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“Una piccola formalità” di Alessia Gazzola, quel passato inedito che fa di Rachele una donna nuova

Libri e Fumetti La 30enne giornalista Rachele Braganza è la protagonista del nuovo romanzo scrittrice messinese. Nel romanzo “Una piccola formalità”, edito da Longanesi, la giornalista vive a Milano dove scrive di lifestyle e quando si ritrova per questioni di vita privata a doversi confrontare con argomenti di eredità ed atti notarili è come un pesce fuor d'acqua

Una giornalista protagonista del nuovo romanzo di Alessia Gazzola. La 41enne scrittrice messinese mostra una poliedricità narrativa fuori dall’ordinario, una notevole fantasia e una capacità di saper mutare registro linguistico. E con una vena di ironia che rende la lettura dei suoi libri ancor più interessante. Nel romanzo “Una piccola formalità”, edito da Longanesi, la giornalista Rachele Braganza è al centro della storia. Lo scenario è Milano, città all’avanguardia nell’economia e nella moda. Rachele scrive di lifestyle sulla nota rivista Chic&Glam. Non è certo un’esperta di questioni giuridiche, e quando si ritrova per questioni di vita privata a doversi confrontare con argomenti di eredità ed atti notarili è come un pesce fuor d’acqua. Il punto è che la scelta che ha dinanzi non è semplice, ed è resa ancor più complessa dal fatto che suo padre ha già rinunciato apriori all’eredità lasciata dal fratello.

Dunque, l’erede diretta è la nipote, ovvero Rachele. Uno zio di cui sapeva pochissimo, quasi nulla. La curiosità giornalistica si unisce a quella per l’eredità.
“In me vive una giornalista, comunque. La curiosità è la mia seconda pelle. E si prova una sensazione strana a ricevere un pacco sorpresa, una sottile eccitazione. Mio padre ha liquidato la cosa sotto la spinta di una componente affettiva, e vuole che faccia altrettanto. Ma io quella componente affettiva non ce l’ho, non potrei averla verso uno zio che di fatto non ho mai veramente conosciuto. E c’è qualcosa che comunque mi intriga nella risolutezza con cui mio padre vuole lasciarsi alle spalle la faccenda. Perché si è sempre evitato di parlare di questo zio confinandolo ai margini delle nostre vite come un fantasma? Ora che lo è davvero forse è il momento di spiegarmi cosa è successo, cosa li ha divisi. Debiti, debiti. Ho davvero ereditato debiti? E se sì, con chi? Non che abbia voglia di pagarli, ovviamente. Non riesco ancora a estinguere i miei, tipo quelli che ho con le varie finanziarie per lo smartphone e il MacBook Air, figurarsi se mi interessa pagare debiti altrui. Ma nessun cancelliere del tribunale mi dirà cosa la sorte mi abbia assegnato attraverso un giro tutto suo”.

Alessia Gazzola

Suo padre vorrebbe che anche lei rinunciasse, ma Rachele non la pensa allo stesso modo. Vuol capire, vuol vederci chiaro, vuol anche comprendere meglio chi era davvero suo zio.
Si fa aiutare da un compagno del liceo che è diventato notaio. Il suo nome è Manfredi Malacarne, un trentenne di successo a cui non difetta il fascino. Ed accade anche che Rachele, nello stesso periodo, viva la triste rottura del suo storico rapporto con il fidanzato Alessio. E’ lo stesso fidanzato, per una strana coincidenza del destino, a spingerla a rivolgersi al giovane notaio.
“Chiamo Alessio su WhatsApp, per parlare con lui. Gli riepilogo i fatti e ammetto che non ho intenzione di seguire alla cieca le direttive di mio padre”.
«Perché hai sempre questo vizio di complicarti la vita? Tuo padre sa quel che fa. Ma poi è logico: ci fosse stata ciccia, non avrebbe rinunciato».
«Lo frena la componente emotiva: non vuole aprire la scatola dei ricordi».
«E tu sì, invece?»
«Ma io non ho ricordi! Questa è la differenza».
«Okay, hai già deciso. Vuoi solo che ti dica: giusto, certo, fai bene».
«Come stanno andando i tuoi appuntamenti?».
Frettolosamente risponde:«Sì, sì, tutto bene qui. Rachi, senti… devo andare.»
«Tranquillo. Io intanto mi cerco un notaio. Tu ne conosci qualcuno? Scarto l’idea di rivolgermi allo stesso di mio padre: dato che ho intenzione di saperne di più, credo sia meglio che i due vasi non comunichino.»
«Ma figurati.»
Ci salutiamo, lui però mi richiama un minuto dopo esatto:«Sì che lo conosco un notaio. Malacarne.»
Certo. Manfredi Malacarne, anche lui, come noi, provenienza terza A del Liceo Parini.
«Oddio, non so se è una buona idea».

