Visioni Dopo la presentazione al Torino Film Fest lo scorso novembre, e le anteprime di Roma, Palermo e Licata, dall’8 maggio arriva nei cinema italiani il bio-pic "L'amore che ho" di Paolo Licata, omaggio alla travagliata e romanzesca vita della cantante popolare e cantastorie licatese. Il film si ispira liberamente al libro "L'amuri ca v'haju" di Luca Torregrossa, nipote e figlio adottivo dell'artista: «Da spettatore il film mi piace molto, da testimone della vita di Rosa sottolineo l'assenza di tanti dettagli della sua vita»
«Chiaramente, non è un film fedele alla vita di Rosa Balistreri, quella la si può leggere nel libro scritto da Luca Torregrossa. E’ un film liberamente tratto da quel libro. Anche perché per parlare bene di Rosa ci vorrebbe un colossal alla Ben Hur, quelle 5 ore di film che si facevano una volta». O una serie tv come si usa oggi. Ma in questo breve commento dell’attrice Berta Ceglie, una che Rosa Balistreri l’ha conosciuta bene, c’è tutto lo spirito del bio-pic “L’amore che ho” che il regista palermitano Paolo Licata, grazie alla produzione della romana Dea Film, ha dedicato alla “Cantatrice del Sud”, come amava definirsi la cantante e cantastorie licatese, vera icona della canzone popolare siciliana.

La locandina del film
Berta Ceglie accompagna Luca Torregrossa all’anteprima palermitana del film che dall’8 maggio arriva nelle sale. Torregrossa – nipote della Balistreri in quanto figlio di Angela Torregrossa, l’unica figlia di Rosa, scomparsa lo scorso ottobre -, non ha mai avuto un buon rapporto con la madre biologica, assente in fasi cruciali della sua vita tanto che fu affidato, a soli 30 giorni d’età, alla nonna Rosa che lo ha cresciuto come un figlio. Per questo Luca ha sempre chiamato Rosa “mamma”. Torregrossa questo film ha finito per accettarlo, anche se non ne condivide molti punti. La base narrativa del plot cinematografico nasce dal suo libro di memorie familiari “L’amuri ca v’haju – La vera storia di Rosa Balistreri” (titolo preso in prestito dalla famosa canzone) ma un film, seppur un bio-pic, è pur sempre un prodotto artistico di fiction affidato all’estro creativo di regista e sceneggiatori.

La copertina del libro “L’amuri ca v’aju – La vera vita di Rosa Balistreri” di Luca Torregrossa
Dopo la presentazione ufficiale al Torino Film Fest lo scorso novembre, l’anteprima romana di lunedì 5 maggio, l’anteprima siciliana il 6 maggio a Palermo presenti il regista Paolo Licata e gran parte del cast, la proiezione a Licata, città natale della Balistreri, il 7 maggio, dall’8 maggio il film arriva in tutte le sale. O meglio in alcune sale visto che il film non ha una distribuzione capillare ma sarà disponibile nelle sale Uci Cinema.
Nel giorno ufficiale di uscita del film, il regista Paolo Licata, Lucia Sardo (che interpreta Rosa da grande), Tania Bambaci (che nel film è Angela, figlia della cantante licatese) e il produttore Rocco Bambaci saranno presenti alle 18.30 alla proiezione al Cinema Rex di Giarre; Licata, la Sardo e Bambaci, insieme con Carmen Consoli, che interpreta Alice e cura la colonna sonora, e Vincenzo Ferrera, che interpreta Emanuele padre di Rosa, saranno presenti alle 19.30 al Cinema King di Catania. Modera la giornalista Ornella Sgroi. Il film vanta nel cast anche Mario Incudine nel ruolo di Ciccio il cantastorie, Stefania Blandeburgo in quello di Grazia, la suocera, e Loredana Marino che interpreta Vincenza, la madre di Rosa.

