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Ma voi, chi dite che io sia?

Blog Una volta chiesi ai miei studenti: «Secondo voi qual è il mio orientamento politico?». Due terzi risposero "Comunista", un terzo "fascista". Non me la presi, pur non essendo più comunista da 30 anni e non essendo mai stato, ovviamente, fascista. Oggi vivo una lieta confusione: a sinistra sui temi della giustizia sociale ma sospettabile di conservatorismo quanto alla tutela di valori travolti dal “progresso”. Al Nazareno chiedo chiarezza ma scopro che anche lui si faceva le stesse domande

Anni fa, durante un’occasionale digressione politica come può capitare a lezione, chiesi ai miei studenti: «Secondo voi qual è il mio orientamento politico?», ritenendo che più che da quelle divagazioni potessero indovinarlo dalle mie stesse lezioni, dalle conoscenze e dai valori che tento di trasmettere.

Due terzi circa di un’aula piena dissero: «Comunista», e invece un buon terzo: «Fascista». Non me la presi, pur non essendo più comunista da almeno un trentennio e non essendo mai stato, ovviamente, fascista. Almeno – mi dissi – nessuno m’ha impaludato nella morta gora del “centro”, dell’incolta borghesia che spaccia l’indifferenza per “moderazione”, il tornaconto per cultura politica, l’acquiescenza al potere come operoso consenso. Almeno – mi dissi ancora – nelle mie lezioni hanno intravisto, oltre che la struttura dell’aldilà dantesco o della canzone di Petrarca, l’invito a un radicale dissenso dal mondo com’è, dalle sue imposture e storture, dai suoi anti-valori. Poi è affar loro se trascrivere tutto questo nelle note di Bandiera rossa o di Giovinezza. Io avrei preferito Imagine o Let it be, pazienza.

Ora, però, sono io a chiedermelo: qual è il mio orientamento politico? E non mi è facile rispondere. Nato in una famiglia socialista, fin da bambino sentivo parlare di uguaglianza e libertà, dei fatti d’Ungheria, di Nenni e Togliatti, e da casa mia sentii risuonare gli spari del luglio ‘60. Adolescente, mi parve più coraggioso definirmi comunista, ma a scombinare le carte arrivò a 16-17 anni la fede in Cristo, imprevista e bruciante, vissuta in una comunità cittadina ricca di amicizie e di spiritualità. Ma arrivò il Sessantotto, le occupazioni e i cortei, e fu breve il passo dal “dissenso cattolico” al marxismo dei gruppi extraparlamentari.

Abbandonai la comunità, e accantonai la fede per un buon ventennio di agnosticismo e di militanza politica, nel quale si avvicendarono la bella esperienza del “Manifesto”, poi una crisi “revisionista” e un decennio nel PCI su posizioni allora definite “socialdemocratiche”. Infine la scelta dell’appagante solitudine del libero pensiero, ma sempre a sinistra, sempre nell’area “riformista”. Gli anni Novanta furono quelli dell’esaltante esperienza da assessore alla cultura nella giunta del “risveglio”, poi del ritorno alla fede grazie alla chiesa valdese.

Nel nuovo secolo il ritorno alla “musica dell’uomo solo”: a sinistra ma avverso ai partiti che vi si collocano, cristiano ma fuori dalle chiese. E le scelte giorno per giorno, abbandonate le illusioni del “riformismo” che nulla intacca dell’iniquità e dei misfatti dell’assetto capitalistico. O non ho votato, oppure ho votato per effimeri raggruppamenti della sinistra estrema. Mi sono perfino definito anarchico, ma la mia era l’anarchia di Leopardi, se non addirittura dei catari e degli anabattisti: un dissenso radicale, un dubbio sistematico esercitato in primo luogo sulle mie stesse convinzioni, anche sul sogno libertario ammaliante e irrealizzabile.

“Le penseur” opera di Auguste Rodin, Museo Rodin, Parigi

Ed ora eccomi qua, in una lieta e inappagabile confusione: sempre appassionatamente a sinistra sui temi della giustizia sociale e dei diritti civili, ma sospettabile di conservatorismo e di nostalgie regressive quanto alla tutela di valori travolti dal “progresso”, alla mia nostalgia per un assetto pre-capitalistico e al relativo sogno di drastica “decrescita”, di ritorno a una sobrietà condivisa, a una (perdonate l’ossimoro) docile disobbedienza (come a dire: il “no” ostinato ma tranquillo di Bartleby lo scrivano).

Sinistra? Destra? Mai così omologate, quelle istituzionali: molto peggio di quanto aveva previsto Sciascia nel Contesto, quando c’erano ancora le ideologie. Spiegatemi la differenza tra Brunetta e Renzi, tra la Gelmini e la Fedeli, tra Zaia e De Luca. Involucri vuoti d’idee, destra e sinistra; macchine di voti e d’interessi, roba da manager e non più da profeti e poeti, da capipopolo e intellettuali.

Quanto al loro ben più nobile passato, posso appassionarmi a Rosa Luxemburg ma anche a Yukio Mishima, a Kropotkin ma anche a Ernst Jünger, a Camus ma anche a Bernanos. E oggi posso consentire con Potere al popolo e dissentire da Draghi e l’indomani, al cospetto di altre questioni, consentire con Draghi e dissentire dalla gauche. Decido momento per momento, questione per questione, sogno la rivolta ma comprendo le ragioni d’un cauto gradualismo, voglio tutto ma scelgo il meno peggio, esigo il cambiamento ma diffido del “progresso”, difendo i diritti ma anche le tradizioni.

Ecco mon coeur mis à nu, eccomi “a Dio spiacente e a’ nemici sui”. Addirittura qualunquista? Accetto l’anatema, se vuol dire stare con l’uomo qualunque, coi suoi dubbi e le sue indignazioni, col suo buon senso e la sua secolare diffidenza. Ma preferisco “moralista”, e (perché no?) anche “populista”: ah, quei sant’uomini russi dell’Ottocento che “andavano al popolo” per condividerne e medicarne le ferite, non per metterglisi a capo; ah, quei meravigliosi (e operosissimi) eredi dei santi ortodossi e dei “folli di Cristo”!

A quest’ultimo, al Nazareno, chiedo chiarezza; ma scopro che era anche lui in preda al dubbio, che si faceva le stesse domande: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Matteo 16,15).

Sono in buona compagnia.

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