Libri e Fumetti Quando deve acquietare l'anima, giunge a condizioni quasi mistiche sull'isola delle Egadi dove si è ispirato ed ha scritto "Nella terra del tempo sospeso. La leggenda dell’isola senza orologio" (Edizioni Efesto), romanzo d'esordio del giornalista catanese Francesco Lamiani: «In parte la storia nasce da un fatto realmente accaduto, da giornalista dovevo partire da un dato concreto, da un fatto. L’episodio dell’orologio è un simbolo, esempio della resilienza della gente che vive a queste latitudini»
Un orologio imballato e spedito dagli Stati Uniti d’America non arriva a destinazione… bensì a pochi chilometri dalla destinazione medesima. In questo luogo dove erroneamente viene consegnato, i destinatari ufficiali, saputo dell’errore, si attivano per riaverlo: è questo l’oggetto di “Nella terra del tempo sospeso. La leggenda dell’isola senza orologio”, debutto alla narrativa del giornalista (e non solo) Francesco Lamiani, che si è gentilmente prestato ad una lunga chiacchierata con noi, per capire quale messaggio può partire da un orologio e quanta armonia può intingere la parola scritta specie se si è abituati a leggerla in deontologia e stile giornalistico. Sia i media, che gli addetti ai lavori che il pubblico di curiosi, su scala nazionale, stanno restituendo positivo riscontro, tanto da riempire le sale in giro per l’Italia (qualche foto la troverete scorrendo l’articolo) che lo hanno ospitato per conoscerne emozioni e motivazioni!
È scontato il paradosso che dell’incipit appena sopra riportato, sembrerebbe non esservi nulla di interessante, ma non vi lasciamo dubbi: Lamiani passa dalla scrittura giornalistica alla narrativa dimostrando e confermando la sua meticolosa e precisa ricerca dello stile e dei contenuti.

Presentazione del romanzo al “Libraccio” di Firenze
Accolti con entusiasmo tra una battuta sul gioco del calcio e amicizie in comune abbiamo iniziato a dialogare cercando di capire messaggi e ispirazioni che hanno dato alla luce “Nella terra del tempo sospeso. La leggenda dell’isola senza orologio” (pubblicato dalla romana Edizioni Efesto, pp. 140, € 15,00), il romanzo per il quale l’autore catanese sta ampliando il suo pubblico di lettori.
Caro Francesco, a tuo parere personalissimo, quanto e cosa cambia tra scrivere un articolo giornalistico ed un romanzo?
«Fondamentalmente il giornalista scrive oggi per domani o al massimo per qualche giorno dopo. E nelle sue tante e nuove definizioni ormai, un giornalista ha comunque il dovere di restare saldamente ancorato alla verità per il rispetto che si deve ai protagonisti di un fatto e soprattutto ai propri lettori. La scrittura di un romanzo, invece, libera completamente la fantasia lasciandoti la possibilità di correggere il tiro, allungare o accorciare a seconda delle necessità. Tuttavia ti mette completamente a nudo e vengono fuori lati del carattere che pensi di non avere o che provi a nascondere. Probabilmente è stata proprio questa timidezza, che sconoscevo, a tenere per tanto tempo il manoscritto dentro ad un cassetto. Mi spiace solo non averlo potuto condividere con alcune persone che se ne sono andate prima del tempo…».
Spiace sempre non poter condividere con chi si ama, specie quando gli addetti ai lavori si mostrano interessati positivamente a un esordio che sta scuotendo i lettori e ha delle ottime valutazioni. A proposito, quando hai deciso di immergerti nella narrativa?
«Tutto ha avuto inizio quasi per caso molti anni fa, nel 2008. Mi ero appena trasferito a Roma per lavoro dopo una lunghissima estate – l’ennesima – a Marettimo e lo choc è stato tremendo! In pratica, nel giro di pochi giorni, sono passato da una comunità piccolissima, lenta ed accogliente, alla città più grande d’Italia con ritmi e stili di vita asfissianti specie per chi aveva passato mesi scalzo e in pantaloncini. All’epoca mi occupavo di sport per una pay-tv e nonostante passassi le mie giornate a scrivere articoli per meritarmi lo stipendio, ho avvertito la necessità di buttare giù alcune pagine di quello che poi, solo anni dopo, è diventato un romanzo. E’ stato un atto terapeutico, un modo per avvicinarmi, almeno con i pensieri e l’intimità che ti dà la scrittura, a quello che considero il luogo più bello del mondo».

