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“L’amico imperfetto” di Rosario Galli: «Il Principe e Luciano, l’altra metà dell’Io tra amore e amicizia»

Libri e Fumetti Romano d'adozione, il drammturgo, sceneggiatore regista etneo il 14 dicembre torna nella sua città - alle Cimniere - per completare il lungo tour di presentazioni del romanzo d'esordio, edito da fila37, uscito alla fine dello scorso anno. Un romanzo che, nella migliore tradizione della psicologia analitica archetipica, indaga il rapporto simbiotico fra due uomini dalle vite opposte: «Sono due metà di uno, Giano bifronte, la enorme smisurata fortuna di trovare se stessi in un altro»

Catanese di nascita, Rosario Galli ha conservato il fervore e le vibrazioni che madre Etna consegna ai suoi figli. Basti ricordare piéce teatrali come Uomini sull’orlo di una crisi di nervi del 1993, che ebbe un successo enorme tanto che insieme con Alessandro Capone ne scrissero anche la sceneggiatura e curato la regia per la versione cinematografica di un paio d’anni dopo (e fu un altro successo!). Galli si è rivelato un re Mida stakanovista, tanto che la sua ”impronta” è presente in altri successi quali le serie tv con Extralarge”, e Noi siamo angeli” con Bud Spencer, ha partecipato alla stesura di Elisa di Rivombrosa”, una delle fiction tv più di sucesso degli anni 2000, ancora con Capone ha firmato la sceneggiatura dell’horror “Streghe”, realizzato in Florida. «Ho scritto, anche, – incalza l’autore – una serie con Alberto Sordi, che sarebbe stato il seguito di “Polvere di stelle”, che fu sul punto di vedere la luce per poi finire tra i progetti non realizzati».

Il manifesto del film "Uomini sull'orlo di una crisi di nervi"

“Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” (1995) il film con il cast dell’esordio teatrale

Altra chicca introvabile: la locandina dello spettacolo teatrale riproposto 15 anni dopo la premiére

Il cast teatrale dell’edizione 2008 di “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi”

Dopo questo abbozzato elenco che soltanto in minima parte racconta l’escalation del drammaturgo, sceneggiatore e regista formatosi alla Scuola di Drammaturgia di Eduardo De Filippo, lo scorso anno per Fila37 Edizioni di Roma, una tra le più innovative case editrici indipendenti, ha pubblicato “L’amico imperfetto” (pp. 277, € 18,00), il suo primo romanzo che scava nella migliore tradizione della psicologia analitica archetipica, che fu propria dell’americano James Hillmann, indagando alcune funzioni dei rapporti amicali tra persone legate da un solo “elemento”, nonostante la diversità nel concepire la vita.
I due protagonisti, il Principe e Luciano, non fanno mai a meno l’uno dell’altro, sicché come madre natura vuole, uno dei due muore, lasciando in una confusa discesa verso gli inferi l’altro. Il romanzo, che è stato un successo sin dall’uscita sugli scaffali delle librerie, presenta uno stile che potrebbe essere normale per chi ama gli stili alternativi; o scioccante per chi patisce i cambiamenti; o ancora contestato da chi è chiuso nella gabbia della triade “cuore-sole-amore”.

Mercoledì 14 dicembre, alle 18, nella sala incontri delle Ciminiere di Catania, Galli presenterà per la prima volta il libro nella sua Catania. Durante l’incontro – con il patrocinio del Comune di Catania e la partecipazione della responsabile scientifiche linee museali, culturali e scolastiche Cinzia Torrisi – gli attori Ornella Giusto e Agostino Zumbo leggeranno stralci del romanzo che segna l’esordio letterario di Rosario Galli nel solco dell’ironia e della sagacia cui ci ha abituati con le sue pièce.

Uscito alla fine dell’anno scorso, il romanzo finalmente approda nella città che le ha dato i natali. Cosa si aspetta dal pubblico etneo?
«Il romanzo è sì uscito alla fine del 2021, ma ho iniziato a presentarlo a marzo e concludo questo primo anno volutamente nella mia amata città. Mi piacerebbe che ci fossero tanti catanesi, per poter esprimere loro il grande, smisurato, affetto che sento per questa città, dove ho vissuto troppo poco. Poi, come diceva il grande Ennio Flaiano, il mio più grande timore è di essere capito fino in fondo. Non mi aspetto niente di più di ciò che vorranno dare, se decideranno di farlo».

Galli, lei sviluppa la sua trama omettendo quasi del tutto la punteggiatura. Nella sua scala di valori, qual è la motivazione di questa scelta stilistica?
«La motivazione principale potrebbe essere che detesto i punti e virgola e i puntini di sospensione… Ops eccoli, sono sempre in agguato. Oltre le battute, però, c’è un motivo profondo e di struttura narrativa che appartiene alla volontà di dare una forma aderente al flusso di coscienza del narratore il quale si trova in una situazione – qui il bravo scrittore avrebbe messo i tre famosi puntini, io preferisco interrompere – e continuare dicendo “Ops sto per svelare qualcosa” che occorre, invece, tenere nascosto per il lettore che avrà voglia di scoprire cosa si nasconde dietro il delirio del Principe».

