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Dalle Dolomiti alla Sicilia, con Giovanni Grasso la Grande guerra è un intreccio fra passato e presente

Libri e Fumetti “Il segreto del tenente Giardina”, edito da Rizzoli, è il nuovo romanzo del giornalista e scrittore, conosciuto per essere il responsabile della Comunicazione del Quirinale. Grasso dà vita a personaggi interessanti e pieni di sfaccettature e elabora un romanzo ben strutturato sul piano narrativo e con una scrittura efficace ed essenziale. Un mistero che ha l'aspetto di un giallo storico ed è un segreto che riguarda due famiglie

Un intreccio tra passato e presente, intriso dal valore della memoria. Un mistero che ha l’aspetto di un giallo storico ed è un segreto che riguarda due famiglie. L’origine è da ricercare nella Prima Guerra Mondiale. “Il segreto del tenente Giardina”, edito da Rizzoli, è un romanzo frutto della fantasia narrativa di Giovanni Grasso, giornalista e scrittore romano di nascita di radici siciliane, che si snoda tra Roma, la Sicilia e le Dolomiti. Grasso, noto come consigliere per la stampa e per la comunicazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, elabora un romanzo ben strutturato sul piano narrativo e con una scrittura efficace ed essenziale.

Grasso sa raccontare, e dà vita a personaggi interessanti e pieni di sfaccettature come Luce Di Giovanni e Marco Grillo. Luce è una giovane donna determinata, brillante, intraprendente, lavora come “architetta” in un importante studio di Parigi. E’ una donna che si è fatta da sé, dopo aver vissuto un’adolescenza travagliata.
Grasso la presenta così, mettendo in evidenza le differenze con la sorella: “Nora e Luce erano gemelle, anche se nessuno lo avrebbe mai sospettato. Bionda con occhi di un azzurro un po’ spento la prima, bruna, con occhi scuri e vivaci la seconda. La differenza fisica accompagnava di pari passo quella di carattere. Nora aveva avuto nella vita un solo sogno: quello di un matrimonio felice e tranquillo. La famiglia e la serenità che né lei né la gemella avevano mai avuto da ragazze. Si era sposata con Mario, un compagno di classe con cui stava insieme dal liceo, e i due non si erano mai allontanati da Tivoli, dove vivevano a pochi passi dalla casa dei nonni. Avevano due figli, Giuseppe e Carlo, di quattordici e dodici anni. Era titolare, con il marito, di una piccola impresa di ristrutturazioni edili, ma l’attività principale era la gestione di un dignitoso, essenziale albergo a due stelle, senza ristorante, nei pressi del grande parcheggio sempre affollato di pullman che vomitavano, ogni giorno, torme di turisti low cost, in canottiera e Birkenstock, decisi a invadere e conquistare la vicina Villa Adriana. Indipendente e ambiziosa, Lucia, conosciuta da tutti come Luce, appena le si era presentata l’occasione, aveva invece abbandonato la cittadina alle porte di Roma dove, dopo la morte precoce della madre e il secondo matrimonio del padre, aveva vissuto l’adolescenza insieme con la sorella. All’età di tredici anni, infatti, le due ragazze, dopo violente e continue liti con la matrigna, avevano deciso di comune accordo con il padre, troppo debole per imporsi con la nuova compagna, di trasferirsi dai nonni materni. Compiuti i diciotto anni, Luce aveva iniziato a fare su e giù con il treno per Roma, dove era riuscita a laurearsi, in corso e con lode, in architettura. Poi si era trasferita nella Capitale, condividendo con un paio di ragazze un appartamento nel popolare e un po’ malfamato quartiere del Pigneto, destinato con gli anni a diventare un rione multietnico molto trendy. Per pagarsi da vivere aveva fatto la barista, la babysitter, la commessa in un negozio di mobili, l’arredatrice e finalmente la svolta: a trentacinque anni era entrata  nello studio di Max Pesci, un notissimo archistar romano. Un uomo a tratti burbero, ma dal cuore d’oro, che l’aveva subito notata per capacità e per caparbietà”. La “tigna” è un elemento cruciale del suo carattere:  “La “tigna” – o, a dire il vero, la sincera considerazione che l’archistar provava per lei – l’aveva intanto portata, quattro anni dopo, a Parigi, presso lo studio di Max, mille metri quadri da sogno nei pressi di Place des Vosges. Lì aveva conosciuto Gérard, un collega di cinque anni più grande. Era stato fatale, dividendo la stessa stanza, lavorando agli stessi progetti, frequentarsi, andare a pranzo insieme, poi a cena e infine a letto. Luce si era spesso domandata se quello che provava per  Gérard fosse amore vero, ma aveva concluso che la questione non le interessava più di tanto. Stava bene con lui, si sentiva rassicurata e protetta. Ed era senza dubbio la relazione più stabile e appagante che avesse mai intrecciato, dopo anni di precarietà lavorativa e sentimentale”.

