Libri e Fumetti La protagonista, l'ispettrice di polizia Maria Rosaria Baiamonte, fa vivere la storia. Catania non è solo uno sfondo ma il contesto, è una linfa vitale. Il suo nuovo romanzo, “La ragazza fragile” (Algra Editore), conferma il suo talento narrativo. Una storia piena di colpi di scena raccontata con equilibrio di scrittura, ed una vena ironica efficace. I gialli della scrittrice etnea sono intrisi di vita e di cultura
Catania è una delle sue fonti di ispirazione, la città vive nei suoi romanzi, non è solo uno sfondo ma il contesto. E’ una linfa vitale. Per la scrittrice Marcella Strazzuso Catania è come Barcellona per Alicia Gimènez-Bartlett. I suoi gialli sono intrisi di vita e di cultura, di ragione ed emozioni, l’autrice riesce con una struttura narrativa ben ritmata a proporre piani interpretativi diversi. Parte da una cultura multidisciplinare legata alla sua esperienza di docente ed alla sua dimensione di studiosa di letteratura, ma traduce il tutto con leggerezza alla Calvino nei suoi libri. Il suo nuovo romanzo, “La ragazza fragile” (Algra Editore), conferma ulteriormente il suo talento narrativo. Una storia piena di colpi di scena raccontata con equilibrio di scrittura, con chiavi di lettura psicologiche e sociali. Ed una vena ironica efficace.
La protagonista Maria Rosaria Baiamonte, l’ispettrice di polizia, fa vivere la storia. Dalla dimensione onirica alla realtà. “Una raffica di trilli inopportuni fece saltare giù dal letto Maria Rosaria Baiamonte, ispettore della Polizia di Stato in servizio presso la squadra mobile di Catania. Di scatto la ragazza afferrò la pistola che aveva dimenticato sul comodino e urlò: «Se non vi consegnate subito, vi stendo!». Poi, dal momento che il buio permaneva fitto e inanimato, accese la lampada da notte e scorse Isotta appiattita in un angolo della stanza con il terrore negli occhi e le zampe al muro. La povera micia si era presa una bella paura. L’ispettore, dispiaciuta, si avvicinò per tranquillizzarla ma la gatta con un balzo scappò via miagolando. Era di lei, Maria Rosaria, che aveva paura. Da qualche settimana la sua padrona aveva incubi frequenti e pronunciava frasi senza senso. La notte precedente l’aveva ferita con un: “Gatto dei miei stivali, attento o ti faccio fare la fine del topo!”. Non sono cose che si dicono, soprattutto mentre si dorme e l’inconscio sale a galla. Disorientata ma ormai sveglia, Baiamonte rifletté sulla fase REM del suo sonno: sembrava ossessionata dalle fiabe. Ne sognava di continuo, in versione gotica e prive di lieto fine: la Bella addormentata morsa dal principe, Cappuccetto rosso e la nonna digerite dal lupo, le sorellastre picchiate da Cenerentola. Senza dimenticare che un attimo prima aveva minacciato i sette nani, accusandoli di aver sequestrato Biancaneve per ottenere un riscatto. Raggiunse il bagno per sciacquarsi il viso e si osservò allo specchio: occhi gonfi, colorito pallido, capelli in disordine, non aveva proprio un bell’aspetto”.
L’auto-indagine psicologica di Baiamonte. Con riflessione esistenziale
“Si chiese che cosa le stesse accadendo e, poiché non riusciva a trovare una spiegazione logica, si concentrò sulla causa del rumore che aveva interrotto il suo sacrosanto sonno. Ipotizzò che si trattasse della telefonata di un collega o di uno di quegli operatori che importunano la gente a tutte le ore, promettendo contratti vantaggiosi con aziende dei cui servizi non si ha alcun bisogno. Prese il cellulare per controllare ma nessun numero appariva sul display. Osservò l’ora e vide che non erano ancora le sei. Stava per convincersi di aver davvero sparato a Brontolo, quando si ricordò che quella mattina Monica Taviani, la vicina di casa, doveva alzarsi molto presto.
