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Ma sì, rivalutiamolo il “tradimento”

Blog Le cronache sportive sono piene del "tradimento" del calciatore Chiesa reo di aver lasciato Firenze per l'odiata (dai viola) Juve. Ma la vita non è un continuo tradimento, un incessante mettere in discussione noi stessi? La “coerenza” non è l’ottuso privilegio degli ignavi? L'archetipo di traditore, Giuda, per un vangelo apocrifo era addirittura l'apostolo prediletto, colui al quale Gesù disse: “Sarai superiore a tutti gli altri, perché sacrificherai l’uomo che mi riveste”

Traditore! gridano i tifosi fiorentini al calciatore Chiesa passato alla Juve. Somma ingiuria, riservata a coloro che si vendono al nemico; ma anche spietato anatema usato dai dittatori per liberarsi di scomodi alleati. Parola ambigua, dunque. Non tradiamo noi stessi, un’idea, un’appartenenza ogni volta che cambiamo opinione, quando quella vecchia è smentita dall’evidenza? Non tradiamo ogni volta che cambiamo il partito da votare, la donna da amare, l’amico cui confidarsi, lo scrittore o il pensatore da eleggere a guida e punto di riferimento? E non è la vita un continuo tradimento, un incessante mettere in discussione noi stessi e i nostri provvisori approdi? La “coerenza” non è l’ottuso privilegio degli ignavi, di chi ripara la propria inerzia all’ombra di una ortodossia?

Federico Chiesa con la maglia viola della Fiorentina

Ma sì, rivalutiamolo il “tradimento”. E perfino il suo archetipo: il famigerato “bacio di Giuda”. Anni fa fu rinvenuto un apocrifo Vangelo di Giuda, che diede la stura a un profluvio di libri sul discepolo infedele. Ma cosa ci dicono i vangeli canonici? Che l’Iscariota “consegna” Cristo, come a obbedire a un disegno superiore, a un doloroso compito: il verbo greco paradídomi, usato a designare l’azione di Giuda, ha quel significato decisamente neutro. Come il latino trado, tradĕre: e ci chiediamo se il suo derivato nelle lingue romanze non si sia caricato di sinistre risonanze proprio a partire dalla criminalizzazione di Giuda, l’ebreo perfido e “traditore”. È superfluo aggiungere, del resto, che allo stesso etimo risale “tradizione”, ovvero quella trasmissione fatta di superamenti e fraintendimenti, di rotture e infedeltà che i saperi e i valori subiscono, arricchendosi, nel corso del tempo.

Papa Ratzinger si affrettò a smentire quell’apocrifo prima ancora che uscisse il testo integrale: Giuda è e deve restare l’abietto traditore, il dannato per antonomasia. E invece quel Vangelo apocrifo ci narra del più amato degli apostoli, che perciò Gesù avrebbe scelto per compiere la più terribile e necessaria delle missioni: consegnarlo al potere e immolarlo sulla croce. Anzi, per dirla nei termini della spiritualità gnostica, cui partecipa l’anonimo redattore di quel vangelo: “Sarai superiore a tutti gli altri, perché sacrificherai l’uomo che mi riveste”.

Quelle parole tremende, tradire e tradimento, non sono a mio avviso che una successiva evoluzione (e demonizzazione) del termine originario, avvenuta quando la figura di Giuda fu sacrificata sull’altare della separazione dal ceppo ebraico e dalla sua religione: per seguire questo processo, basta rileggere diacronicamente i quattro vangeli, così diversi fra loro perché redatti in ambienti e tempi diversi, fino all’ultimo: quello di Giovanni, il più antiebraico, il più spietato nei confronti di Giuda.

Il bacio di Giuda di Cimabue

E Giuda era, fra i discepoli, l’unico giudeo: gli altri provenivano tutti dalla Galilea. Giuda è l’ebreo. Il sentimento antiebraico che tante tragedie ha causato nei secoli nasce proprio lì: dall’infame retorica del “deicidio” e dalla demonizzazione “cristiana” della figura dell’Iscariota. Alla letteratura, da Thomas de Quincey a Katzanzakis e a Borges, è sempre piaciuto pensare la realtà diversamente e Giuda come un ribelle deluso, uno zelota che voleva costringere Cristo a impugnare la spada, oppure come un fedele esecutore del disegno del suo Maestro. Certo come un personaggio vero, più di quei discepoli diffidenti e dormiglioni, che non capiscono un’acca delle parabole, e più di quel Pietro che tradirà anche lui, ma senza espiare.

E ora ecco, a confermare i dubbi e a dare a Giuda un’ultima chance, questo documento scritto nel III secolo, traduzione in copto d’un apocrifo d’almeno un secolo prima. Ma cosa intendiamo, parlando di vangeli apocrifi e di vangeli canonici, accettati dalla Chiesa? Nient’altro se non che quest’ultima, a partire da Ireneo vescovo di Lione, decise per comprensibili opportunità politiche che nel vario arcipelago dei cristianesimi possibili, dei vangeli e delle lettere apostoliche, delle riletture (tutte a distanza e perciò egualmente legittime) della Buona Novella, occorresse scegliere un solo cristianesimo, una sola verità, una sola scrittura il più possibile coerente. E quindi distinguere fra il canone accettato e i testi da ritenere per l’appunto apocrifi; e, quel ch’è peggio, tra l’ortodossia e le cosiddette eresie, da perseguire nei modi cruenti che sappiamo.

Il che ha salvato storicamente la Chiesa; ma ha messo fine alle fedi, a quel “libero esame” che più tardi sarà rivendicato dal protestantesimo (anch’esso, poi, incline a cristallizzarsi in chiese), al fervore di dispute sulla natura del Cristo e sulla resurrezione, sui sacramenti e sull’apostolato, sul corpo e sull’anima, sul peccato e sull’elezione, perfino (e si leggano certi apocrifi che il femminismo di oggi dovrebbe canonizzare) sul ruolo primario delle donne e sulla natura anche o solo femminile di Dio.

E il “tradimento” decretato dai feroci custodi dell’ortodossia confinava la libera elaborazione del pensiero negli inferni dell’“eresia”: cioè, stando anche in questo caso all’etimo greco, della scelta. Ed ecco Giuda traditore di Cristo, Bruto di Cesare, Lutero del papa, Bruno e Spinoza delle rispettive chiese, Danton di Robespierre, Garibaldi dei Savoia, Dreyfus della Francia, Oberdan dell’impero austro-ungarico, menscevichi e socialisti rivoluzionari traditori del comunismo di Lenin, Trockij e Bucharin di quello di Stalin, Silone del comunismo italiano, Bottai di Mussolini e del fascismo, Conte di Salvini, papa Bergoglio del “contesto” vaticano affaristico-reazionario, giù giù fino al calciatore che cambia maglia, e non sa – lui che in realtà pensa solo ai soldi – di essere l’ultima caricaturale variante del mistero di amore e violenza consumato nell’Orto degli Ulivi.

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