Il regista Paolo Licata
Quel film che non arrivava mai…
Ho conosciuto Luca Torregrossa in occasione dell’evento musicale “Terra can un senti”, l’omaggio alla Balistreri che si tenne il 31 maggio 2008 in piazza Università a Catania per Etnafest, di cui era direttrice artistica per la musica Carmen Consoli. La cantantessa catanese aveva chiamato per l’occasione un grande cast prevalentemente femminile formato da Rita Botto, Giorgia, Patrizia Laquidara, Nada, Marina Rei, Etta Scollo, Tosca, Paola Turci, Ornella Vanoni, Alfio Antico, Emma Dante. In quell’occasione raccontai a Luca di un mio articolo del 2004, scritto come tesina propedeutica agli esami professionali per diventare giornalista professionista, in cui scrivevo che nonostante la vita di Rosa fosse stata travagliata e romanzesca, degna di un grande fogliettone popolare, nessuno fino ad allora l’aveva mai raccontata né in un film né in una fiction. Solo nel 2011, 21 anni dopo la morte dell’artista licatese, il regista campano Nello Correale realizzò il film documentario “La voce di Rosa” con Donatella Finocchiaro, Vincenzo gangi, Faishal Taher, Carmen Consoli. «Proprio l’altro ieri ho rilasciato un’intervista a una laureanda che sta preparando la tesi su Rosa Balistreri – racconta Torregrossa -. Sono in tanti che fanno le tesi su Rosa».

Lucia sardo nei panni di Rosa Balistreri in “L’amore che ho” di Paolo Licata
Luca, possiamo dire che sei contento che siamo arrivati finalmente alla programmazione nei cinema di questo film?
«Certo. E sono contento per il lavoro che ho svolto in tutti questi anni nel portare avanti il nome di mia madre. A partire dal libro, il secondo step era il film. Finalmente ci siamo riusciti e ora ci dedicheremo alla fondazione “Rosa Balistreri”».

Donatella Finocchiaro e Lucia Sardo sul set de “L’amore che ho”, foto di Angela Gugliotta
Dammi un tuo giudizio sul film.
«Un mio giudizio? Se te lo do da persona esterna, da spettatore puro, ti dico che è un gran bel film. Un film fatto bene, una bella fotografia, bravo il regista nel fare il tutto. Le attrici sono tutte straordinarie, anche se comunque l’attrice più brava in assoluto, per me, è Anita Pomario, che interpreta Rosa più o meno all’età di 15-20 anni».
Non Lucia Sardo?
«Attenzione sono state tutte brave, nessuna esclusa. La mia preferita rimane Anita, per l’aspetto di Rosa in quell’età giovane, e la grinta che aveva Rosa io la ritrovo in questa ragazza. E assomiglia in maniera impressionante a Rosa da giovane».
Devo dire che anche con Lucia Sardo hanno fatto un bel lavoro, la richiama molto.
«E’ vero e io ho sempre sostenuta Lucia per questo ruolo. La incontrai diversi anni fa a casa sua, quando stavo ancora scrivendo il libro. Si parlava dell’idea del film e le dicevo che in Sicilia non c’era una persona che poteva interpretare Rosa Balistreri se non lei».
Che mi dici di questo Emanuele Del Castillo che ti interpreta?
«Lo conosco poco, l’ho incontrato appena una volta. In un certo senso ti posso dire che il personaggio mi assomiglia, cappellone ricciolone come ero io a 20 anni. Una faccia pulita, come l’avevo io a quei tempi. Il film è fatto di flashback, si va avanti, si torna indietro, si racconta. Infatti ci sono quattro persone che interpretano Rosa. Martina Ziami è Rosa bambina, Anita Pomario è Rosa adolescente, Donatella Finocchiaro Rosa adulta e Lucia Sardo la incarna negli anni finali. Quattro periodi di vita e il Luca del film è quello degli ultimi anni di Rosa. Nel film si vede che la accompagna nei concerti, e di fatto è stato così. Però il film ha dato più valore ad un momento della vita di Rosa dove non c’era la figura di Luca».

