia fatta di vessazioni e soprusi, una schiavitù senza catene che troppo spesso viene sciolta con l’estremo oltraggio del sangue, del femminicidio.

Francesca Macci e Nino Faranna in “Credi davvero (che sia sincero)

Questa l’impressione in diretta che uno spettatore ha voluto condividere con l’autore. “Mi reco allo spettacolo in via del tutto eccezionale, data la mia avversione per il teatro, che ho sempre trovato freddo e poco coinvolgente. E PAM! Mi piomba addosso una tempesta emotiva, un qualcosa di forte che non è più teatro, finzione, ma una spirale concreta di emozioni e sensazioni che quasi puoi toccare, tanto è forte il flusso che ti arriva dal palco. Sarà che ero in prima fila a due passi dagli attori, sarà che ho potuto vedere finanche il moccio dell’attrice protagonista – segno di vere lacrime versate-, sarà stato il silenzio religioso e attonito che si respirava in sala, sarà, sarà… È stata un’immersione tangibile e pazzesca dentro due anime, una oscura e una luminosa, e nel loro continuo intrecciarsi, cozzare, respingersi, un qualcosa a cui non puoi rimanere indifferente, ti tocca dentro, ti senti strappare il cuore. La vicenda è senza dubbio raccontata con maestria, i due attori sono a dir poco eccezionali, la scenografia semplice ma efficace, su tutti quel girasole che fin dall’inizio rimane in disparte ad attendere di diventare anch’esso protagonista. Che dire; non mi resta che leggere il libro da cui è tratta l’opera e fare i miei più vivi complimenti a chi ha scritto, sceneggiato, partecipato, recitato. Assolutamente da non perdere!”
Segnatevi allora questo titolo: “Credi davvero (che sia sincero)”.

Un’altra scena di “Credi davvero (sia sincero)”

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