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Sul diritto al lavoro l’officina della risata va a braccetto con la dottrina della Chiesa

Blog Da Adamo (ed Eva) in poi l’ininterrotto svolgersi delle esistenze hanno regalato alla Storia una teoria infinita di disgraziati più o meno operosi, più o meno produttivi. Eppure quando penso all’art. 4 della Costituzione Italiana mi viene in mente una barzelletta di Pierino poco raffinata, ma sfolgorantemente illuminante

L’uomo sin dagli albori della sua presenza sul pianeta è stato costretto a provvedere al suo sostentamento. Le cose andarono più o meno  com’è scritto nella Genesi: allor quando il Padreterno chiese al primo uomo perché, trasgredendo le consegne, avesse mangiato quel frutto,  questi  rimase disorientato, anche perché la mela non gli era piaciuta granché. Pressato dal quesito divino, per pavidamente scagionarsi, additando l’ignuda Eva, la prima cosa che disse, fu: Lei è stata! Io non volevo! ”.
Ed allora  Dio pensò: “minchia, che schifio di uomo  ho creato !” ma non commentò, resosi  conto, da subito, di avere fatto un irrimediabile autogol.
Allora l’Altissimo tuonò: «Poiché hai ascoltato la voce della donna e hai mangiato dell’albero  il frutto proibito, sarai punito in eterno e con dolore e fatica dalla terra trarrai il cibo e lo farai per ogni  giorno, per tutti i giorni della tua vita».

Il paradiso terrestre e la caduta di Adamo ed Eva di Jan Brueghel de Oude e Peter Paul Rubens

E fu così! Quindi non c’è da stupirsi se il primitivo, infagottato nella sua pelliccia di ursus speleaus, indugiava ad abbandonare il tepore della caverna dicendo: “vabbè, allora … io vado… ”;
mentre una voce femminile dal buio più profondo dall’antro rispondeva: “Ok , spicciati”.
Metteva l’infelice in pratica l’arcaico vaticinio del Padre compiendo i gesti rituali  che ogni uomo, intontito dal sonno, di prima mattina si forza nel rodare neuroni e sinapsi al fine di riprendere un’appena dignitosa consapevolezza di sé. Chiaramente già da quei, tempi se teneva qualcosa in mano – che poteva essere qualunque cosa, una tibia di velociraptor o l’ala di un pipistrello – si avviava dimentico dei suoi strumenti di lavoro, per cui la donna, prima che egli varcasse in uscita l’uscio della spelonca, gli gridava alle spalle: Le frecce; ti stai scordando le frecce!!  Ma come caz.. lo devi ammazzare stu mammut!”; e lui borbottava: Ah vero! le frecceafferrandole dalla mano della compagna sapiens che, scuotendo una preistorica testa spettinata, lo guardava con rassegnata commiserazione.

L’homo primordialis imboccava così il cammino che lo fiondava verso un ambiente che riteneva ostile, dove rabbiose erano le rivalità e scarse le risorse.

The Flintstones

Via via che i fogli del calendario si andavano stratificando nei cumuli millenari del tempo, le cose sostanzialmente non cambiavano, e l’ininterrotto svolgersi delle esistenze hanno regalato alla Storia  una teoria infinita di disgraziati più o meno operosi, più o meno produttivi. Si perfezionava così l’idea di “lavoro” dove i più industriosi si organizzarono per utilizzare e sfruttare la fatica degli altri. Il concetto di base era semplice: tu fai per me una cosa che sai fare, ed io, per te, ne faccio una che so fare, dietro un compenso stabilito, forse nella soddisfazione delle reciproche necessità.
La variegata offerta lavorativa si inerpicava su una scala di valori corrispettivi alla qualità ed alla difficoltà delle prestazioni. Chiaramente il lavoro intellettuale si trovò a valere molto di più di quello meramente fisico per cui, ad esempio, lo svuotatore di pitali  guadagnava molto di meno del gastroenterologo, pur in fondo occupandosi entrambi di apparati digerenti, seppure con diverse e sostanziali sfumature.
Da queste fondamenta si edificarono le piramidi del potere, in cima alle quali il lavoro dei pochi eletti consisteva essenzialmente nel far lavorare solo gli altri. L’infinito assortimento delle abilità delineavano le varie figure professionali, alcune piacevoli e di grande prestigio, altre umili e mortificanti, altre il cui solo termine determinava orrore, spregio. Tra queste la figura inquietante del boia: enorme e corpulento, vestito con pantaloni di pelle ma a torso nudo, lucido per la fatica muscolare e con il cappuccio nero in testa,  ha sempre rappresentato il braccio della legalità. Nella sua barbarie l’esecuzione offriva una raffinata attenzione al censo, riservando ad ognuno una particolare strategia per l’uscita di scena: i nobili subivano la scure sulla testa appoggiata ad un ceppo dal quale rotolava poi in una accogliente cesta; che dall’alto patibolo consentiva al pubblico lo  spettacolo, creato ad arte, delle pudende private di mutande; le fiamme purificavano  i dissidenti della chiesa mentre lo squartamento veniva riservato a chi organizzava complotti nei confronti del potere, in modo che dei cospiratori rimanessero pochi tranci eversivi dispersi ai quattro punti cardinali.

