Blog La mano smaniosa toccava di continuo la collana, quasi che quel contatto ne sincerasse la presenza, soprattutto nel camminare spedita sui tacchi, cosa a cui non era più abituata. Avrebbe voluto tornarsene a casa, ma una sorta di autocostrizione l’aveva spinta ad accettare l’invito...
Il collo slanciato della signora denunciava nelle grinze cutanee la cinquantina passata da più stagioni; l’esercizio doloroso di trarre su le vertebre cervicali era aggravato dal doppio giro di perle, il cui compito era quello di rubare la scena alla bellezza da tempo sfiorita. Poiché aveva dovuto posteggiare lontano dall’indirizzo comunicatole, la mano smaniosa toccava di continuo la collana, quasi che quel contatto ne sincerasse la presenza, soprattutto nel camminare spedita sui tacchi, cosa a cui non era più abituata. Avrebbe voluto tornarsene a casa, ma una sorta di autocostrizione l’aveva spinta ad accettare l’invito, ed ora si ritrovava in ghingheri a pigiare il pulsante del campanello della piccola targa in ottone con incisi nei bei caratteri, il nome dei padroni di casa.
Avrebbe voluto tornarsene a casa, ma ormai aveva bussato ed inoltre vide che stava giungendo un piccolo contingente di invitati; l’ingorgo dei pensieri nella sua mente si riflesse nei modi che diventarono impacciati, e lasciarono che la giacca in seta, portata a braccio, le scivolasse per terra attirandole l’attenzione del gruppo in arrivo. Suonò dunque, ed il citofono gracchiò una risposta incomprensibile, segno di un pessimo funzionamento dell’impianto. Il portone si aprì. Recuperata la giacca assieme al fiato, entrò nel grande androne che esalava di fresco e muffa. L’ampio scalone dell’edificio storico era un vero e proprio manufatto culturale: la rampa, in pregiato marmo, si snodava flessuosa seguita dalla sua ringhiera artistica in stile Liberty.
Chi saliva montava su per quegli alti gradini la cui alzata impegnava parecchio ed imponeva ai più anziani o ai meno allenati la sosta momentanea sui pianerottoli sotto lo sguardo verde delle fronde di curatissimi palmizi. La signora con le perle saliva come se andasse al patibolo in evidente contraddizione con il palese entusiasmo mostrato settimane prima nell’accettare l’invito; ma allora il tempo, fungendo da intermediario, aveva fatto sembrare l’evento così lontano da non essere necessario alcun fastidioso diniego. Il pensiero però aveva lavorato carsicamente scavando nella mente cunicoli di insofferenza. Non le era mai sembrata una buona idea quella di rincontrare i suoi vecchi compagni di scuola; trovava disdicevolmente inutile il doversi raccontare e l’aggiornarsi sulle vicende di quelli che riteneva ormai fantasmi del passato. Aveva persino sceneggiato la scena dell’incontro con Camilla: Carissima che piacere averti qui con noi, ci tenevo tanto a che tu venissi: sarebbe stato un vero peccato privare il gruppo di te che eri quella che ci faceva sempre ridere. Riusciva persino ad immaginarne la voce piena e sicura, con quel leggero rotacismo che tutti incantava: Accomodati, sono curiosa di vedere anche Matilde e Bruna! nel frattempo prendi qualcosa … vediamo chi riconosci dei nostri vecchi compagni di scuola…
Camilla, la bella e ricca Camilla, era stata negli anni del liceo il nucleo attorno al quale si coagulava l’attenzione di tutte le compagne, che facevano a gara per riprodurne movenze ed opinioni: sicuramente doveva essere rimasta molto somigliante a quella che ricordava lei. Le belle e bionde onde dei capelli probabilmente adesso tendevano all’argento, ma dovevano essere ancora le stesse indomabili che lo scatto nervoso della testa indietro, tendeva a discostare dagli occhi: quegli occhi azzurri leggermente distanziati che rivendicavano lontane ascendenze normanne e che sapevano gelare con distacco o diventare specchi di lacustre accoglienza.
Dietro di lei il gruppetto incalzava nella salita, scambiandosi battute e risate. Improvvisamente decise: si girò salutandoli con cortesia ed accelerò la salita; per un momento le parve di intuire la sorpresa di una delle donne che aveva pensato che anch’ella fosse una invitata, ma quel commiato la inquadrò inquilina educata dello stabile dove evidentemente tutti andavano in giro vestiti elegantemente, e questo fece perdere qualunque interesse del gruppo suoi confronti. Superò con disinvoltura l’interno dal quale provenivano i rumori della festa, che per fortuna si aprì solo un soffio di minuti dopo che lei era passata. Le arrivava il vociare del gruppetto che adesso veniva accolto dalla padrona di casa di cui riconobbe la voce, precisa come l’aveva immaginata. Poi la porta si richiuse e, nel chiarore insufficiente delle plafoniere, fu un silenzio paradisiaco. Rimase così, sul comodo pianerottolo del secondo piano accarezzando le foglie lanceolate di una kenzia a cui tolse un fiocco di polvere e che sembrava osservarla complice. Pian piano cominciò a scendere i gradini per guadagnare il portone e poi la strada.
Uscita fuori si accorse che stava piovigginando e cercò momentaneo riparo sotto ai balconi dell’edificio di fronte, per infilare la giacca ed aprire il piccolo ombrello da borsa. Dalle finestre del primo piano, l’elegante salone illuminato a festa risuonava di musica e del turbinio di voci. Come in un teatrino di ombre cinesi gli invitati, che per lei sarebbero rimasti personaggi anonimi, animavano la scena, affannati nella loro ricerca di un tempo perduto, ma ostinati nel presente a gareggiare ancora in allegrezza, fascino, successo.
Adesso pioveva davvero e la signora, nel maneggiare il meccanismo a scatto, impigliò una stecca dell’ombrello nella collana che si ruppe proiettando perle ovunque. Ognuna di loro prese la sua strada: molte finirono tra le basole in pietra della strada, altre dentro le inferriate rugginose dei negozi serrati, altre s’imbarcarono nel rigagnolo sporco di un tombino. Erano tutte false e lei lo sapeva: felice per essersene liberata, si avviò verso la macchina pregustando la comodità del suo divano, l’aroma del suo the, l’incontro con il libro lasciato a metà. Era stata una festa magnifica!
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