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Valdesi, operosi e democratici non asserviti a dogmi e gerarchie

Blog Fin dall’inizio la chiesa valdese, condannata e sabotata dalle autorità cattoliche, venne considerata invece con favore dall’intellighenzia etnea progressista. Non c’è battaglia per i diritti civili che non abbia visto i valdesi in prima fila. Questo è possibile perché quella protestante è la più laica delle fedi, quella che – solo Dio essendo giusto e vero – spietatamente relativizza e demistifica tutte le ideologie, le dottrine umane, le fedi. A quella chiesa laica e progressista devo il mio ritorno alla fede

Nelle valli del Piemonte un popolo di santi e di eroi ha resistito per secoli a repressioni, inquisizioni, massacri. Erano – sono – i valdesi. Prima erano malconci predicatori contadini, austeri maestri di Scrittura, che annunziavano il loro Dio povero e senza chiese nel fitto dei boschi, al riparo di travi e pietre delle baite. Pregavano nelle grotte, per raggiungerle strisciavano tra erba e rocce, nascosti al mondo ma non al vero Dio, mentre i loro persecutori innalzavano babeli di marmo e d’oro, sontuose e arroganti cattedrali, opere dell’uomo intrise di bellezza e di violenza, remote dalla luce discreta e austera della Grazia.

Il simbolo del Valdismo

Così per secoli. Poi vennero gli uomini di Calvino, i dottori riformati che a quei montanari, a quei tenaci eredi dei “poveri di Lione”, parlarono della giustificazione per mezzo della fede, del sacerdozio universale, della predestinazione. E stimolarono la pratica del culto e l’ascolto della parola, la discussione assembleare e la scolarizzazione di massa. Quando la spada dei persecutori cattolici ancora una volta si abbatté su quel popolo sterminandolo, strappando i bambini alle madri e a Dio, suggellando le stragi con un blasfemo segno di croce, allora l’irriducibile fede dei santi si tramutò in guerriglia, e gli scampati trovarono asilo nella repubblica riformata di Ginevra. Finché nel 1689 un popolo intero iniziò la lunga marcia del “glorioso rimpatrio”, attraversando valichi alpini sferzati dalla tormenta e presidiati dal nemico, dando battaglia e pregando, morendo e trionfando, e riconquistando le valli.

Che furono un ghetto ancora per molto, ma ora sono un porto franco, un monumento alla tolleranza, e in Italia il più antico tramite di continuità con il mondo e con il patrimonio di valori della Riforma protestante. Di quel mondo e di quei valori, della spiritualità e dell’etica della Riforma, è ormai quasi un luogo comune rimpiangere l’assenza, e dunque la mancata incidenza, nella cultura e nel costume italiani. In questo paese di trasformismi e di raggiri, di vizi privati e pubbliche inadempienze, l’assenza di un’e­ti­­ca rigorosa e implacabile della responsabilità individuale è stata tutt’uno con una morale indulgente e assolutoria, con un machia­vellismo di basso profilo, con la delega a un corpo separato di chierici, o di politici, dell’esercizio della conoscenza, del giudizio, dell’im­pe­gno.

Afio Bellecci

A Catania fu un ex prete, Alfio Bellecci, a convertirsi al credo evangelico e a riunire un primo nucleo di nuovi credenti intorno alla lettura della Bibbia del Diodati prima in case private e infine nel tempio di via Naumachia inaugurato nel 1899, e tutt’oggi sede di culto e d’incontri. Fin dall’inizio la chiesa valdese, condannata e sabotata dalle autorità cattoliche, venne considerata invece con favore dall’intellighenzia etnea progressista, che la sentiva alleata nella propria polemica anticlericale. Nasce da qui una storia d’intrecci con le nascenti Società operaie, con la intellighenzia massonica e progressista, col socialismo di De Felice, che giungerà al culmine nel nuovo secolo, quando i funerali di Bellecci – nel 1911 – raccoglieranno masse di popolo e le più alte autorità cittadine.

Sono gli anni degli investimenti stranieri, dell’arrivo dei pasticceri, caffettieri e commercianti svizzeri (i Ritter, i Caviezel, i Caflisch) di osservanza evangelica, subito pronti ad affollare il culto e a impinguare le magre casse della chiesa valdese, nonché della presenza a Catania di figure quali l’inglese Robert Trewhella, artefice e finanziatore della Circum-Etnea e anch’egli iscritto nei registri della chiesa.

La pasticceria svizzera Cavieziel di Catania

Meno affollata ma ancora presente e attiva, la chiesa valdese di Catania, che ora opera a fianco di quella battista. E presente e attiva è la presenza in Italia dei valdesi, realtà operosa e democratica, non asservita a dogmi e gerarchie. Né a istituzioni e valori mondani, anzi decisamente antagonista: a Palermo il pastore Pietro Valdo Panascia fu il primo a denunziare la criminalità mafiosa quando il cardinale Ruffini ne negava addirittura l’esistenza; e non c’è battaglia per i diritti civili che non abbia visto i valdesi in prima fila.

Pietro Valdo Panascia

Questo è possibile perché quella protestante è la più laica delle fedi, quella che – solo Dio essendo giusto e vero – spietatamente relativizza e demistifica tutte le ideologie, le dottrine umane, le fedi. Niente deleghe né assoluzioni, laddove la tormentata ricerca dell’uomo, d’ogni uomo, il suo corpo a corpo con Dio – appassionato e violento come la biblica colluttazione di Giacobbe –, drammaticamente interrogano il mistero dell’elezione, e docilmente si aprono al gratuito dono della Grazia, che non riceviamo in virtù dei nostri meriti ma del sacrificio della croce, dell’annunzio della resurrezione, dell’esperienza della fede: Solus Christus, sola Scriptura, sola fide.

Valdesi di Catania contro l’omofobia

A quella chiesa laica e progressista devo la mia conversione e il mio ritorno alla fede, ventitré anni fa, dopo una lunga parentesi agnostica; e l’amicizia di uomini di fede, di cultura e di grande umanità come Giorgio Bouchard e Italo Pons. Se oggi pur apprezzandola non la frequento, è per motivi di cui dirò se può servire; ma credo sia meglio dire del bene e del giusto che ne ho avuto.

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