Giovanni Grasso

Marco Grillo è un giornalista sveglio e intelligente, dotato di buone capacità dialettiche e di notevole ironia, ma tende a vivere appartato. E’ single. Abita a Roma in una grande casa attorniato dai ricordi di famiglia. Conserva anche il salotto della casa di Caltanissetta, trasferito a Roma. Due storie diverse e geograficamente lontane. Luce però torna in Italia, nel paese d’origine (vicino alla Capitale), per partecipare ai funerali dell’amata nonna Antonietta, e si creano le condizioni dell’incontro. Condizioni che rimandano ad un lontano passato. La nonna di Luce, prima di morire, le ha affidato un compito, quello di provare a scoprire il luogo di sepoltura di suo padre, il soldato Antonio Crespi. Era stato dato per morto nel 1916 sulle Dolomiti durante i violenti e sanguinosi scontri con gli austriaci. Le prime ricerche ufficiali, negli archivi, non danno alcun risultato. Vi è però una traccia, un indizio, si tratta di una lettera del tenente Gaetano Giardina, comandante di compagnia di Crespi, che ne annuncia alla famiglia la morte “da eroe”. Il punto è, come rintracciare i discendenti di Giardina? E ve ne sarà qualcuno ancora in vita? Luce con tenacia fuori dal comune continua le sue ricerche, e viene a conoscenza del fatto che l’unico discendente in vita del tenente è Marco Grillo. E così si mette sulle sue orme. 



“Buongiorno, sto cercando il sig. Marco Grillo”. Il vecchietto la guardò sospettosa: «Eh, ma chillo fa ‘o giornalista! Sta sempre in giro e, se torna a casa, torna tardissimo! In miezzo alla notte».
«Non è che posso avere il suo cellulare? É una cosa della massima importanza» azzardò la donna, con faccia tosta. «Signori’, ma me vulite ffa passa’ nu uaio? Non è possibile, c’è la pri-va-cy.»
Luce non si arrese. «Senta, siccome la cosa è della massima importanza, perché non chiama lei il dottor Grillo e lo avvisa che lo sto cercando?» Il portiere la guardò con sospetto misto a odio.
«Signuri’, nun se ne parla proprio!» Oramai era guerra aperta. Ma Luce non aveva alcuna intenzione di perderla. Cavò di borsa il cellulare, andò su Google e digitò «Marco Grillo giornalista». Apparvero immediatamente molti articoli e il nome della testata, «Il Futuro», dove Grillo lavorava. Con aria di sfida chiamò il centralino del giornale e, davanti al portiere che la fissava con aria minacciosa, riuscì a farselo passare.
«Dottor Grillo, mi scusi se la disturbo, lei non mi conosce, mi chiamo Luce Di Giovanni e lavoro nello studio dell’architetto Pesci…». «Buongiorno a lei, come posso esserle utile?» rispose l’uomo con voce calda e cordiale. «È un po’ lungo da spiegare al telefono, ma sto cercando informazioni sul capitano Gaetano Giardina. Non so se può aiutarmi…».
Dall’altro capo del telefono si fece un attimo di silenzio. Poi la voce maschile replicò con una punta di sorpresa «Sì, effettivamente era mio nonno materno. Mia mamma si chiamava Giardina. Ma cosa potrei…». Luce l’interruppe:«Le dico in breve: la storia di suo nonno durante la Grande Guerra è strettamente legata a quella del mio bisnonno, di cui non abbiamo saputo più nulla. A casa di mia nonna è conservata una lettera di suo nonno Gaetano. Erano nella stessa compagnia… nella brigata Tevere».
Si incontrano, e il giornalista Grillo dà a Luce la possibilità di leggere il diario di guerra di suo nonno. Nasce subito un’intesa tra i due, intellettiva ed empatica. Dal presente al passato. Riemergono gli orrori della guerra. Argomento quanto mai attuale nel mondo contemporaneo.