Niente di più facile che fosse la sua sveglia la responsabile della molestia. Un paio di giorni prima Monica le aveva detto che sarebbe andata a Palermo per seguire un corso di jumple, ma lei lo aveva dimenticato. Comunque, ormai non faceva più in tempo a riaddormentarsi, tanto valeva mettersi in piedi. Fece una doccia calda e, ancora avvolta nell’accappatoio, si preparò la colazione: un bicchiere di latte e due fette di pane tostato spalmate di marmellata. Ne aveva giusto preparata una di pere che non aveva ancora assaggiato. Cercò anche di riconciliarsi con la gatta offrendole dei biscottini, ma Isotta sembrava scomparsa. A quel punto si vestì, infilò un giubbino leggero e uscì fuori. La giornata era caliginosa. Oltrepassò piazza Teatro Massimo, percorse un tratto di via San Giuliano e, arrivata in via Etnea, entrò in un bar dove stazionavano pochi avventori: un anziano leggeva il giornale, alcuni studenti ingurgitavano pizzette in attesa dell’apertura della scuola, una coppia clandestina tubava. Osservandola Maria Rosaria sospirò. Anche se non voleva ammetterlo, sentiva la mancanza di un fidanzato”.
Catania linfa vitale del romanzo
Dicevamo nell’incipit di Catania linfa vitale del romanzo, un connubio tra azioni della poliziotta e la trama. “Di nuovo in strada, Baiamonte si concesse una passeggiata. Le piaceva camminare su quella interminabile via che attraversava la città e sembrava salire fino alla montagna. In fondo l’Etna fumacchiava indisturbato. La pavimentazione di basalto e il silenzio imposto dal divieto di circolazione conferivano al centro del capoluogo una patina arcaica che lo proiettava fuori dal tempo. Nell’aria aleggiavano i profumi caldi delle pasticcerie. Superò le rovine romane di piazza Stesicoro e proseguì in direzione della villa Bellini. I giardinieri erano al lavoro per aggiornare l’orologio di bosso che ogni giorno accoglie i visitatori poco sopra la vasca dei cigni. Maria Rosaria inalò l’odore dell’erba tagliata e si ricordò di Avola. La sua città le mancava.
Respirò l’aria del mattino e si fece accarezzare da una brezza leggera. Riuscì perfino a sentire il profumo del mare che, nascosto dalle costruzioni, non era però lontano. Le piaceva passeggiare quando ancora la città dormiva, infilare lo sguardo tra i portoni semichiusi dei palazzi e osservare i cortili dove in passato sostavano le carrozze, immaginare i cocchieri e le serve: un antico microcosmo percorso da fremiti di attività. Tra un po’ Catania sarebbe divenuta caotica, ma lei sarebbe già stata al sicuro tra le pareti dell’ufficio. Diede un’ultima occhiata ai cigni che veleggiavano pigramente nella vasca e fece dietrofront”.
Catania, bellezze e contraddizioni
“Via Ventimiglia non era lontana. La ristrutturazione dell’antico carcere borbonico era terminata e gli uomini della squadra mobile erano tornati nella sede storica, abbandonando i locali di viale Vittorio Veneto che avevano occupato per oltre un anno. Maria Rosaria era stata contenta di quel rientro, l’edificio distava appena un centinaio di metri dalla sua abitazione. Ripercorse la piazza, posò lo sguardo sulle aquile dorate che svettavano in cima alla balaustra del teatro e pensò che anche quella era una bella giornata. L’eleganza del luogo era però deturpata da bottiglie vuote e lattine di birra, tracce del passaggio notturno di orde giovanili, abbandonate sul selciato e non ancora rimosse dai netturbini. Sugli scalini del convitto Cutelli un barbone dormiva protetto dai cartoni. L’ispettore sentì le ferite della città bruciarle sulla pelle”.
