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Il “buen retiro” di Virginia Woolf, Sciascia, Petrarca e Boccaccio

Blog Che sia una stanza, un paese di provincia o un luogo del cuore pronti per essere valorizzati perché entrano di diritto nella storia della letteratura, tra le necessità, oserei dire vitali, degli scrittori c’è quella di avere un luogo, possibilmente ritirato dove scrivere e leggere, leggere e scrivere. Ovvero dove fare tutte le attività da scrittore

Tra le necessità, oserei dire vitali, degli scrittori c’è quella di avere un luogo, possibilmente ritirato dove scrivere e leggere, leggere e scrivere. Ovvero dove fare tutte le attività da scrittore. 

Virginia Woolf parlando alle studentesse di Cambridge, indicava quando fosse importante, oltre a una rendita economica, avere una stanza tutta per sé per una donna che volesse scrivere. Una camera può diventare un buen retiro che la fantasia può trasformare in un luogo senza limiti.

Virginia Woolf, autore della foto sconosciuto, Harvard Theater Collection, Houghton Library, Harvard University, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36753923

Leonardo Sciascia

Altri autori hanno fatto di più. Hanno scelto una stanza in piccoli paesi di provincia o addirittura in isolate case di campagna. Tra i casi più noti di quest’ultimo esempio c’è quello di Leonardo Sciascia che pur vivendo nella non grande Racalmuto, d’estate andava a scrivere le sue opere nella casetta in contrada Noce passando il tempo oltre che a leggere e scrivere, pure passeggiando e raccogliendo erbe spontanee.

Quindi, la calma della provincia unita all’angolo segreto di ogni autore favorisce quel raccoglimento utile per creare grandi opere. La frenesia delle grandi città, senza una porta che bene isoli da quel trambusto, stimola meno di quella vera periferia abbandonata dell’Impero in cui può capitare si raccolgano menti eccelse: la Sicilia ne sa qualcosa.

Un altro caso illustre è quello di Francesco Petrarca che sdegnato dalla vita corrotta di Avignone, allora sede papale, trovò a una quindicina di chilometri «captus loci dulcedine» (preso dalla bellezza del luogo) rifugio di calma e amenità presso Vaucluse (in italiano: Valchiusa) e lì visse per una ventina di anni e scrisse tutte le sue opere. A riprova la famosa Chiare, fresche et dolci acque fu ispirata dalla Fonte di Valchiusa.

Francesco Petrarca, immagine di  Giusto di Gand, © The Art Archive/Corbis, http://ec-dejavu.ru/p-2/petrarch-10.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7534085

Oppure c’è il caso di Giovanni Boccaccio che invece visse (e forse nacque) a Certaldo piccolo centro in provincia di Firenze. Lì si ritirò anche per motivi politici dopo che alcuni suoi amici finirono sul patibolo per essersi ribellati al potere della Parte guelfa che imperava a Firenze, e tant’è che nella sua Consolatoria a Pino de’ Rossi poté scrivere che nel borgo poteva vivere con i suoi “libricciuoli”, “senza alcun impaccio” e “liberamente ragionare”.

Dunque, che sia una stanza, un paese di provincia o un luogo del cuore pronti per essere valorizzati perché entrano di diritto nella storia della letteratura perché offrono tuttora rifugio, indisturbata meditazione, raccoglimento e non hanno perso il ruolo di osservatorio di vita che favorisce e ha favorito la nascita di opere non ancora dimenticate.

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