HomeLibri e Fumetti

La Sicilia tra realtà e stereotipi nella terra di “mafiaworld”

Libri e Fumetti "La mafia immaginaria. Settant'anni di Cosa Nostra al cinema (1949-2019)” di Emiliano Morreale, edito da Donzelli, porta un contributo nuovo al rapporto fra cinema, realtà e storia. Dalla seconda metà del Novecento la mafia siciliana è divenuta protagonista “di decine di film e di fiction televisive, con un corredo riconoscibile e stereotipato di personaggi, situazioni, immagini: un codice che si è sovrapposto agli eventi storici, li ha modellati e ne ha influenzato la percezione

L’immagine della Sicilia al cinema tra realtà e stereotipi. Ma quale realtà e quali stereotipi? O meglio ancora quale rappresentazione della realtà e quali luoghi comuni? E’ in questo complesso gioco di interpretazioni che sta la delicatezza intellettuale del tema, un argomento che interseca storia, cinema, sociologia, antropologia, costume sociale. L’argomento mafia è già strutturalmente molto difficile da dipanare sul piano storico e storiografico, anche se molte delucidazioni sono giunte nel tempo da grandi studiosi, in primis per autorevolezza e profondità va citato Salvatore Lupo. Quando il tema interseca il cinema, quando la ricostruzione della realtà si innerva con l’arte, la vicenda presenta maggiori difficoltà di interpretazione. Oppure può accadere l’esatto opposto, l’arte che gioca con gli stereotipi, si affida ai luoghi comuni per poi reinventare in maniera originale. E’ ovvio che l’arte è libertà, ma quando – pur non essendo documentaristica – si confronta con la realtà storica le contraddizioni e le eventuali incoerenze emergono.

Un libro molto interessante, ben elaborato e ricco sul piano dei contenuti e del materiale d’archivio. Il testo scritto da Emiliano Morreale, edito da Donzelli, dal titolo La mafia immaginaria. Settant’anni di Cosa Nostra al cinema (1949-2019)” porta un contributo nuovo al rapporto fra cinema, realtà e storia. E mostra quanti luoghi comuni hanno inciso sul rapporto tra film e realtà, fiction e storia. Dalla seconda metà del Novecento, con un incremento notevolissimo sul finire degli anni Sessanta, la mafia siciliana è divenuta protagonista “di decine di film e poi di fiction televisive, con un corredo riconoscibile e stereotipato di personaggi, situazioni, immagini: un codice che si è sovrapposto agli eventi storici, li ha modellati e ne ha influenzato la percezione”. Il testo di Morreale è il risultato di un lavoro serio di ricerca, durato diversi lustri, anche su materiali d’archivio inediti o molti rari. Analizza in maniera approfondita la molteplicità di modi con i quali il cinema ha raccontato Cosa Nostra. Ed unisce al rigore della ricostruzione una chiave di lettura che punta a decostruire luoghi comuni e concetti dati per certi.

Una delle tesi del libro è che il “cinema italiano non ha quasi mai raccontato davvero la mafia, ma si è inventato un “mafiaworld” parallelo, che ha influenzato la percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica, e perfino i modi in cui i mafiosi stessi si sono visti”.

Storia e cinema. L’autore ripercorre passaggi fondamentali della storia d’Italia ed internazionale, dalla strage di Portella della Ginestra al maxiprocesso, dagli attentati del 1992 alla fase contemporanea. Emiliano Morreale ricostruisce la storia della mafia movie attraverso materiali d’archivio inediti o rarissimi. Lo studioso non si sofferma solo sulle opere più famose di cinema e fiction, da Salvatore Giuliano al Padrino, dalla Piovra ai Soprano, da Ciprì e Maresco alle biografie televisive di boss e martiri; ma studia con attenzione minuziosa anche film sconosciuti ma significativi, “e pellicole che non furono mai girate, per censura politica o difficoltà economiche”. Le opere diventano un modo per parlare non solo del passato e delle sue contraddizioni ma anche di come quel passato era rappresentato. 

