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“2056” e il destino inevitabile dell’homo sapiens. Francesco Cusa: «Cosa resterà di umano in un mondo che tende all’iperconnessione?»

Libri e Fumetti Samuel Vitruvio è il protagonista del nuovo romanzo, edito da Ensemble, del musicista e scrittore catanese: «Un uomo estraneo al mondo, che si sente fuori posto ovunque. Un sopravvissuto a un mondo che non gli appartiene più» Un mondo in cui la fusione con la macchina diventa inevitabile al fine di assicurare all’umanità un salto di specie. Sabato 15 marzo la presentazione ufficiale al Conservatorio "Bellini" di Catania

Tra le tante attività svolte (e qualche acciacco dell’età), la nuova fatica letteraria del poliedrico artista catanese Francesco Cusa, musicista di fama internazionale nel panorama della sperimentazione in ambito jazz, dal titolo “2056” – pubblicato dalla romana Edizioni Ensemble, pp. 102, € 15,00 – arriva nelle librerie lunedì 10 marzo e dipinge un futuro in cui l’umanità è soggetta a un’accelerazione tecnologica radicale, con l’introduzione del Big Network e del chip Prometheus. Dopo un girovagare per l’Italia intera a insegnare arte non soltanto musicale legata al jazz, è impressionante la mole di collaborazioni di Cusa, docente di batteria e percussioni jazz al conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania, basta sfogliare le pagine virtuali e/o fare ricerca negli archivi di riviste di genere; nonché,

Cusa vanta una notevole carriera di autore, tra poesia e narrativa, che lo ha portato a esibirsi in un intersecarsi di esibizioni musicale con quelle letterarie. La narrazione del nuovo romanzo  sembra intrecciarsi con temi filosofici profondi, dal transumanesimo alla perdita dell’individualità. Incontrato nella sua stupenda dimora dove vive con i suoi adorati gatti – frattanto ci fa osservare quanto è produttivo concentrarsi nella bellezza di un tramonto da alcune prospettive uniche – iniziamo una lunga chiacchierata su quella che sembra essere la sua opera di ingresso definitivo in certa editoria indipendente di altissima qualità.

Cusa in uno scatto di Adriana Tuzzo

Francesco Cusa in uno scatto di Adriana Tuzzo

 

Francesco, stando a questa complessa, quanto fruibilissima opera, crede che siamo davvero diretti verso un simile scenario che oculatamente descrive?
«“2056” è una riflessione sulla traiettoria che l’homo sapiens ha intrapreso. Stiamo vivendo un’epoca di accelerazione esponenziale in cui l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione stanno ridisegnando il concetto stesso di umano. Ho immaginato un mondo in cui la fusione con la macchina diventa inevitabile al fine di assicurare all’umanità un salto di specie. C’è una tensione tra coloro che vedono nel progresso una salvezza e chi invece teme la dissoluzione della coscienza individuale. In questo senso, si può rintracciare un’eco di Heidegger, per cui la tecnica non è solo uno strumento, ma un destino a cui l’uomo non può sottrarsi».

Francesco Cusa ai tamburi

Il protagonista è Samuel Vitruvio, personaggio che sembra incarnare questa resistenza all’omologazione. Il suo nome evoca l’Uomo Vitruviano di Leonardo, simbolo di equilibrio e proporzione. Quanto c’è di esistenzialista in questo personaggio?
«Moltissimo. Samuel è un uomo che si sente fuori posto, un sopravvissuto a un mondo che non gli appartiene più. Camus diceva che il vero problema filosofico è il suicidio: la vita ha senso o no? Samuel non si pone esplicitamente questa domanda, ma vive in un perenne stato di estraneità. Quando tutto intorno a lui si connette, egli resta un’isola. La sua ribellione è quasi metafisica: rifiutare il Big Network significa rifiutare una nuova concezione dell’essere».

La poesia di Cusa

La poesia di Cusa

Lei è tra i più quotati musicisti jazz che ci rappresenta su scala internazionale. Il jazz, per sua natura, è improvvisazione, libertà. Azzardo a chiederle se questo spirito si riflette nella sua scrittura?
«Assolutamente, il jazz è un’arte dell’attimo, del rischio. Scrivere “2056” è stato come rischiare durante un assolo, la ricerca di ritmo, di dissonanze, di pause. Nella mia scrittura cerco sempre di mantenere un’elasticità, un respiro che lasci spazio all’interpretazione del lettore, anche di fronte a finali che paiono suggerire una risoluzione della dialettica del romanzo».