Gazzola durante un firmacopie de “Una piccola formalità”

L’incontro con il notaio riserva delle sorprese: “Mi volto verso le due porte battenti della sala d’intesa, sulle quali è appoggiato un uomo alto, dall’incarnato chiaro, i mossi capelli castani un po’ più ordinati di come ricordo io e una semplice camicia azzurra che sottolinea due begli occhi dello stesso colore sotto sopracciglia dritte e scure. Non è un viso bello di primo acchito, ma – esattamente com’era al liceo, se non di più – lo è al secondo, quando ti prendi un paio di minuti per guardarlo meglio e accorgersi che il suo sguardo è furbo, fiammeggiante e che il suo sorriso fa onore alla categoria dei dentisti.
«Ciao, Manfredi» dico porgendogli la mano, rigidina come se fosse un estraneo, perché in effetti questo giovane professionista è uno sconosciuto, ma lui la tira e mi stringe in un abbraccio che mi lascia esterrefatta. Un abbraccio amabile, nostalgico, sincero. Che peraltro mi schiaccia le tette coppa 4 C che sono il mio cruccio da sempre e che cerco di camuffare tenendo la schiena curva.
«Sono dieci anni che non ci vediamo»
«Per la precisione, quindici» replico.
Assume l’espressione di chi ha ricordato di botto che da ragazzina, non meno di adesso, sono sempre stata una saputella.
Comunque il calcolo era semplice: dalla maturità. Mai più visto in tutti questi anni, ma forse è comprensibile: per vincere il concorso notarile al primo colpo si sarà seppellito in casa e lo studio, per come lo ricordo io, non era proprio il suo forte. Ma adesso siamo qui, l’una di fronte all’altro, e io mi sento quasi in imbarazzo per il brilluccichio nei suoi occhi, come se gli ricordassi qualcosa di bello che lo mette di buonumore. Il luna park del liceo, certo”.
Tra passato e presente, a Rachele tornano in mente episodi che aveva apparentemente dimenticato, ma non erano caduti nell’oblio. E curiosamente riaffiorano.
Il dialogo tra i due continua, con incontri anche fuori dallo studio legale “intreccia le mani con i gomiti sul tavolo. Poggia lo sguardo sul suo mio seno, fugace ma io lo noto lo stesso, e la sua voce si arrochisce quando dice: «Tu, Rachele Braganza, eri il sogno erotico dei miei diciotto anni». Non gli credo neanche per un minuto. «Ma va’».
«Oh, finalmente un sorriso».
«Sì, perché fa ridere».
«Non mi credi?»
«Ma se ci parlavamo poco e niente?!»
«Tanto più».
«Stai solo cercando di tirarmi su il morale, ma lo apprezzo».
«Guarda che è vero. Te lo posso anche mettere per iscritto, in un atto con l’apostille».
Non riesco proprio a prenderlo sul serio. Il ricordo che ho di Manfredi è in conflitto con qualunque tipo di interesse nei miei confronti. Eppure nei suoi occhi brilla una luce audace.
«Eri innamorato cotto di Barbara di Sant’Erasmo, me lo ricordo come se fosse ieri.»
Manfredi abbassa lo sguardo, quasi timidamente, ma lo rialza con prontezza e non fa una piega quando dice: «Il cuore di un diciottenne è multitasking. E non solo il cuore».

