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Scena abbagliante, fluida musicalità e narrativa cinematografica, Tutino e Livermore traducono in opera Verga e Pirandello

Recensioni Un’attenta operazione culturale abbastanza gradita dal pubblico, al Teatro Massimo Bellini di Catania, con la rappresentazione, fino a sabato 9 marzo, del dittico operistico "La lupa/Il berretto a sonagli", quest’ultima in prima rappresentazione assoluta, entrambe nella stesura musicale del compositore Marco Tutino, e con la messinscena firmata dal regista Davide Livermore

Un’attenta operazione culturale abbastanza gradita dal pubblico, al Teatro Massimo Bellini di Catania, con la rappresentazione, fino a sabato 9 marzo, del dittico operistico “La lupa/Il berretto a sonagli”, rispettivamente tratti dall’omonima novella di Giovanni Verga e dalla commedia di Luigi Pirandello, quest’ultima in prima rappresentazione assoluta, entrambe nella stesura musicale del compositore Marco Tutino, e con la messinscena firmata dal regista Davide Livermore.

“Il berretto a sonagli” e “La lupa”, a Catania Pirandello e Verga diventano opera lirica

Ben intriso della poetica pirandelliana, “Il berretto a sonagli”, è stato commissionato dall’ente lirico etneo al versatile musicista milanese che lo ha liberamente tratto dall’opera del Girgentano, avvalendosi del libretto di Fabio Ceresa, noto scrittore e regista, nella riduzione ad un atto e due quadri, dalla versione originale di unica commedia in due atti di Pirandello.

Su libretto di Giuseppe Di Leva, invece, messo in scena per la prima volta nel 1990 a Livorno, la rappresentazione de “La lupa”, anch’essa in un atto e due quadri che ha aperto la serata con la graffiante interpretazione di Nino Surguladze, mezzosoprano georgiano nei panni della protagonista. Sarà proprio lei, di forte presenza scenica, con le movenze e lo sguardo avido che incute timore, a sedurre Nanni Lasca, fidanzato della figlia Mara, interpretato dall’incisivo tenore Sergio Escobar, il quale, dopo un ballo con la futura suocera sulle note di Peppino Di Capri (“Nun è peccato”, nell’arrangiamento di Tutino) si fa trascinare nel vortice della passione: lontano dalla cornice agreste di Verga, il tutto è ambientato negli anni ’60, dapprima in un garage dai tocchi festosi e poi, dopo il matrimonio di Mara e Nanni (e la nascita di una figlia) nella trattoria a loro donata dalla Lupa, sullo sfondo di una metropoli i cui ritmi sono scanditi da un tram.

Una scena de “La lupa”, foto di Giacomo Orlando

Nel particolare allestimento scenografico di Livermore ed Eleonora Peronetti, arricchito dalle scenografie digitali di D-Wok, c’è una bella profondità prospettica, con scene ampie e luminose, nell’abbagliante trascolorare di luci (curate da Gaetano La Mela) che avvolgono lo spazio teatrale, da tinte di un luccicante grigiore sino al vermiglio e al rosso fuoco per marcare l’accendersi della passione: la Lupa tornerà inesorabilmente a conquistare Nanni dopo anni di assenza, e questo lo porterà a suicidarsi, per non cedere più alla tentazione. Epilogo differente, questo, nella versione di Livermore, rispetto al libretto di Giuseppe Di Leva, dove invece è lei a soccombere, accoltellata da Nanni. La scena ha poi visto un allinearsi di scarpe rosse, per manifestare contro il femminicidio. Altri interpreti del cast sono stati Vittorio Vitelli, Giuliana Distefano, Mariam Baratashvilli, Pietro Picone, Marco Puggioni ed Enrico Marrucci.

Molto efficace l’orchestrazione, condotta con arguzia dalla bacchetta di Fabrizio Maria Carminati, su una partitura improntata a fluidità tonale (con qualche eco di opera verista) e pervasa da narratività cinematografica, cifre distintive l’una e l’altra anche nella seconda opera, ovvero “Il berretto a sonagli”: capolavoro quest’ultimo del teatro novecentesco, pulsante della poetica pirandelliana, basata sulla dialettica tra l’essere e l’apparire, tra il volto reale e la maschera, che ha valorizzato ancora una volta l’impegno compositivo di Tutino nella trasposizione dalla prosa letteraria alle esigenze drammaturgico musicali del melodramma. Tra l’eleganza della cornice scenografica, con stucchi e capitelli, che ha posto in risalto gli accurati costumi di Mariana Fracasso, ecco la casa di Beatrice Fiorica, interpretata dalla fascinosa Irina Lungu. Beatrice è l’unica donna che, svettando sulla meschinità dell’ipocrisia borghese, pur circondata da una famiglia omertosa, e già ferita dall’adulterio coniugale per la relazione del marito con la moglie di Ciampa, trova il coraggio di denunciare quest’ultimo, sulla scena Alberto Gazale ovvero colui che sotto un finto perbenismo di scrivano del cavaliere Fiorica, nasconde la sua illecita attività di mafioso, tenendo avvinghiati in una morsa i familiari della donna, oltre che l’intero paese (sempre in Sicilia, datata Anni Venti).

Il berretto a sonagli, foto di Giacomo Orlando

Ed ecco i toni incentrati sulla denuncia civile che diviene il fulcro della nuova versione – tra le eclatanti sortite dei fiati orchestrali e le nebulose scenografiche – rimettendo in gioco la “corda civile”, la “corda seria” e la “corda pazza” della drammaturgia pirandelliana: Beatrice osa dire la verità (…Ciampa è il capo di questa ‘cosa vostra’…. indossando quel berretto a sonagli che è simbolo della follia), ma rimarrà inascoltata, (giacchè solo il silenzio “è buon senso” per il Girgentano) tra chi gli grida accanto che è pazza.
Di nuovo sulla scena la Surguladze ed Escobar nei ruoli di Assunta La Bella e Fifì La Bella, accanto ad Anna Pennisi (Fana) e Rocco Cavalluzzi (Spanò). Operazione più che apprezzabile, dunque, per la lungimiranza del Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania e del sodalizio Marco Tutino-Davide Livermore, per la bravura dei cantanti e dell’orchestra diretta da Carminati. Siamo sempre convinti che il melodramma contemporaneo possa riattualizzare il teatro di prosa ma con le dovute riserve e purchè ci sia equilibrio, facendo scaturire proficue riflessioni sulla società odierna.

Guarda la galleria delle immagini, foto di Giacomo Orlando

 

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