Da sinistra Luca Torregrossa, Rosa Balistreri e il chitarrista Agostino Comito. Foto archivio Luca Torregrossa
Qui ti volevo. Dopo il tuo giudizio da spettatore al cinema, ora voglio sentire il giudizio di Luca Torregrossa.
«Se ti devo dare il mio giudizio da persona… come dire… che conosce i fatti, come si dice in tribunale, dico che non mi piace. Manca tutto di Rosa, manca la colonna portante che era sua madre Vincenza, anche se mi rendo conto, però, che in un film di due ore non puoi dire tutto… ».
Quando dici che manca tutto che cosa intendi, tanto per capirci?
«I particolari della vita di Rosa perché il film è basato fondamentalmente sul rapporto fra Rosa e Angela…».
Sua figlia.
«Sì. Un film, però, che punta molto su questo aspetto finisce per dare una versione distorta della realtà. Per ragioni legali è stata cambiata una scena importantissima nel percorso di vita di Rosa Balisteri. Questa cosa metterà a disagio le persone che si ritroveranno a vedere il film e si confronteranno con la vita di Rosa letta nel mio libro. Una cosa che ho sempre detto anche alla produzione. Io avrei voluto che il film raccontasse la vita di Rosa nel suo vissuto, per dare modo di conoscere veramente chi era. Raccontando fatti non veri, tu non fai altro che destabilizzare chi vedrà il film e leggerà il libro. E allora chi ha ragione? Il film o il libro? Questa era una cosa che io non volevo che accadesse, però purtroppo è accaduta».
Presumo che la produzione abbia voluto tutelare l’immagine della buonanima della donna che ti generò, per non metterla troppo in cattiva luce.
«Sì, fondamentalmente è stato quello. Io alla produzione avevo sempre posto il problema di Angela Torregrossa, e loro mi avevano detto di non preoccuparmi. Quando hanno avuto bisogno della liberatoria, Angela li ha messi con le spalle al muro. Loro avevano preso i soldi da Sicilia Film Commission, avevano l’esigenza di iniziare a girare, non si potevano permettere di abbandonare il progetto, l’hanno dovuto fare. In questa maniera, però, hanno distorto la vita di Rosa».
Che mi dici di Tania Bambaci, che nel film interpreta Angela?
«Tania è bravissima, secondo me l’ha sentita la parte. Nulla da dire su attori e attrici, ripeto, l’unico dubbio che mi sorge è il fatto che, secondo me, nessuno di loro ha letto il mio libro, quindi nessuno di loro ha letto quella che era la vera vita di Rosa Balistreri».
Regista a parte, ovviamente, perché dal tuo libro è nata la sceneggiatura del film. Ma tu hai dato un contributo sulla sceneggiatura, oppure Paolo Licata ha lavorato liberamente sul libro?
«Io ho dato tantissimi contributi, non ufficiali, sulla sceneggiatura. Abbiamo parlato tante ore al telefono con Paolo Licata e Antonio Guadalupi per la sceneggiatura. Il mio zampino era nei dettagli, che loro chiedevano».
E li hanno rispettati?
«Non proprio tutti. Perché poi, vedi, la cosa assurda è che si sono fatti, come dire, “contaminare” da persone che nulla avevano a che fare con vita di Rosa. Ed oggi di persone in vita che veramente possono parlare di Rosa ce ne sono pochissime. Un po’ hanno tenuto conto delle mie cose, un po’ hanno messo dentro quelle di altri. Per questo ti dico, se lo guardo come figlio di Rosa Balistreri, e autore del libro “L’amuri ca v’aju”, ti dico che il film non mi piace».

L?anteprima palermitana del film: da sinistra Donatella Finocchiaro, Tania Bambaci, Martina Ziami, Loredana Marino e Luca Torregrossa
Non fai sconti…
«Il film secondo me ha, poi, una grande pecca, non c’è la voce di Rosa, non c’è Rosa che canta, c’è solamente alla fine nel brano “L’amuri ca v’aju” che inizia con un minuto circa di voce di Rosa e poi viene cantata da Carmen Consoli che ha curato la colonna sonora. In un film biografico, specialmente se parliamo di una cantante, a mio parere in alcune scene del film ci dovevano essere le sue canzoni. E poi, apro un’altra parentesi, non sono stato convocato nella scelta dei brani e questo è stato un peccato perché c’erano tanti brani da poter mettere di Rosa sotto che non avevano bisogno di liberatorie e ne rispecchiavano la figura. Una di queste è “‘A me vita” che narra, cantando la sua vita, quando andava a raccogliere spighe con suo padre. Attenzione, io ho sempre motivo di ringraziare Carmen Consoli, per tutto quello che ha fatto nel nome di mia madre. Le devo dire grazie per il concerto di Catania del 2008, per il recente tour “Terra ca nun senti”, ho tanti motivi per ringraziarla. Ma io voglio che da questo film non venga fuori il nome di Carmen o di Lucia Sardo, voglio che risalti di più il nome di Rosa Balistreri. Che è quella che ha detto no a Francis Ford Coppola che voleva una canzone in siciliano per il “Padrino”. Durante un provino a Palermo, mentre stava cantando “Vitti ‘na crozza” e Coppola si permise di accompagnarla con il folcloristico “tralalallero”, Rosa smise di cantare e se ne andò via dicendogli in faccia che “della Sicilia non aveva capito niente”. Rosa era così, era diretta, non aveva tornaconti. Per questo è morta povera».