Rosario Galli col suo primo romanzo

Rosario Galli col suo primo romanzo

Lei narra di dodici donne che condizionano la vita di uno dei due protagonisti. Come mai ha scelto la funzione di un uomo, che nella contemporaneità di quegli anni (il trentennio dagli anni 50 agli anni 80) vive la vita, come si direbbe alla carlona, “a mille” e quella dell’altro molto più riflessivo, seppur non si compensano?
«I due protagonisti sono amici fin dall’infanzia, o quasi. Crescono insieme, diventano grandi insieme, attraversano tutte la fasi della vita insieme, pur masticando i giorni e i fatti con velocità diverse, e proprio perché il Principe corre a velocità folle, Luciano rallenta, frena, è il contrappeso naturale che zavorra l’amico impedendogli di schiantarsi al suolo da un terzo piano di una finestra dalla quale vorrebbe gettare un collega. Le donne del Principe sono tutte quelle che l’asceta e filosofo Luciano trasmuta in libri, letture, saggi, opere, lettere a una sola donna idealizzata. Loro due si compensano perfettamente».

C’è volontà di proporre una variazione del monologo teatrale in quei passaggi dove la scrittura non è mai intervallata da alcuna punteggiatura?
«Sì. Per quanto abbia cercato di dimenticare la mia vocazione teatrale, qua e là, in diversi momenti, forse in molti momenti, non so, in modo del tutto involontario, affiora il dialogo e il monologo, il contrappunto e il coro, quegli elementi drammaturgici che mi hanno perseguitato tutta la vita».

Il suo romanzo richiama, in lontanissima memoria, “Il lercio” di Irwin Welsh, dove la narrazione è spesso interrotta da aspetti onirici, rappresentati anche graficamente. Lei, invece, intervalla con citazioni e esternazioni lontane dalla stesura lineare che invece è novità assoluta, e presenta addirittura poesie, non come tratti distaccati, ma come uno degli elementi del grande contenitore. Qual è il suo messaggio in proposito?
«Non amo parlare di messaggio e fuggo da ogni forma di insegnamento. Sono sempre stato fermo e convinto sostenitore dell’autonomia del lettore (o dello spettatore) e della sua capacità di giudizio e di critica, anche feroce e spietata. La poesia è una delle quattro gambe che sostengono il tavolo (la sua vita) costruito dal Principe. Non si può vivere senza poesia. Da quasi trent’anni, propongo che in tutti gli uffici, pubblici e privati, e le scuole, e le fabbriche, ovunque ci sia un lavoratore, venga istituita per legge invece che la pausa caffè, la pausa poesia. Alle undici tutti fermi, per cinque, dieci minuti, per leggere un testo poetico».

Entriamo nel merito di Luciano: questi è terapeutico per il Principe. Quest’ultimo, potrebbe esserlo per Luciano? E se si, in quale forma?
«Storia di amicizia e amore, che provengono dalla stessa radice etimologica, amicus, colui che si ama, il Principe e Luciano, due metà di uno, Giano bifronte, medaglia con due facce, Jekyll e Hyde, Io a Alter, l’altra metà dell’Io, la enorme smisurata fortuna di trovare se stessi in un altro, così diverso, apparentemente, e così vicino. Molti lettori mi dicono che nella storia chi prende è solo il Principe, e Luciano serve solo a dare e salvare l’altro dal precipizio. Io per tutta la vita mi sono chiesto “ma se tante persone mi hanno dato amore e sono state generose con me, forse qualcosa avrò fatto per meritarlo, o no?».

Dalla sua discesa agli inferi, il Principe sarà deus ex machina di questo straordinario romanzo, con un colpo di scena, al quale mai si è assistito né immaginato durante la lettura. Non ha temuto il rischio, seppur riprendiamo ciò che le ho chiesto prima, che una parte della narrazione possa stancare il lettore nell’assenza di punteggiatura?
«Sì. Sapevo che qualcuno avrebbe detto, ma che fatica, ma come si fa a seguire questo vortice, aspetta un momento ma chi sta parlando adesso, ma qui non ci vorrebbe un punto interrogativo, e le virgolette, perché adesso questo dice e cosa dice, ma questa vicenda non l’aveva già raccontata prima, aspetta un momento oddio chi ci raccapezza più, Luciano non era già morto, allora adesso il Principe sta ricordando e poi scusa ma di questa donna ne aveva già parlato al capitolo. Oddio no, basta, non ce la faccio, ma questo signore dovrebbe imparare a usare la punteggiatura, ma perché lo hanno pubblicato. Lo so, qualcuno, in verità solo un paio su molte centinaia finora, hanno faticato o lo hanno trovato illeggibile, tutti gli altri si sono lasciati trasportare dal flusso, dalla corrente, dal caos e alla fine, all’ultimo capitolo, hanno aperto la bocca in un sorriso e sono stati ripagati dalla fatica. E molti, moltissimi, hanno ricominciato a leggerlo dall’inizio».

Rosario Galli nel suo habitat naturale

Rosario Galli a teatro, il suo habitat naturale

Può essere il suo stile, unico nel suo genere, una forma di insegnamento che passa dalla semplice lettura all’architettonico passaggio del “mettere in scena”, dove una amnesia improvvisa di un attore deve subito trovare una soluzione? L’abbandono della lettura lascerebbe intendere che il suo interesse è anche quello di instillare gocce di preparazione al palco, alla vita, proprio come l’ha vissuta il Principe?
«Questa domanda è talmente bella e intrigante e formulata bene che contiene in sé già la sua risposta e quindi non posso, ma soprattutto devo, limitarmi a annuire compiaciuto per confermare silenziosamente quanto affermato».



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