HomeRecensioni

“L’oro dei Napoli”, caduta la quarta parete uomini e pupi s’incontrano sullo stesso campo

Recensioni A 18 anni dal debutto “L’oro dei Napoli” approda finalmente sul palcoscenico più importante della città, quello del Teatro Stabile di Catania, per narrare ancora l'avvincente storia dell'antica famiglia di pupari catanesi attraverso una costruzione speculare che mescola le vicende familiari e la missione dell’eroe più amato, Rinaldo, in un testo carico di nostalgia verso un tempo ormai perduto

Nonno Gaetano era un uomo “dedito alla concretezza della vita normale”, come sellaio lavorava la pelle con il punto doppio realizzando oggetti di grande qualità al pari di una macchina industriale, senonché un giorno, per qualche ignota ragione, decise di comprare dei pupi. Era il 1921, un anno che sancì la fondazione di una delle famiglie di pupari più longeve della Sicilia, i Napoli, che furono in grado di sapersi reinventare a ogni generazione facendo di quest’arte un mestiere. È per questi naufraghi costretti negli anni a mille peripezie, che Salvatore Zinna ed Elio Gimbo – uno in veste di drammaturgo, l’altro di regista e motore di Fabbricateatro – pensano di realizzare un’opera, un “auto dramma” in cui la vita vera, vissuta, s’intreccia alle gesta di Orlando e Rinaldo. Scritto nel 2002 dopo diciotto anni “L’oro dei Napoli” approda finalmente sul palcoscenico più importante della città, quello del Teatro Stabile di Catania, inaugurandone la stagione. Una storia sofferta nella quale a vicende private s’intersecano cambiamenti sociali tanto rivoluzionari da stravolgere il modo d’intendere l’Opera dei pupi, e non solo.

“L’Oro dei Napoli” al Teatro Verga di Catania – ph Andrea Dipasquale

Un parallelismo corre tra le restrizioni attuali e la nascita della televisione, un mezzo di comunicazione di massa tanto potente che negli Anni 50 diventò parte integrante della vita delle famiglie italiane, cambiando il modo di fruire l’arte teatrale e cinematografica oltre a ridefinire i contorni del pubblico, che da compartecipe diventerà sempre più solitario. In entrambi i casi, la parola chiave sarà ricerca: di un pubblico nuovo, di un nuovo modo di raccontare; per non lasciare che le radici della nostra società si perdano definitivamente. Vero re Mida della famiglia fu Natale, figlio di Gaetano, fratello del taciturno Pippo e di Rosario, scomparso ad appena vent’anni, e a lungo pianto da nonna Giuseppina. Padre di Gaetano, Salvatore, Giuseppe e Fiorenzo; Natale era un visionario pronto a tutto pur di non mollare gli ormeggi mentre a Catania uno dopo l’altro chiudevano i teatri delle marionette. Nel 1952 toccò anche al Teatro Etna, la sala stabile della famiglia, che si trovava in via della Consolazione al Borgo. E se per lo zio Pippo tutto era finito, Natale non si arrese mai, e anzi cominciò a spostarsi nell’hinterland perché a suo dire “se a Catania è accussi, fora no”.

Sul Fiat 615 di Toni Patata, Misterbianco divenne una tappa fissa come tutti quei paesini nei quali le gesta epiche dei cavalieri attiravano spettatori provenienti da ogni dove. La rappresentazione itinerante offriva lavoro a chi l’aveva perso, anche se i gestori dei cinema avevano aperto una vera e propria “guerra” a suon di controlli Siae con i Napoli perché gli sottraevano pubblico. Furono anni di successo e gloria, in cui gli spettatori non fecero mai mancare il loro sostegno alla famiglia, proprio come ieri sera, finché la malattia privò Natale dell’uso della mano destra con la quale “aveva e dava la vita”. Era sempre stato maniante sullo scannappoggiu, ossia dava anima ai pupi grandi e a quelli più piccini diventando solo negli ultimi anni parraturi e tale rimanendo fino alla morte, avvenuta una sera all’uscita dal Teatro Valentino. Un cerchio che non si chiude e che anzi viene portato avanti dai figli, dai nipoti e dai giovanissimi pronipoti già iniziati all’arte.