Massimo Roccaforte, Carmen Consoli e Lucia Sardo in “L’amore che ho” di Paolo Licata
Nonostante tutto, però, il film lo salvi e lo promuovi.
«Certo, ma ci mancherebbe. Lo promuovo comunque perché è di Rosa che si parla e l’aspetto finale di tutta questa storia è quello di promuoverne la figura. Ciò non giustifica, però, il fatto che mi piaccia o meno. Lo promuovo, certamente, sono venuto a Palermo per la prima siciliana. Ho preferito l’evento palermitano alla presentazione romana. Ma le mie riserve restano».
Alla presentazione di Licata non ti hanno visto, come era presumibile.
«Licata per me va cancellata dalla cartina geografica».
Licata non ha mai amato Rosa in vita ma anche tu hai avuto qualche “problema” con la città.
«Qualche anno fa, vincendo un bando del Comune, mi era stato affidato il teatro per creare il Museo Rosa Balistreri e la casa della musica, sede distaccata del Conservatorio di Palermo. Avevamo già tutto pronto per iniziare poi le associazioni culturali della città hanno remato contro perché per loro l’associazione “Sicilia amara di Rosa Balistreri” da me creata era una realtà straniera. Ed anch’io per loro ero una persona straniera. Tutto questo perché io vivo a Firenze e la mia associazione è nata la anche se porta il nome di una figlia di Licata».

Luca Torregrossa bambino con “mamma” Rosa Balistreri.Con loro Beppe Tripoli e Enzo Barbaro. Foto archivio Luca Torregrossa
Ultimo motivo di attrito fra te e Licata è stata la questione della Fondazione “Rosa Balistreri”.
«Una fondazione nata senza autorizzazione degli eredi. La stessa Angela Torregrossa ancora in vita aveva fatto un esposto diffidando il Comune, io ho proseguito perché poi essendo il primo erede in ordine di discendenza dovevo riappropriarmi di quella che era la figura di mia madre. Il Comune di Licata mi aveva convocato per istituire il Cda della fondazione. Ho dovuto diffidare il Comune non solo a usare il nome di Rosa Balistreri ma anche quello di Luca Torregrossa e allora in quel momento lì si sono fermati. Sarà il tribunale a stabilire chi ha ragione. La loro iniziativa è nata per morire subito dopo perché non hanno le autorizzazioni per poterlo fare e non le avranno per colpa loro. Io avevo proposto per andare avanti di modificare lo statuto del CdA composto da 9 membri dei quali 8 nominati dalla politica locale e uno è l’erede legittimo. Io posso accettare il rappresentante della Regione Siciliana che ha messo i soldi ma il Comune, che non ha messo soldi, aveva messo nel cda tutti i suoi uomini compreso un comitato tecnico scientifico senza senso. L’unico nome che avevano tirato in ballo per dare lustro al comitato tecnico scientifico era quello di Donatella Finocchiaro».
E quindi ora mi sembra di capire che tu comunque la fondazione la vuoi realizzare.
«Ma ci mancherebbe, è il mio terzo scopo di vita dopo il libro e il film. Adesso la fondazione è necessaria per tutelare tutto ciò che mia madre ha lasciato, perché Rosa Balistreri oggi è una macchina che produce soldi, produce diritti Siae, diritti editoriali, diritti d’immagine con il cinema e non ha bisogno di azionariato popolare per farla. La fondazione porterà avanti il nome di Rosa, la proteggerà, la farà conoscere nel mondo, istituirà borse di studio a suo nome. La deve preservare, perché c’è tanta gente che lucra sul nome di Rosa Balistreri ed è ora di farla finita».
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