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Capossela o della musica poetica, anzi poeticissima

Recensioni In una calda domenica di fine ottobre, “l'opera” che va in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania è il rito della nuova setta dei poeti estinti del pop, dove il nostro “capitano” concertatore è Vinicio Capossela. I velluti rossi diventano luogo militante, inadatto ai qualunquisti e “ma-anchisti”. Ci sono “Tredici canzoni urgenti” da ascoltare e riascoltare, e meditare, e metabolizzare. L'ultimo album è il più intenso in termini di contenuti e di pensiero delle sue ultime produzioni

“Sul divano occidentale / Arruolati da sdraiati / Disputiamo, guerreggiamo / Interventisti, sul divano”. Patti chiari e amicizia eterna: non siano tra i velluti rossi del Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania come comfort zone dell’intrattenimento borghese. No, “l’opera” che va in scena è il rito della nuova setta dei poeti estinti del pop, dove il nostro “capitano” concertatore è Vinicio Capossela. In questa calda domenica sera di fine ottobre (dopo Ragusa il 28 e prima di Palermo il 30) Vinicio non è nella consueta veste (almeno, non solo) di poliedrico trasformista della canzone popolare. Attenzione, popolare nel senso più alto del termine, perché pesca dal folk delle radici, dalla canzone “significante” d’autore, dal rock estetico ed estemporaneo, dalla eclettica combine di stili musicali, alti e bassi, colti e ignoranti, nobilitati da una veduta d’insieme unica, mirabile, ironica, mai scontata. Vinicio non è mai uguale a sé stesso (e questa non è una novità), ma ciò che sorprende ogni volta è che riesce sempre a sorprenderci. Ancora una volta, in una sola parola Capossela è: spiazzante.

Capossela e band sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini di Catania

Il Teatro Massimo Bellini, tempio catanese della musica alta, classica, colta, già più volte messo a disposizione del pop più colto e innovatore, nella mani di Capossela diventa luogo militante, inadatto ai qualunquisti e “ma-anchisti”. Ci sono “Tredici canzoni urgenti” da ascoltare e riascoltare, e meditare, e metabolizzare. L’ultimo album, pubblicato ad aprile, è certamente il meno originale in termini musicali della ricca discografia del cantautore teutonico di nascita ma di radice irpina, ma è il più intenso in termini di contenuti e di pensiero delle sue ultime produzioni. Un disco impegnato si sarebbe detto una volta, dove le tematiche sociali e legate all’attualità hanno bisogno delle parole per essere sviscerate, e le trovano. Non è un caso che abbia vinto ancora una volta la Targa Tenco come migliore album, la quinta della sua carriera. E’ un disco poeticamente politico.
“Metti un po’ di musica poetica che ho bisogno di mente, anzi poeticissima…” verrebbe da cantare, parafrasando i menestrelli Colapesce e Dimartino, per descrivere l’atmosfera che si vive nel teatro lirico catanese. Ci vogliono menti e corpi attivi, svegli, sulle scarlatte poltroncine del Bellini.

Ragusa, Catania e Palermo per le tredici canzoni urgenti di Vinicio Capossela

“Sul divano occidentale” che apre il concerto, con tanto di divano che ci attende oltre il sipario, tra beat, rock e reggae, ti sputtana gli opinion leader col telecomando: “Col deretano sul divano, guerreggiamo / Con sguardo bovino ci diciamo da vicino / Che resistere, resistere, è il modo per esistere”. “All You Can Eat” con un ruffianissimo ritmo funky gira il dito nella piaga del consumismo più cerebroleso dove il cibo è il nuovo oppio dei popoli: “Mangiati il sistema, mangiati il low cost / Divorati la terra, divora il permafrost / C’è la convenienza, c’è la quantità / Non devi più scegliere, sei la divinità”. Con un tocco western “La parte del torto” cita Brecht e nel marasma qualunquista che ci domina rivendica di stare dalle parte del giusto: “Tutti parte del torto / E non c’è parte del giusto”. “Staffette in bicicletta” è una filastrocca tipicamente caposseliana che, coadiuvata dal bellissimo controcanto muliebre della violoncellista Daniela Savoldi, rende omaggio alla staffette partigiane e condensa il pensiero del Vinicio militante: “Questa è la libertà: azione e responsabilità”. “Il bene rifugio” melodicamente è buonismo allo stato puro, una ballata che scardina il valore occidentale del prezzo dei sentimenti: “Se la ragione è in svalutazione / L’amore è rivoluzione”.

Foto Michele Piazza

Wow, e siamo solo all’inizio. La parola è tutto in questo interscambio maieutico fra palcoscenico e platea, tra maestro e discepoli. Come Socrate anche Vinicio sa di non sapere, perché la verità la dobbiamo cercare dentro di noi. La scenografia di questo concerto è essenziale, sobria per una volta, una selva di lampadine che si alternano per dare corpo e luce alle emozioni. Ecco che Capossela pigia ancora i tasti del cuore con la quasi trentennale “Non è l’amore che va via”, tratto dall’ormai mitico “Camera a sud” del 1994.
“Les jeux sont faits”, il pubblico che gremisce il Bellini è rapito. Dei “mala tempora” che ci dominano oggigiorno fa parte il problema del rispetto delle donne troppo spesso vittime di sopraffazione maschile, cui è dedicata la toccante “La cattiva educazione”, corroborata dalla voce di Daniela Savoldi, che gioca sulle rime di “Bella ciao”: “Questa mattina non mi son svegliata / E l’invasore ce l’avevo in casa / Inseguita, controllata, minacciata / Nel tossico vestito dell’amore”. “Minorità” affronta a muso duro il tema delle carceri e dell’abbandono del concetto costituzionale della riabilitazione ormai sopraffatto dal sentimento dilagante della punizione afflittiva. E Capossela dedica la canzone, toni soft per temi duri, alla storia dell’ergastolano catanese Salvatore che ha ispirato quel racconto: “A chi servirà una pena che non sa cambiare ma solo consumare?”.