Emiliano Morreale

In questo libro vi è al centro la Sicilia, vi sono l’Isola e la mafia, e la regione più grande e contraddittoria d’Italia diviene una metafora della penisola. Ed anche la metafora di una realtà che invece di affrontare le proprie paure e le prorie ansie le esorcizza senza davvero analizzarle nella loro essenza. Sul piano cinematografico secondo l’autore spesso la chiave di lettura è stata non realistica ma un gioco di paradossi, con racconti favolistici. Morreale scrive: “Il padrino di Francis Ford Coppola è un insieme di paradossi: un film che salva gli Studios e lancia l’utopia di una leva di registi indipendenti di Hollywood; un film etnico che racconta l’American way of life; soprattutto, una clamorosa costruzione ideologica che racconta un mondo con perfetta attendibilità”. Ed ancora: “Sulla scia di Jameson, Vera Dika ha ipotezzato che il film possa essere visto, più che come auto-rappresentazione degli italo-americani, come fantasia di auto-rappresentazione da parte di un gruppo più ampio, costituito dagli executives della Paramount, attivi già nella fase finale della stesura del romanzo. Lo stesso Mario Puzo, nei Diari del Padrino, vede il film come una riconsiderazione delle radici italiane: a venir rivendicate non sono più solo quelle “nobili” di Marconi o Meucci: la rievocazione della Sicilia per la prima volta balza in primo piano, e si colora di tinte nostalgiche. Il padrino fu visto anche come un ritorno ai valori della famiglia e dell’ordine patriarcale dopo il ’68, ed è innegabile che il patriarca don Vito Corleone sia il sogno di un ordine perduto”.

Marlon Brando e Francis Ford Coppola durante le riprese de “Il padrino”, primo film della celebre saga

L’autore studiando la trilogia del “Padrino” sostiene: “Assai più che nei due lavori precedenti, però, il cuore del film è l’Italia, anzi la Sicilia. Nel tempo trascorso dal secondo episodio, ci sono una feroce guerra di mafia, un maxiprocesso di risonanza internazionale, una serie di omicidi eclatanti di personaggi noti (da Roberto Calvi a Michele Sindona). L’Italia non è più il luogo della nostalgia etnica, ma il teatro del potere contemporaneo. Michael Corleone vuole uscire dal giro e mettersi in affari con il Vaticano attraverso una società detta “Immobiliare”. L’escalation finale è un’autentica apocalisse che scorre in parallelo con la rappresentazione, a Palermo, della Cavalleria rusticana di Mascagni. Un finale che riassume tutto il cinema politico italiano e lo supera iperbolicamente nelle sue vocazioni “melodrammatiche”: ‘Siamo in Sicilia. É l’opera’, dice un personaggio. In quest’ecatombe sono riconoscibili la morte per avvelenamento di Giovanni Paolo I (unico chiamato per nome), quelle di Calvi, di un arcivescovo che somiglia molto a Marcinkus e del politico Lucchesi, combinazione di Gelli e Andreotti (e viene citato il motto Il potere logora chi non ce l’ha). La fine del Padrino e la sua vendetta si intrecciano, in un caos assoluto in cui l’unico a restare in piedi è proprio lui, anche se la sua sopravvivenza è una condanna”. 

Al Pacino nel tragico finale de “Il padrino parte III”

La Sicilia, il cinema e la grande fiction degli States.  Morreale sul tema delle grande fiction degli Stati Uniti, che da alcuni critici è stata interpretata come vera letteratura contemporanea, argomenta: “Molto si è scritto, fin dalla sua prima stagione, sulla serie televisiva I Soprano, creata da David Chase e trasmessa dal canale Hbo in sei stagioni dal 1999 al 2007. Si tratta di uno dei prodotti più importanti e più analizzati della televisione di ogni tempo, apripista di una ricchissima stagione di serialità che dura ancora oggi. Qui ci limiteremo a chiarire la visione di Cosa Nostra che ne emerge, specie in relazione con la tradizione cinematografica precedente. Salta agli occhi intanto la natura auto-consapevole, metatestuale della mafia: da parte degli autori, ma anche dei personaggi. Non solo la serie propone in maniera chiara, fin dalla prima puntata, un confronto diretto con vari predecessori cinematografici a cominciare da Martin Scorsese, ma gli stessi personaggi si rifanno continuamente a modelli precedenti di rappresentazione della mafia italo-americana”. 