“Col de le Palue, 16 maggio 1916”


“La quiete è già finita. Da ieri mattina è cominciato l’inferno. Le nostre posizioni avanzate di Col de le Palue sono state bombardate pesantemente dall’alto. Poi il fuoco ha cominciato a colpire anche le retrovie. Ci siamo ritirati nei rifugi, accalcati come bestie, mentre per più di due ore hanno fischiato sulla nostra testa granate e pezzi di artiglieria pesante. Uno di essi ha centrato la baracca comando vicina alla mia. C’è stato un boato incredibile, ho sentito le ossa tremare per il colpo e le orecchie otturarsi per lo spostamento d’aria. Con molta cautela, tra le continue esplosioni, sono uscito per verificare l’accaduto. Una tragedia. Sotto le macerie sono rimasti molti corpi, orribilmente sfigurati. C’è sangue dappertutto. Un soldato ha la parte superiore del corpo completamente coperta da pietre e mattoni, mentre le gambe stanno bruciando. Si sentono urla, gemiti e implorazioni: un girone dantesco. Sono stati colpiti a morte anche due ufficiali. Il povero capitano Ghezzi è riverso al suolo, immobile, con la schiena squarciata, il sottotenente Miranda ha delle schegge nel torace, due dita della mano sinistra falciate e una porzione di cuoio capelluto asportata. È una carneficina. Sono arrivati i barellieri per portare via i feriti, si capisce già che molti di loro ricoperti di sangue o gravemente mutilati, non ce la faranno. Mentre i proiettili nemici continuano a piovere sulle nostre teste , il sentiero dove scendono i barellieri con i moribondi  sembra essere risparmiato. È forse questo un gesto di umanità estrema da parte degli austroungarici? Mi illudo che lo sia, così che anche in questa guerra – così terribile, sanguinaria, micidiale, fratricida – si possa conservare, da una parte e dall’altra, un barlume di pietà”.

Com’è strutturato il diario? «Il diario non è lungo. E inizia il 18 aprile 1916. A volte ci sono poche righe per descrivere la giornata al fronte. E spesso non ci sono nemmeno tutti i giorni. Probabilmente quando c’erano i combattimenti il nonno non riusciva a scrivere. So che fu anche ferito, lievemente per fortuna, e che fece qualche giorno nell’ospedale da campo, dove conobbe mia nonna…».

«Se è d’accordo, potremmo procedere così – azzardò Luce -, ci dividiamo i fogli. Lei comincia a leggere dal 18 aprile in avanti, io dal 30 agosto a ritroso. Che ne pensa?». «Mi sembra un’ottima idea» rispose Marco. Si divisero le pagine e si immersero nella lettura. Poco dopo Marco fece: «Ecco, ho trovato, legga qui. Mio nonno, in data 12 maggio, parla per la prima volta di Antonio, un pezzo d’uomo, della provincia di Roma…». Luce alzò la testa dai suoi fogli e disse: «Il mio bisnonno era un gigante. Forse è proprio lui». Depositò i suoi fogli sul tavolino, si alzò, si rimise a sedere sul bracciolo della poltrona di Marco e cominciò a sbirciare dall’alto: «Non sono molte le pagine dal 12 maggio al 10 agosto, vediamole insieme». Lessero ad alta voce, alternandosi. Antonio Crespi era citato almeno cinque o sei volte. Marco e Luce si soffermarono particolarmente su un passaggio, l’ultimo, in cui comparivano riferimenti molto precisi al bisnonno  della donna.

“Prima guerra mondiale”, opera di Marco Cagnolati, mista su tavola, 2018, Galleria Civica di Arte Contemporanea del MuVi di Viadana (Mantova)

Nel diario mancano delle pagine importanti, fondamentali. I due si spostano in Sicilia, a Caltanissetta, per cercare la documentazione mancante.Era oramai buio quando arrivarono a Catania. Si erano accordati di dormire nella città etnea e di partire per Caltanissetta, con un’auto a noleggio, la mattina successiva. Avevano prenotato due stanze all’Hotel Excelsior in piazza Verga, a pochi metri dal Palazzo di Giustizia. Marco provò a invitare Luce a cena, aveva in mente un ristorantino di pesce, con uno chef estroso e un po’ bizzarro, a pochi metri dalla cattedrale di Sant’Agata. Ma la donna, cortesemente, rifiutò. «Sono molto stanca, Marco, spero che tu non ti offenda…». Marco notò che era passata al tu, forse per addolcirgli la buca serale”. 

Poi lo spostamento a Caltanissetta. Cosa accadrà? Un finale tutto da scoprire, con colpi di scena e storie che si intersecano…



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