Rachele si immerge sempre più nel disvelamento del mistero legato all’eredità dello zio, verranno fuori segreti di famiglia. E non mancano continui colpi di scena:
“Squilla il telefono, è un numero che non conosco.
«Sì?»
«Parlo con Raquele Bragansia?»
Confermo soprassedendo sulla pronuncia del mio nome che è da attribuire a un accento spagnolo o portoghese.
«Mi chiamo Milagros Vega».
«Molto piacere» ribatto d’istinto, ma subito dopo le chiedo chi sia nello specifico e come abbia avuto il mio numero.
«Io ero la fidanzata del tuo zio Max.» Oh. Forse avrei dovuto aspettarmi che qualcuno si sarebbe fatto vivo. «Raquele, perdona se vado al sodo, ma ho bisogno di te. Abbiamo spese ma il conto di tuo zio è bloccato y servi tu per sbloccarlo».
«Ehm, signora Vega, come ha avuto il mio numero?»
«Sì, sì, poi te lo spiego, ma por favor dobbiamo stringere, qua.»
“Memore delle ammonizioni di Manfredi, credo di non poter in nessun modo far sbloccare il conto dello zio. Non adesso, per lo meno. «Signora Vega, purtroppo la mia posizione è ancora in dubbio ed è delicata. Temo di non poterla aiutare, non adesso, se non altro.» Milagros la prende male e inizia a imprecare in un misto di spagnolo e italiano da cui colgo, tirando le somme, che dovrei esserle grata del fatto che si sta occupando di tutto e che voglio solo prendermi il buono e lasciare a lei le magagne.
«Signora Vega, ci sono già stati i funerali?»
«No. Il magistrato non ha liberato la salma.»
«Eh?»
«Non lo sai, corazòn?» Il tono di Milagros è velenosamente sarcastico. «È stata fatta l’autopsia.»
«E perché?»
«Porque se fa l’autopsia? Forse qualcuno lo ha ucciso».

L’interazione con il notaio è in divenire tra il caso dell’eredità e la dimensione esistenziale:
“Apre un armadietto dove c’è un piccolo frigo, di quelli da albergo, da cui tira fuori una bottiglia di vino bianco. «Ne vuoi un bicchiere?»
«Mi sa che ne abbiamo bisogno entrambi».
«Eccome».
Ci sono vari calici, lui ne prende due messi a testa in giù. «Tornando a noi» dice mentre stappa la bottiglia con una certa praticità. «Questa cosa la dovrò verificare nello specifico, ma in caso di morti sospette l’autorità giudiziaria potrebbe sbloccare il patrimonio del de cuius».
«E quindi? Non erediterò un de cazzius?».
Sorride, ma risponde serio: «La situazione è soltanto congelata in attesa degli accertamenti necessari. Ti avviso che potrebbe essere nominato un curatore dell’eredità, che è una persona esterna, di fiducia del giudice, e in quel caso dovremo poi relazionarci con lui. A rigore, comunque, le due cose non vanno di pari passo: tu puoi accettare o rinunciare subito o dopo e a prescindere».
«Io faccio tutto quello che mi dici tu».
«Che detta così, Rachele…» replica lui, soave, porgendomi il bicchiere di cristallo.
«Cosa dovrei fare, secondo te?».
«Non posso suggerirtelo io, è una tua decisione personale.»
«Allora dimmi cosa faresti tu».
«Aspetterei qualche notizia in più sul valore dell’immobile». Ci penso. Mi sento confusa. Non li voglio, i dieci anni di tempo che bontà sua mi concede la legge. Significano dieci anni di incertezza. Voglio prendere la mia decisione e basta. E a sancirlo, trangugio il vino freddo tutto in una volta. Lui, al contrario, lo sorseggia piano osservandomi come se io fossi un cucciolo di una specie protetta”.
La storia si sviluppa, ed in maniera imprevedibile…



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