Alcuni protanisti della serie tv “I soprano”

Similutidini e differenze fra cinema e fiction. L’autore aggiunge: “Ci troviamo dunque a un livello di scomposizione dell’identità del personaggio ulteriore rispetto al cinema di Coppola, Scorsese, Ferrara; tutti, peraltro, titoli presupposti dalla serie. Dalla saldezza del primo Padrino al chiarimento di prospettiva storico-politica nel secondo; dal misto di testimonianza interna e nervosa sensibilità moderna di Scorsese alla netta condanna della prospettiva tragica di Ferrara: David Chase tira le fila di tutto questo. I personaggi sono letteralmente decostruiti di puntata in puntata; il paesaggio mediale compone e popola le loro vite e la percezione che ne viene offerta allo spettatore. Siamo, si direbbe, in pena età postmoderna”. “Tony Soprano è un eroe, certo: o meglio, è il classico anti-eroe in cui il pubblico americano proietta le proprie paure e i desiderti, dal gangster movie classico a quello degli anni settanta. Ma il suo personaggio, grazie anche alle potenzialità offerte dalla lunga serie, viene man mano smontato, sfumato, nel processo di hollowing”. 

Palermo, le stragi di Capaci e via D’Amelio… Morreale analizza in maniera dettagliata anche il periodo degli anni ’90, partendo da Palermo. “Gli anni fra il 1992 e il 1999, fra le stragi di Capaci e via D’Amelio e i processi ad Andreotti, Contrada e altri rappresentanti di politica e istituzioni, vedono un innegabile, per quanto effimero, risveglio civile e culturale della Sicilia, e di Palermo in particolare. Nel 1992 Leoluca Orlando, già da sindaco della città dal 1985 al 1990, esce dalla Dc e fonda il movimento La Rete. Entrata in vigore l’elezione diretta del primo cittadino, viene eletto (novembre 1993) con oltre il 75% dei voti ed è riconfermato alle elezioni successive, rimanendo in carica fino al dicembre 2000, quando si dimette per candidarsi a presidente della Regione (verrà sconfitto da Totò Cuffaro). I primi anni della giunta Orlando sono ricchi di iniziative culturali, simboleggiate dalla riapertura del Teatro Massimo che si era potuto vedere, negli ultimi decenni, solo grazie al Padrino parte III di Coppola. Nel 1995 viene riaperto al pubblico un luogo dimenticato della città, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo. Nel 1996, a pochi passi, Carlo Cecchi inaugura una serie di rappresentazioni shakespeariane al Teatro Garibaldi: altro luogo abbandonato che, con ponteggi allestiti all’interno, esibisce come un suggestivo set il proprio abbandono. Nello stesso periodo, vengono aperti i capannoni Ducrot, stabilimento industriale di inizio secolo, uno spazio di 55000 mq che ospiterà varie attività anche legate al cinema (un corso di formazione, la preparazione di Sud Side Stori di Roberta Torre, la proiezione di A memoria di Ciprì e Maresco con accompagnamento dal vivo di Steve Lacy, una mostra dedicata alla coppia di registi). Poco a poco e con lunghe interruzioni, il luogo verrà restaurato, ma anche in questo caso l’impressione generale è, all’epoca, di una rovina riutilizzata da subito in quanto tale. Di una ‘estetica delle rovine’, o addirittura di una loro estetizzazione, si parla infatti in quel periodo non solo riguardo a certo cinema (Ciprì e Maresco anzitutto), ma a una maniera di vivere la città”.