Anche, e soprattutto, in questa tipologia di mestieri, valeva l’augurio, caldeggiato soprattutto dai fruitori, che il prestatore d’opera non fosse mai distratto o, peggio,  “spraticuliddu”…  . Nel corso del tempo il lavoro  ha subito una serie di trasformazioni ideologiche e sociali, identificandosi non solo come panacea dei bisogni dell’individuo, ma anche come elemento di socializzazione, integrazione ed aggregazione  tra individui. E se i libri di Piero Chiara o i film di Federico Fellini ci raccontano il tendere al dolce far niente di  generazioni del dopoguerra restie a qualsiasi forma di lavoro, compiaciuti di stagnare in una inerzia accidiosa, oggi il lavoro, dopo il sesso, è la cosa più ambita e, come quello, si apprezza quando lo si perde. In Italia la legge fondamentale dello Stato, abbeverandosi alle fonti del diritto, individua nel lavoro uno dei punti fondanti su cui dovrebbe reggersi uno stato democratico e la Costituzione gli conferisce un posto centrale alla dignità umana. L’articolo 4,  infatti, recita tutta una serie di cose circa il lavoro come diritto e dovere di ogni cittadino….

Seguono a cascata  i numeri 35, 36, 37, 38, 39 e 40  come i numeri di quelle scarpe messe in svendita nel mercatino dell’usato che, per quanto si “arrimini” nella cesta posta accanto alla cassa, offre sempre calzature rovinate e inservibili a qualunque  cammino. In realtà tra il dire il fare c’è un’enorme differenza, e quando penso all’art. 4 della Costituzione Italiana non so perché mi sovviene la barzelletta di  Pierino che trovo sicuramente poco raffinata, ma sfolgorantemente illuminante: Pierino chiede al papà la differenza tra teoria e pratica; allora il padre gli dice: “vai da tua madre e da tua sorella e chiedi loro se per un milione di euro farebbero l’amore con il primo sconosciuto in strada“. Pierino va e torna dal padre: “Papà, mi hanno detto tutte e due di si” e il padre conclude: “Ecco, noi in teoria saremmo ricchi, in pratica viviamo con due zoccole” .

Anche la Chiesa, con San Paolo, ci mette il suo carico da 11: dice infatti che il  buon cristiano non  debba mai essere incline all’ozio, ma debba dedicarsi al lavoro perché “chi non vuole lavorare non deve neanche mangiare”; quindi, caro amico disoccupato, l’officina della risata va a braccetto con la dottrina della Chiesa e tu resti, come si suole dire, cornuto, digiuno e mazziato. Nella nostra amata Sicilia abbiamo avuto tempi splendidi per la sistemazione al lavoro negli Anni 80 e 90. Era un collocamento clientelare finalizzato ad ingrossare serbatoi elettorali basato su tramagli  di benefici,  contraccambi e reti di favoritismi, che ha dato agio ad usurpatori di competenze a ricoprire e perpetuare nel tempo incarichi svincolati dalle reali capacità. Ciò non significa che sporadicamente non ci siano belle menti capaci di trasformare le proprie passioni in lavoro, ma per la massa alla ricerca di un impiego, solo il cancro della disoccupazione. Le tre variabili – meridione, giovani e donne – pesano fortemente sulla bilancia della disoccupazione, e a parità di lavoro la busta paga è più pesante al nord che al sud, gli uomini sono in numero maggiore delle donne, mentre per i giovani che non vanno via restano solo stage e rimborsi spese. Processo tecnologico, delocalizzazione del lavoro ed emigrazione intellettuale finiscono poi i giri di valzer. Così come valeva per il fidanzato dalle intenzioni serie, che chiedeva alla ragazza “mostrami tua madre, così vedrò come sarai”, dovremmo, come popolo, mettere per pudore la veletta a chi ci rappresenta e a cui già perdoniamo i molti vizi e le rare virtù. Nel tempo abbiamo sviluppato quella immunità di gregge, oggi tanto inflazionata come termine, verso una classe dirigente e politica che affida i posti chiave per la guida del Paese ad individui che non solo non sono in possesso di un titolo di studio congruo, ma non hanno nessuna competenza per il ruolo ricoperto, né si affannano per raggiungerla. Persone che non si vergognano e addirittura ridono di loro stessi quando in pubblico si perdono in spiegazioni che diventano grumi di non senso, incespicano scambiando il termine “autonomia” con “anatomia” e, come scolaretti di terza elementare, ammutoliscono con lo sguardo perso nel vuoto tentando di fare a mente un’addizione: avventura audace nell’insidioso mondo dell’aritmetica.

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