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«Donna e non eroina». Giusy Sciacca e l’indole scalpitante di Amelia che brama il cambiamento

Libri e Fumetti «Non è un romanzo sulle donne siciliane, è un romanzo corale che trascina una complessità di istanze esistenti allora come adesso». E tra il liberty e la "conoscenza" di Maria Giudice, madre di Goliarda Sapienza, "D'amore e di rabbia", pubblicato da Neri Pozza, è il primo della scrittrice lentinese, amarcord sui diritti dell'uguaglianza raccontati partendo da una vicenda vera svoltasi un secolo fa tra Catania, Lentini e Siracusa (città che ospiteranno presentazioni del romanzo)

Una storia vera, amara e crudele, all’ombra del successo dopo battaglie per l’ottenimento dell’uguaglianza. E, poi, anche lo stupore dello stile, degli ambienti e della narrazione. Questo è il debutto al romanzo di Giusy Sciacca, dal titolo “D’amore e di rabbia, uscito il 21 marzo per i tipi di Neri Pozza (pp. 222 € 18,00). Ambientato a Lentini un secolo fa, siamo nel luglio del 1922, il romanzo narra di Amelia Di Stefano, una donna coraggiosa ma anche molto sfortunata che si ritrova da sola a combattere il mediocre mondo dei pregiudizi, nel suo caso specifico, per un errore di gioventù che la induce ad abbandonare il casato nobiliare catanese dal quale proviene.

Non tutte la dimenticano, tant’è che l’amica Eleonora l’aiuta dandole rifugio in un alloggio di proprietà del marito. Sopravvive dando lezioni private agli studenti, e viene invitata a condividere delle feste che organizza il marito di Eleonora. È in una di queste che conoscerà il barone Francesco Beneventano. Questi alla ricerca costante di donne, come sempre ha fatto, che lo allontanino dalla noia matrimoniale, vede in Amelia la futura conquista. Di contra ad Amelia non spiace la possibilità di essere mantenuta e in quest’uomo ne individua la possibilità. I due si trasferiscono a Lentini, lui perché vi abita, lei perché lo segue dimorando in una bellissima casa che il baronello le riserva. Ma le cose non sono come sempre sono accadute, proprio perché Amelia è una donna speciale e diversa dalle altre fino a indurre a circuiti di ira classista ma anche di gelosia il baronello, specie quando la donna, ambientatasi nella realtà lentinese, scopre il mondo degli operai, della disuguaglianza e della povertà. Amelia conoscerà e frequenterà sindacalisti dediti alla ricerca di una vita dignitosa, e da uno di questi, Mariano Fortunato, sarà coinvolta emotivamente e inizierà a produrre la propria battaglia al fianco di compagne e compagni che necessitano anche della parola e del gesto di conforto.

Seppur l’ambientazione è di un secolo fa le cose oggi non sembrano essere cambiate più di tanto. Ecco perché il bellissimo romanzo di Giusy Sciacca, che focalizza molto su quello stile liberty che viene descritto con meticolosità certosina nelle città da lei narrate – dunque Catania, Lentini e Siracusa – diventa al contempo attualissimo e antropologicamente dal taglio storico degno di essere approfondito da chi è appassionato da certi passaggi della storia del nostro Paese.

Lentinese di nascita, siracusana e romana d’adozione, Giusy Sciacca solo tre anni fa ha svelato che c’era lei dietro l’identità social de “La Sikula”, con cui era diventata una delle maggiori bookblogger italiane. L’abbiamo incontrata in occasione di un suo ritorno a Siracusa, e abbiamo avuto il piacere di trascorrere insieme diverse ore per farci raccontare com’è nata la descrizione di certi ambienti bellissimi, se non da sogno, che solo i nonni possono raccontare. Le abbiamo anche chiesto come è giunta, dopo la sua prima esperienza di scrittrice con l’antologia di racconti del 2021,Virità femminile singolare-plurale” (Kalòs, pp. 224, € 14,00) a scrivere un romanzo, che dal primo giorno di uscita sta scalando le classifiche. Lo stile in parte richiama la contemporaneità del nulla che cambia ma è anche qualcosa di nuovissimo che fonda le proprie radici sul forte legame con la Sicilia e con la sua lingua, senza eccedere nel parossismo del dialetto. Iniziando dai personaggi, tra i quali troveremo anche la madre di uno nota scrittrice.