Mario Merola e Roberta Torre durante le riprese di “Sud Side Story”

La Piovra e l’immaginario italiano ed internazionale. L’autore si sofferma anche sulla fiction italiana. E scrive: “L’importanza dello sceneggiato La piovra nell’immaginario (non solo italiano) sulla mafia è senza precedenti. Il titolo è diventato proverbiale, il commissario Cattani un eroe mondiale, e le varie stagioni sono rimaste un punto di riferimento, anche polemico, per decenni. La prima puntata va in onda l’11 marzo del 1984, quando è ancora forte il ricordo dell’omicidio Dalla Chiesa, e poche settimane  prima che negli Usa parta l’operazione ‘Pizza Connection’ che colpisce il traffico internazionale di droga, portando tra l’altro all’arresto di Gaetano Badalamenti. A luglio Buscetta arriva in Italia e comincia le deposizioni davanti a Falcone: da lì partirà il maxiprocesso”.

Michele Placido e Barbara De Rossi in “La piovra”

La mostra del Cinema di Venezia del 2000. Un passaggio storico-culturale. Per Morreale un elemento di novità è rappresentato dalla Mostra del Cinema di Venezia del 2000, “quando furono presentati I cento passi di Marco Tullio Giordana e Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca (il primo in concorso, il secondo nella sezione Cinema del presente), in molti erano scettici sulle loro possibilità di suscitare interesse. Il cinema di denuncia sembrava fuori moda, le fiction televisive sull’argomento non erano ancora dilaganti. I due film invece, e specialmente quello di Giordana, ebbero una grande eco. I cento passi rivelava agli italiani la storia emozionante e poco nota del militante di estrema sinistra Giuseppe Impastato detto Peppino, che negli anni Settanta aveva tra l’altro saputo usare i media (una radio libera) contro la mafia di Cinisi, con ferocia ironia. La vicenda di Rizzotto, sindacalista di Corleone ucciso dalla mafia nel 1948, era ugualmente sconosciuta ai più. Al di là del tema, i film sceglievano opzioni estetiche assai diverse: in un caso, un’apparente continuità con il cinema politico, nell’altro le forme del racconto popolare e dei cantastorie”.

Claudio Gioè e Luigi Lo Cascio in “I cento passi”

Perché nessuno nei decenni precedenti aveva pensato a raccontare due personaggi come Impastato e Rizzotto? L’autore propone una chiara interpretazione: “La risposta risiede probabilmente nella struttura del mafia movie come l’abbiamo descritta finora, dove gli eroi, positivi, modellati sullo straniero che arriva in un villaggio da western, sono esterni al contesto narrato. La prospettiva interna, semmai, poteva essere quella del ‘cane sciolto’ che si mette contro l’organizzazione, o del “pesce piccolo” che finisce in un gioco troppo grande per lui. Questo meccanismo non poteva considerare come materiale interessante le storie di due siciliani, che avevano combattuto la mafia muovendosi all’interno di una comunità e quindi nutrendo la propria opposizione con una conoscenza personale e perfino dolorosa di ciò che combattevano”.

Marcello Mazzarella è Placido Rizzotto nel film di Pasquale Scimeca

Vi starete chiedendo di altri grandi registi italiani e stranieri, di altre opere dal valore storico, di film e fiction recenti? Ne troverete l’analisi nel libro di Morreale, un testo davvero ricco di contenuti e interpretazioni.

Condividi su

Commenti

WORDPRESS: 0

SicilyMag è un web magazine che nel suo sottotestata “tutto quanto fa Sicilia” racchiude la sua mission: racconta quell’Isola che nella sua capacità di “fare”, realizzare qualcosa, ha il suo biglietto da visita. SicilyMag ha nell’approfondimento un suo punto di forza, fonde la velocità del quotidiano e la voglia di conoscenza del magazine che, seppur in versione digitale, vuole farsi leggere e non solo consultare.

Per fare questo, per permettere un giornalismo indipendente, un’informazione di qualità che vada oltre l’informazione usa e getta, è necessario un lavoro difficile e il contributo di tanti professionisti. E il lavoro in quanto tale non è mai gratis. Quindi se ci leggi, se ti piace SicilyMag, diventa un sostenitore abbonandoti o effettuando una donazione con il pulsante qui di seguito. SicilyMag, tutto quanto fa la Sicilia… migliore.