Francesco Lamiani
“Nella terra del tempo sospeso” è il tuo debutto assoluto alla narrativa? O ci sono state esperienze di racconti sparsi, magari in antologie, riviste e altro?
«Ho fatto sempre il giornalista. Appartengo, fortunatamente, a una delle ultime generazioni che doveva recarsi fisicamente in un posto per rendersi conto di cosa fosse accaduto: è stata una palestra professionale straordinaria. Più recentemente sono “passato al nemico” cioè seguo vari uffici stampa prestando così le mie parole ad altri. E’ stata proprio la necessità di scrivere qualcosa di mio a farmi riprendere quelle pagine che avevo iniziato molti anni prima a Roma, ma solo lo scorso ottobre ho avuto il coraggio di farle leggere a qualcuno. Prima è stata un’amica, poi la mia fidanzata e alla fine è arrivato Alfredo Catalfo di Edizioni Efesto che ha accettato, con mia grande sorpresa, di pubblicare il libro. Non finirò mai di ringraziarlo».
Chi sono i tuoi riferimenti in letteratura?
«Ciò che ho dato alle stampe è quanto di più lontano dalle mie letture. Leggo soprattutto saggi e testi storici, ma se proprio devo individuare qualcuno penso a Mario Soldati, Antonio Pennacchi o Giovannino Guareschi perché hanno raccontato un’Italia che sta scomparendo o che, purtroppo, già non esiste più».

Seppur le sue letture preferite privilegiano la saggistica, Giovannino Guareschi, il padre di “Don Camillo e Peppone”, è un autore amato da Francesco Lamiani
L’orologio come metafora: cosa ti ha ispirato e quanto c’è di vero?
«La storia che narro in parte è un fatto realmente accaduto, magari non è andata proprio così come racconto, ma da giornalista dovevo partire necessariamente da un dato concreto, da un fatto, altrimenti probabilmente non avrei mai cominciato. Per anni, in silenzio, ho prestato ascolto a ciò che dicevano gli anziani di Marettimo ed ho unito i puntini come si fa con quei giochi della Settimana Enigmistica per comporre la figura. Ovviamente, ne ho aggiunti diversi altri io, frutto della mia fantasia, che sono serviti a definire tutto il racconto. Se devo dirla tutta però, l’orologio mi è servito come fil rouge del libro, una storia cioè che fosse utile per intercalarne delle altre, anche se è vero che la macchina in questione è quanto di più inutile in un luogo dove i tempi sono scanditi tuttora dalle corse dell’aliscafo e dai venti che stabiliscono quali zone dell’isola sono raggiungibili e quali no».

La relatività del tempo: “La persistenza della memoria” di Salvador Dalì, 1931, olio su tela, 24 x 33 cm. New York, Museum of Modern Art (MoMa)
Il romanzo ha come focus le isole, una sola è citata: le hai visitate nella fantasia e/o nella realtà?
«Assolutamente sì! Eppure, volutamente, nel romanzo scrivo solo una volta il nome dell’isola: Marettimo che è il mio luogo dell’anima, popolato da persone straordinarie che non mi hanno mai fatto sentire un turista e nemmeno un viaggiatore. Per alcuni sono stato figlio, fratello per altri, i più giovani, addirittura padre. Come ho detto tante volte: non è luogo da vedere ma da vivere».
Tra i personaggi più rilevanti del romanzo c’è Franco, e racconti come un momento di grande strazio la morte di suo padre. Ci sono riferimenti che hai osservato nella realtà o che hai vissuto?
«Come tanti, ho vissuto anche io gravi lutti familiari che come tali segnano per sempre, lasciano cicatrici profonde che provi a curare con i rimedi che la vita ti offre. L’episodio a cui fai riferimento, però, è collegato ad una persona di Marettimo che ho amato esattamente come un parente prossimo, quindi la sua dipartita è stata un dolore profondo che ha coinvolto ogni abitante dell’Isola. In una comunità piccola le gioie sono di tutti, parimenti lo sono gli eventi tragici».

Il porto dio Marettimo, foto di Jim (Losanna, Svizzera) CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17686221
Lucia, la donna innamorata di Franco sin da adolescente, sposerà un altro e lo stesso Franco sposerà a sua volta un’altra donna: che significante hai voluto porre in auge?
«Vuoi la verità? Odio i lieto fine! Anche perché, nella vita di tutti i giorni, il “vissero tutti felici e contenti” sta diventando sempre più raro. E poi, se mi consenti, sarebbe stato tutto troppo semplice…».