Non dimentica i bambini Capossela, indifesi testimoni di un mondo sempre più brutale e violento con loro. E se “Cha cha chaf della pozzanghera” esalta in maniera giocosa e latina l’anima infantile di ciascuno di noi mai timorosa di essere creativa sporcandosi, “La crociata dei bambini” è un commovente abbraccio melodico all’innocenza da sempre prima vittima delle guerre, seguita dalla verità. E se il brano nasce per dare voce ai piccoli ucraini martoriati da una guerra che sembra non finire più, oggi è la voce di quelle migliaia di bambini morti in maniera cruenta nella folle, folle, folle faida tra Hamas e Israele. No, Vinicio, così non vale, così ci fai piangere…

Sulla luna c’è il senno degli umani e non c’è traccia di follia, ci raccontò Ludovico Ariosto in “Astolfo sulla luna”, la follia è tutta in terra. Ed eccola la luna, casa eletta dei poeti, una bella luna gonfiabile che scende sul palco a monitorare ciò che accade sul palco, accompagnata dalla belliniana “Casta diva”, preghiera della sacerdotessa Norma al corpo celeste. Con “Ariosto governatore” (Ariosto governò per tre anni la Garfagnana), Capossela ci dona la riflessione di un uomo anziano che capisce che sulla terra dominata dalla follia non gli restava che “donar parole”.

“Quando la politica diventa spettacolo – spesso incivile – allora lo spettacolo deve diventare politica”. Capossela fa propria questa frase del filosofo tedesco di religione ebraica Walter Benjamin e in questo concerto “urgente” non può che esserci quella “Santissima dei naufragati”, una sorta di spoken world con lirica di intermezzo che cantava il destino amaro di chi perdeva la vita in mare. Un brano nato nel 2002 con la compilation “Matri mia” della Banda Ionica di Fabio Barovero e Roy Paci. «Un brano tristemente profetico» commenta Capossela pensando ai tanti migranti morti in mare. Un brano che fa pendant con “Povero Cristo”, umanizzazione del Salvatore che scende dalla croce impotente davanti alle brutture e alle violenze dilaganti: “E intanto nel mondo una guerra è signora della Terra”.

Il pubblico applaude e esalta ogni brano. E mentre “Gloria all’archibugio” sfotte i guerrafondai di tutte le ere, la chiusura del set principale è affidata a tre brani che fanno tornare il sorriso sui volti di tutti. “I musicanti di Brema” è una un giocoso inno bestiale ai diseredati di ogni landa. “Maraja” ha sempre il travolgente ritmo che fece grande quell’album – “Canzoni a manovella” del lontano 2000 – e permette al nostro “capitano” di travestirsi da lugubre, ma divertentissimo, Igor di Frankstein Junior per prendere in giro il fascismo italico mai sopito. “Che coss’è l’amor” è la quintessenza del Capossela sornione, maestro cerimoniere dell’urgenza dell’amore.

“Marajà” e il suo immancabile turbante

Non c’è neanche bisogno di sbraitare più tanto per chiedere i bis, che la stupenda banda torna sul palco: gli alfieri di Capossela sono Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria, Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra, Raffaele Tiseo al violino, Daniela Savoldi al violoncello, Michele Vignali al sassofono.
Il primo bis è un simpatico compromesso fra un’anima barocca alla Pergolesi e quella più naturalmente più swingante di “Come una rosa”, altro classico dei classici. Il caldo torrido che pervade il teatro è un ottimo mood ispiratore per «un pezzo afoso» quale “Camera a sud”, title track dell’omonimo album. E se caldo chiama caldo, e sud chiama sud, tocca all’iblea “L’uomo vivo”, plastica rappresentazione della bellissima e frenetica processione pasquale di Scicli, rompere le righe e mandare tutti in estasi fra canti e balli.

Come in quasi tutti i concerti di questo tour, Capossela chiama un ospite sul palco. E a Catania non poteva che essere l’amico di sempre Jacopo Leone, artista etneo a tutto tondo da anni esule culturale a Parigi. Con un carillon in mano Jacopo accompagna la ballata “Con i tasti che ci abbiamo”. Capossela: «Quando mancano dei tasti dal pianoforte bisogna cercare melodie con quelli che sono rimasti. Il nostro concerto vorrebbe essere un invito a fare con quello che si ha, a fare dei limiti una possibilità e soprattutto a non avere paura di sbagliare».

Jacopo Leone ospite del concerto di Vinicio Capossela

Con Vinicio non si sbaglia mai. Dopo due ore quasi e mezzo di musica e bellissime parole, si esce dal teatro rinfrancati. Un concerto di Vinicio Capossela ti rimette in sesto meglio di una seduta dallo psicologo, è più salutare di un massaggio shiatsu, ti sazia meglio di una cena gourmet. Dovrebbe prevederlo il servizio sanitario nazionale.

L’ovazione finale del Teatro Massimo Bellini di Catania a Vinicio Capossela e i suoi musicisti



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