“L’Oro dei Napoli” al Teatro Verga di Catania – ph Andrea Dipasquale

La recitazione voluta da Gimbo è enfatica come quella utilizzata per dare voce agli eroi, ma caricata di umanità, soprattutto da quei manianti abituati a esprimersi attraverso i corpi delle marionette. Una costruzione speculare mescola, nel racconto e nella direzione, le vicende familiari e la missione dell’eroe più amato, Rinaldo, in un testo carico di nostalgia verso un tempo perduto. Sono due i piani storici affrontati nella drammaturgia di Zinna, da una parte la narrazione familiare, dall’altra quella di un mondo in continuo cambiamento. Si scontrano, si toccano, senza però mai sovrapporsi e talvolta disorientando la platea. La perdita di valori, d’identità viene affrontata con poesia e lucida riflessione mettendo in bocca alla maschera popolare di Peppininu niente di meno che le parole di Pier Paolo Pasolini, che per lui diventa “Fasolino”. E se in alcuni momenti la trama frammentata può far perdere il filo soprattutto per chi ha perso memoria dell’intreccio epico, dall’altro alcuni passaggi risultano fondamentali a riallacciare le fila del discorso, come quando Catania si fa metafora della lontana Biserta, in cui servi e padroni si confondono. Schierati sul palcoscenico, i dodici attori in campo (Agnese Torrisi, Fiorenzo, Davide, Dario, Marco, Anna, Giuseppe, Alessandro, Ginevra, Rosario, Carlo e Italo Napoli) svelano la magia della loro professione, cade la quarta parete .

Saluti finali al Teatro Verga di Catania – ph Andrea Dipasquale

Le mura del teatro Verga si mostrano nella loro nudità mentre la scena si riempie dei teatrini dipinti da Alessandro e Fiorenzo Napoli. C’è in questo spettacolo tutta la genuinità e le sofferenze di un caposaldo artistico e culturale di Catania, ecco allora che l’evento si carica di un’importanza maggiore a un anno dal centenario dalla fondazione. Perché se è vero che l’oro dei Napoli risiede nella loro arte, è anche vero che negli anni la mala politica ha sempre maltrattato questa famiglia condannata a non avere una sede e a tenere accatastati teste, busti, pupi e cartelli in quella storica bottega al civico 55 di via Reitano, dove Garinei e Giovannini erano di casa. Una storia che trova spazio anche per le donne, da nonna Giuseppina che stava al botteghino in anni in cui l’Opera era destinata solo agli uomini, alla compianta Italia, che ha sempre rivestito un ruolo centrale in questo grande gruppo, fino alla giovanissima Ginevra, che ieri sera ha dato voce alla principessa Luneide. Marionette e uomini per una volta s’incontrano sullo stesso livello, piangenti per la morte di un valoroso eroe in carne ed ossa come Natale o per quella di Brandimarte trafitto nell’armatura lucida e nell’imbottitura. Un corteo funebre attraversa il palcoscenico con il corpo del paladino trafitto da Gradasso. Si perde in questa messa in scena un po’ della fantasia e dell’immaginazione di uno spettacolo tradizionale, ma l’intento è chiaramente un altro, far sì che il passato diventi presente e magari futuro, verso il quale i piccoli di casa Napoli, cresciuti a pani e pupi, sono proiettati.

Condividi su

Commenti

WORDPRESS: 0

SicilyMag è un web magazine che nel suo sottotestata “tutto quanto fa Sicilia” racchiude la sua mission: racconta quell’Isola che nella sua capacità di “fare”, realizzare qualcosa, ha il suo biglietto da visita. SicilyMag ha nell’approfondimento un suo punto di forza, fonde la velocità del quotidiano e la voglia di conoscenza del magazine che, seppur in versione digitale, vuole farsi leggere e non solo consultare.

Per fare questo, per permettere un giornalismo indipendente, un’informazione di qualità che vada oltre l’informazione usa e getta, è necessario un lavoro difficile e il contributo di tanti professionisti. E il lavoro in quanto tale non è mai gratis. Quindi se ci leggi, se ti piace SicilyMag, diventa un sostenitore abbonandoti o effettuando una donazione con il pulsante qui di seguito. SicilyMag, tutto quanto fa la Sicilia… migliore.