Recensioni E’ stata una serata di bella musica e intense emozioni (con qualche pecca) giovedì 3 marzo al Teatro Massimo Bellini per la prima di "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni nel consueto abbinamento con i "Pagliacci" di Leoncavallo, nell’ambito del recupero della Stagione lirica 2020
E’ stata una serata di bella musica e intense emozioni giovedì 3 marzo al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania con la prima di Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni nel consueto abbinamento con i Pagliacci di Leoncavallo, nell’ambito del recupero della Stagione lirica 2020. Innanzitutto perché la Cavalleria rusticana è un gioiello musicale senza tempo, che, nel 1890, il momento in cui andò in scena per la prima volta, fece parlare di rivelazione, di capolavoro, al limite dello scandalo. Pietro Mascagni innovava con un soggetto profondamente drammatico, una storia passionale nata in un ambiente popolare dai sentimenti elementari, l’amore, la vendetta, il tradimento, a cui finalmente rivolgeva la sua attenzione il genere operistico. Non a caso da essa fiorirono una serie di opere attente alla realtà popolare, non ultima I pagliacci, un altro piccolo capolavoro, che non a caso viene sposato con la Cavalleria per la sua atroce storia di amore, tradimento e morte ispirato a un fatto realmente accaduto.
Nella coraggiosa e innovativa performance catanese dobbiamo dunque partire dalla messa in scena, possente e icastica, di Lino Privitera, attento regista dello spettacolo. Non la solita piazza di paese con case e chiesa sullo sfondo tante volte vista, bensì la rappresentazione di uno dei posti più belli della nostra isola, la famosa Scala dei Turchi. E in primo piano l’immagine più commovente, una grande croce con il Cristo, che poi verrà deposto, simbolo di un Dio purtroppo lontano dalla tragica vicenda rappresentata e di una passione che condurrà alla morte. Il tutto condito da bei giochi di luce (curati dai bravi Andrea Iozzia, Benedetto Coco e Florian Ganga) che sono riusciti ad evocare le varie atmosfere della vicenda, ora allegre ora tristemente drammatiche, e da squarci di danza (che hanno fatto storcere il naso a qualche spettatore più ortodosso) affascinanti e anch’essi atti a richiamare sensazioni ed emozioni.
La direzione d’orchestra di Antonio Pirolli, ben equilibrata e molto attenta agli squarci sinfonici affidati da Mascagni all’orchestra nella sua rinnovata concezione del melodramma, ha saputo valorizzare la bella voce di Alessandra Di Giorgio, una Santuzza intensa e dolente, la vera protagonista dell’opera che manda a morte colui che ama in un impeto di rabbia e gelosia. Superba, piena di pathos, con una vocalità pienamente calzante alla parte, caratterizzata da una rotondità vellutata e da estrema perizia nelle grandi arcate melodiche, la Di Giorgio ha davvero affascinato gli ascoltatori, guadagnandosi lunghi applausi finali.
Angelo Villari ha espresso l’aspetto più fremente di Turiddu con una vocalità ariosa e molto gradevole, adeguatamente seducente e di bella vocalità Sabrina Messina nel breve ruolo di Lola e profondamente intensa e dolce la mamma Lucia di Sonia Fortunato, specialmente nel duetto finale con Turiddu.
A compare Alfio, stranamente entrato in scena su una bicicletta anni Trenta (!!!), ha dato sufficiente voce Luca Grassi, con pochi brilliì ed emissione non sempre poderosa e atta ad esprimere la durezza primitiva del carrettiere verghiano, mosso dal senso ancestrale dell’onore; belli i due ballerini che hanno accompagnato il suo canto, cui Lino Privitera ha donato un’originale mise… da carretti siciliani intensamente colorati.
Tutti si sono mossi abilmente sulla scena fino all’annuncio della catastrofe «Hanno ammazzato compare Turiddu!» che ha siglato drammaticamente la vicenda accompagnato da un evocativo volo di gabbiani.
Le parti corali, semplicemente stupende nella Rusticana, hanno visto un’ottima prova del coro istruito da Luigi Petrozziello e del coro di voci bianche istruito da Daniela Giambra, che hanno intervallato adeguatamente le parti dialogiche, ricostruendo un perfetto quadro d’insieme.
Altrettanto avvincente è stata la messa in scena dei Pagliacci, caratterizzata da una ancora una volta originale soluzione scenografica, animata da immagini di bambole, pupazzi e atmosfere circensi evocanti la drammatica e letale sovrapposizione di vitae arte di cui vive la trama dell’opera. Tra i cantanti la nostra Daniela Schillaci, che tante volte abbiamo avuto modo di apprezzare, è stata una Nedda senza sbavature, dominando come sempre registri e palcoscenico con una vocalità decisa, con sonorità ampie ed espressive. Piero Giuliacci, che spesso abbiamo visto in Rusticana, è stato un Canio dal giusto pathos. Bravi anche Luciano Petrean (Tonio), Marco Puggioni (Beppe) ed Enrico Marrucci (Silvio).
Si replica fino al 12 marzo uno spettacolo che è un omaggio alle passioni forti e intense, purtroppo distruttive, in un allestimento originale dove le persone sul palco sono, in omaggio ai principi del verismo e complice la bella scenografia, davvero “di carne e sangue”.
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