Baiamonte al lavoro
“Quando arrivò al lavoro erano le otto in punto, e nessuno dei suoi collaboratori si era ancora palesato. Si chiese che cosa stessero facendo e immaginò Stabile ancora dormiente nel fresco letto matrimoniale e Messina che russava sul divano dopo l’ennesimo litigio con la moglie”
Il giallo della scomparsa della giovanissima Katia, si entra nel cuore della vicenda centrale del romanzo
“Quella stessa mattina in uno stabile anonimo del quartiere di Librino Teresa Tosto Pavone si era alzata molto presto. Anzi non aveva chiuso occhio per tutta la notte perché la figlia non era rientrata e non aveva nemmeno chiamato per avvertirla. Si affacciò alla finestra nella speranza di scorgerla mentre parcheggiava il motorino, ma la luce gialla dei lampioni illuminava soltanto un viale privo di verde e dei palazzoni scrostati, imbrattati dai murales. La sera prima madre e figlia avevano litigato e la ragazza se n’era andata sbattendo la porta. Teresa era disperata, aveva fallito la missione di educatrice di cui da sola si era fatta portatrice. Già crescere Katia era stata una fatica e adesso aveva anche perso il controllo su di lei. I soldi poi non bastavano mai e Katia non faceva che chiedere, a volte senza nemmeno tentare di giustificare i suoi bisogni. Teresa aveva accettato dei lavoretti: faceva iniezioni a domicilio, qualche notte di assistenza pagata in ospedale, ma ultimamente le richieste della ragazza si erano fatte più pressanti e lei non riusciva a soddisfarle. Inoltre la figlia la teneva a distanza e quasi non le parlava. Spesso rimaneva fuori e non sempre le diceva dove andasse, che cosa facesse, chi frequentasse”.
Il dramma a Librino, il dramma di Librino. Il ritrovamento del cadavere di una ragazza
“Davvero Librino appariva vuoto ma, anche se non lo fosse stato, lo sarebbe diventato all’arrivo delle forze dell’ordine. Maria Rosaria cercò di contenere il senso di impotenza contro il quale lottava da quando era entrata in polizia e diede uno sguardo oltre la strada. Le abitazioni erano lontane e, data l’ora tarda, era impossibile fare domande. Spostò gli occhi sul cadavere in attesa del medico legale e rimase a contemplare inorridita quell’angelo delle periferie. I tecnici della Scientifica erano già al lavoro. Lo spazio intorno al cadavere era stato transennato e si stava procedendo ai rilievi. L’operazione era di difficile esecuzione in quanto un ritrovamento all’aperto presenta sempre degli inconvenienti, soprattutto per quanto attiene al recupero delle tracce. Nel caso in questione poi non esistevano materiali, a parte il corpo della vittima, sui quali rilevare impronte digitali o altri possibili indicatori. Inoltre la pioggia, che iniziava a cadere copiosa, rischiava di compromettere la scena”.
Gli esami tecnici e “la luce offuscata della luna”
“Il dottore si sfilò i guanti e li ripose insieme al registratore, salutò i presenti e andò via. Di lì a poco gli avrebbero consegnato la salma in ospedale. Nel frattempo i tecnici stavano eseguendo le consuete operazioni. Alcuni spennellavano le superfici ritenute utili, altri rimuovevano con delicatezza i rifiuti per vedere se vi fosse nascosto qualche oggetto appartenuto alla ragazza, altri ancora perlustravano il territorio adiacente alla discarica. La luce offuscata della luna, che filtrava attraverso le nuvole addensate, e la pioggia conferivano al paesaggio un’aria spettrale. Baiamonte si fermò ancora per un po’ a osservare la scena, poi rientrò a casa esausta”.
Le indagini e le prime tracce
“Il paniere degli indizi si stava riempiendo di ghiottonerie, come in una versione dark di Cappuccetto rosso, giusto per stare al passo con i suoi sogni. Soddisfatta, l’ispettore posò il ricevitore e iniziò a riflettere sui possibili scenari del delitto. La presenza della sabbia faceva pensare a un luogo diverso da quello del ritrovamento del corpo, rimandava a una spiaggia o eventualmente a un giardino. Più difficile circoscrivere la provenienza della buganvillea, presenza comune nella flora mediterranea. E poi c’era il vetro. Se si fosse trattato di un coccio di bottiglia, si sarebbe potuto inserire tra gli abiti di Katia durante la permanenza nella discarica, se invece fosse appartenuto a un paio di occhiali, avrebbe confermato l’esistenza di una colluttazione. Di certo la tragedia si era consumata in posti e in momenti differenti. Il quadro, pur tra mille incertezze, incominciava a delinearsi”.
La suspence cresce, la curiosità aumenta, vi è molto da scoprire. Ed ogni pagina del romanzo è da leggere sino al disvelamento del caso…
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