Francesco Lamiani in posa da oratore
A proposito di Lucia, sceglierà di far politica. Ti chiedo: amministrare la polis, metterci dentro le mani, può avere un ritorno legittimo e specialmente legale, per ottenere ciò che spetta senza clientelismi (nel nostro caso la diatriba e l’errore della consegna dell’orologio in altra isola)?
«Le piccole comunità, spesso, sono abituate ad autogestirsi perché tante volte la burocrazia non fa in tempo a risolvere i problemi o quanto meno non riesce ad anticiparli. Il “parlamentino” di cui scrivo in apertura del romanzo per anni e anni ha dato delle regole alla comunità scontrandosi, come è logico, con le novità portate dai turisti che hanno cominciato a frequentare l’isola contaminando così i più giovani. Internet, i social e la globalizzazione hanno completato l’opera. Sono fermamente convinto che le regole vadano pienamente rispettate, ma sono altrettanto rispettoso delle norme di buonsenso, quasi sempre non scritte, che determinano il tratto di una società rendendola unica e diversa da un’altra. Credo sia la forza dell’Italia: siamo un popolo profondamente eterogeneo, specie nei comportamenti, che nelle proprie specificità diventa straordinariamente unico e solido».

Uno squarcio panoramico della magica Marettimo. Foto tratta dal blog “La prof con la valigia” di Giulia Zanca https://www.laprofconlavaligia.it/marettimo-in-un-giorno/
Chiosiamo facendo un parallelo che merita d’esser fatto. Dal titolo del romanzo emerge anche il concetto di tempo, Heidegger ne parlò, studiò e teorizzo. Lo fa anche Francesco Lamiani ma, a nostro parere, non seguendo le orme del filosofo tedesco e ciò gli rende merito. Nella descrizione del tempo che fa Lamiani, la vita corre lenta, magnificando la possibilità di una prospettiva ontologica migliore, anche se non mancano i dispiaceri per quell’orologio mai giunto, che mette in moto un meccanismo di rivalsa, grazie – nuovamente – a Lucia che decide di occuparsi della cosa pubblica.

L’autore in barca
Se esiste, dove collochi la riflessione del tempo “lamianiano”?
«L’ho annunciato prima: Marettimo, che per me è il posto più bello del mondo, non va vista ma vissuta. Qui il tempo non è denaro, ma ha un valore decisamente più prezioso perché riesce a riportarti alla qualità stessa degli attimi che trascorri in una zona precisa o con una persona. Occorre prestare ascolto perché l’isola ti parla ed è quello che ho fatto inconsapevolmente per tanti anni scoprendo, o forse riscoprendo, il piacere delle piccole cose. L’episodio dell’orologio è per l’appunto un simbolo, è l’esempio stesso della resilienza della gente che vive a queste latitudini, una comunità fiera ma gentile, forte ma ospitale, legata alle proprie radici ma pronta ad innovarsi per non rinunciare, nonostante tantissime difficoltà, al diritto all’esistenza nel luogo in cui è nata e che difenderebbe ad ogni costo».
Un’ultima domanda. Francesco Lamiani non è solo giornalista e romanziere, è/è stato anche conduttore radiofonico e televisivo, dj e quant’altro?
«È vero, ho avuto molte vite e non ne rinnego nemmeno una. La mia prima grande passione, da ragazzino, è stata la musica con la radio. Quasi contemporaneamente sono arrivate le serate in discoteca e per molti anni, in parallelo, ho fatto convivere l’esperienza da dj con l’attività da cronista che in realtà era il mestiere che volevo fare fin da bambino. Per tanto tempo ho dormito veramente poco, ma alla notte devo tanto perché mi ha dato la possibilità di conoscere molte persone tra cui Umberto Teghini ed il compianto Natale Zennaro. È grazie a loro che ho cominciato a fare tv ed appassionarmi appieno al mondo della comunicazione che, fortunatamente ma con grande abnegazione, sono riuscito a declinare nelle sue tante sfaccettature. Per questo quando ho rivelato di avere scritto un libro, nessuno dei miei amici e colleghi immaginava una roba del genere, così distante dal mio vissuto professionale ma vicinissimo a quello umano, privato. Sinceramente l’unica definizione che non mi sento addosso è proprio romanziere… Io sono un nano rispetto a chi può fregiarsi di questo titolo! Certamente sarò sempre un giornalista».

Giornalisti con la passione per la console: Francesco Lamiani con il collega e amico Luca Ciliberti durante la serata “Pomeriggio boomer” che si è tenuta nella piazza del Castello Ursino a Catania la scorsa estate, foto Roberto Viglianisi
Commenti