Giusy Sciacca in uno scatto di Gimmi Corvaro

Giusy Sciacca in uno scatto di Gimmi Corvaro



Chi e cosa può rappresentare la vicenda di Amelia Di Stefano, nella disastrosa contemporaneità?
«E’ sempre faticoso scoprire la propria natura ma Amelia è una figura moderna per la sua epoca e la nostra. Lo è sempre stata fin da adolescente, quando commette un errore imperdonabile, che è dove si origina il suo stigma. Il suo sarà un lungo e travagliato percorso di crescita personale e presa di coscienza. È in bilico tra due mondi, quello della Catania luminosa e della Lentini rurale, tra due ideologie, ma soprattutto tra gli schemi sociali dettati dal suo tempo e un’indole scalpitante che brama cambiamento. Proprio quello che intercetterà nella nuova comunità che la circonda a Lentini. Nel romanzo intendevo descrivere questa condizione di progressiva presa di coscienza e maturazione verso un percorso di emancipazione. E  questo non è altroche lo stesso percorso, con i dovuti passi avanti, che stiamo ancora compiendo come donne e come società? Inoltre, nelle mie intenzioni il romanzo non si limita alla sola prospettiva femminile, ma si estende all’intera comunità che matura fino al raggiungimento di una coscienza di classe. Non è un romanzo sulle donne siciliane, è un romanzo corale che trascina una complessità di istanze esistenti allora come adesso. In questo senso il 1922 e il 2023 possono apparire più vicini di quanto si possa pensare. In fondo, discutiamo ancora di diritti al e del lavoro, di tutele, di parità dei diritti ad ampio spettro ed emancipazione delle donne».

Un’eroina dunque la protagonista Amelia?
«No, Amelia tuttavia non è un’eroina, è una donna. È l’istantanea della condizione femminile nel suo tempo, un frutto incompiuto lungo questo percorso di autoaffermazione per gran parte del romanzo che solo alla fine, e alla vigilia di un nuovo ordine delle cose, compirà una scelta. Una prospettiva delicata questa, che potrebbe sfuggire ai cliché interpretativi frettolosi».

Palazzo Beneventano a Lentini

Palazzo Beneventano a Lentini

Quello che è un atto d’amore, la nascita, o per meglio dire l’atto per antonomasia che crea e procede il mondo, diventa una tragedia: a quei tempi e negli ambienti aristocratici è scandalo. Amelia avrà una figlia motivo di litigi col proprio casato che la induce a lasciare il benessere. Quanto è cambiato negli anni lo scandalo succitato e in che forma? Ed è cambiato, realmente?
«Lo scandalo non è cambiato, è tale ancora adesso. È difficile stabilire se come società siamo più aperti e tolleranti o più ipocriti, perché le larghe vedute di cui spesso ci si vanta sbattono comunque sempre contro il proprio orticello. La stessa cosa di una nascita illegittima e senza il placet della famiglia è anche l’amore clandestino, la condizione di mantenuta di Amelia. Tutti sanno e tutti fanno finta di non sapere, ma giudicano dietro le fessure delle finestre.»

La brava, bella e nostra collega Giusy Sciacca in uno scatto di Giovanni Tinè

La brava, bella e nostra collega Giusy Sciacca in uno scatto di Giovanni Tinè

Chi aiuta Amelia è la sua amica Eleonora: le dà un luogo dove dormire e dove impartire lezioni, fin quando il marito di questi organizza una festa dove Amelia viene corteggiata da un nobile lentinese: il baronello Beneventano. Non è amore, ma interesse d’ambo le parti. Lui vuole una donna dove poter distrarsi dalla monotonia della moglie, lei vuole essere mantenuta e tornare a vivere nel potere e nel lusso più elevato. Quando e se si innamoreranno?
«Il loro è un rapporto di compromesso che sta bene a entrambi fino a un certo punto, perché uno dei due nel tranello dell’innamoramento ci cascherà sul serio. Se sarà corrisposto o se avrà un lieto fine però, lo si scoprirà leggendo. Eleonora è una donna dalla funzione decorativa, da salotto. È perfetta nel suo ruolo frivolo. È innegabile il suo affetto e la sua amicizia per Amelia. È sincera, ma filtrata dalla sua visione e dalla sua prospettiva agisce e consiglia l’amica a fin di bene. Le due donne, pur condividendo il background, rappresentano già due passaggi diversi del processo di emancipazione femminile».