Rispetto alle sue opere letterarie precedenti, quali “L’orlo sbavato della perfezione” o “Vic“, in cosa “2056” rappresenta un’evoluzione della sua visione letteraria?
«In “L’orlo sbavato della perfezione” esploravo il tema dell’imperfezione e del caos come fattori essenziali della creatività. “Vic” era una riflessione più intima, legata alla memoria e alla santificazione di un reietto, di un vinto. “2056” è più radicale: si interroga su cosa resterà di umano in un mondo che tende all’iperconnessione e alla sublimazione del concetto di identità. Se il filosofo svedese Emanuel Swedenborg parlava di mondi spirituali paralleli, io immagino un mondo diviso tra connessi e sconnessi, tra chi ha abbracciato la nuova era e chi è rimasto indietro e dannato agli inferi».

"Vic" il gioiello di Francesco Cusa... sino ad oggi

“Vic” il gioiello di Francesco Cusa… sino ad oggi

Il tema della memoria è ricorrente in “2056”. Si avverte un’eco potente della filosofia di Swedenborg, soprattutto nella distinzione tra realtà materiale e realtà spirituale. Come si ricollega questo aspetto alla narrazione?
«Swedenborg concepiva la realtà come una sovrapposizione di livelli, dove il visibile è solo un riflesso di una dimensione più profonda. In “2056”, questa idea è declinata attraverso il contrasto tra il Big Network e coloro che non vi accedono. I connessi vivono un’esperienza di interconnessione totale, mentre gli sconnessi sono relegati a un’esistenza quasi fantasmagorica. Questo dualismo crea un cortocircuito tra memoria e identità: chi siamo, se la nostra esperienza è interamente mediata da una rete che assorbe ogni nostro ricordo?»

Cusa in una delle sue interpretazioni musico-letterarie dove diventa #OneManShow

Cusa in una delle sue interpretazioni musico-letterarie dove diventa #OneManShow

Dunque la tecnologia: nel suo romanzo sembra funzionare come una sorta di destino ineluttabile, un po’ come suggeriva Martin Heidegger. Qual è la sua posizione su questo?
«Heidegger sosteneva che la tecnica non è solo uno strumento, ma una modalità d’essere. Il Big Network è esattamente questo: non è solo un avanzamento tecnologico, è una nuova condizione dell’essere. In “2056”, il problema non è tanto la tecnologia in sé ma la nostra incapacità di concepire alternative. L’uomo contemporaneo ha delegato il proprio pensiero alla macchina, dimenticando che la tecnica non è neutra, ma indirizza la nostra stessa esistenza. Nel romanzo, il salto nel Big Network è un passaggio irreversibile, una trasformazione che ricorda quella dei miti antichi, quando l’uomo si confrontava con il divino e ne usciva cambiato per sempre».

Le chiedo infine se riconosce quella oscillazione nel suo romanzo tra distopia e speranza: se sì, dove si colloca il suo sguardo sul futuro?
«La mia visione è ambivalente. Da un lato, come suggerisce il libro, la tecnologia ci sta portando verso una nuova forma di esistenza, ma dall’altro il sapiens resta rimane sempre il più grande parassita mai vissuto sul pianeta. Forse ci sarà un Big Network, forse no. Una cosa è certa: i sapiens sono i maestri dell’adattamento, ma potrebbero prevalere istanze autodistruttive».

 

Gli eventi: al Conservatorio Bellini di Catania la presentazione di “2056”, concerto di Cusa a San Giovanni la Punta

“2056” sarà presentato ufficialmente il 15 marzo, alle 15, al Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania. Con Francesco Cusa interverranno il direttore del Conservatorio Epifanio Comis, l’attrice Laura Giordani, la scrittrice e terapeuta Daniela Marra e lo scultore Francesco Gennaro. Modera l’incontro il filosofo Francesco Vaccaro.

Mercoledì 12 marzo al Moonshiners Pub, in via Via Etna, 6A a San Giovanni la Punta, Cusa suonerà in trio con Angelo Cultreri al piano e Riccardo Grosso al contrabbasso.

Il poliedrico Cusa nello Scatto di Soriani

Il poliedrico Cusa nello scatto di Paolo Soriani

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