Catania, primi anni del '900

Catania nei primi anni del ‘900

A Lentini Amelia conoscerà le difficoltà che il popolo vive. Incontra il sindacalista Mariano, del quale si innamora: è lui a introdurla nel mondo dei diritti e della parità o è lei che spinta dall’amore si interessa così tanto da abbracciare il movimento operaio?
«Non sono sicura che se ne innamori realmente, lo idealizza sicuramente. Vede in lui la sintesi di ciò che le è sempre mancato: una passione, una comunione di intenti, un uomo brillante accanto, un potenziale amore da poter vivere alla luce del sole. In merito alla domanda invece direi proprio di no. Amelia è già sensibile a certe tematiche e si evince dalle sue riflessioni sulla guerra e sulla classe nobiliare, dalle sue frequentazioni prima del trasferimento a Lentini, come lo stesso cocchiere che amò da giovane o l’avvocato Musumeci. Mariano, ripeto, poteva rappresentare dunque l’uomo ideale dal quale lasciarsi intrigare».

Giusy Sciacca ospite di Gigi Marzullo

Giusy Sciacca, di spalle, ospite nel 2021 di Gigi Marzullo a “Mille e un libro. Scrittorin in TV”, quando uscì “Virità. Femmile singolare-plurale”

Tecnica e stile. Il romanzo è corale, che di primo acchito richiamerebbe scuole di pensiero fondate in Sicilia da siciliani, Verga, Capuana… Scorrendo il testo, però, ci si accorge che nella sua particolarità vengono esaltati aspetti della narrazione difficilmente riscontrabili altrove: usa due/tre volte il dialetto pur mantenendo una scrittura dal taglio potentemente e storicamente siciliano e di quegli anni da lei raccontati. Che studio c’è dietro questo stile?
«Della tradizione siciliana dei grandi maestri citati non avrei mai potuto fare a meno. Li ho letti, studiati e amati dalla prima all’ultima pagina. Ne sono orgogliosa, perché non esiste una letteratura italiana regionale così identitaria come quella siciliana che possa vantare padri così illustri. Tuttavia, negli ultimi decenni, da Camilleri in poi – e con tutto il rispetto per la produzione camilleriana – credo che nei romanzi siciliani si abusi del dialetto. O meglio, quello che io volevo realizzare era una scrittura dal sapore siciliano inconfondibile, ma nella pienezza e nella ricchezza della lingua italiana. Anche qui ho guardato ai grandi maestri siciliani con lo spirito di chi cerca di metterne in pratica gli insegnamenti: Verga dà voce alla Lupa, verosimilmente analfabeta, eppure non scrive in siciliano. È una verità sulla quale riflettere e comunque questo è stato il tipo di lavoro che ho fatto. Ho lavorato sulla sintassi, sul lessico, sulle descrizioni lasciando solo le parole intraducibili, come cassìla, che in italiano non ha una traduzione che le renda giustizia. Questa è stata la mia scelta, ciò che sentivo di voler fare. Spero di esserci riuscita in qualche modo».

Il 18 marzo Giusy Sciacca si fotografa con la prima copia del suo romanzo

Il 18 marzo Giusy Sciacca si presenta sui social con la prima copia del suo romanzo



In merito alla scrittura, nell’ultimo decennio, vede primeggiare, almeno per il 90%, autori siciliani nel fenomeno editoriale di “riprodurre” fatti reali arricchendoli con brevi frame di fiction. Inoltre si sta allontanando il “camillerismo” e quella scia monotematica di commissari e omicidi o l’assenza di contenuti di alcuni autorevoli nomi, forse senza più idee, che hanno prodotto il nulla per mera scelta di marketing di grandi editori. Forse il pubblico non è più interessato?
«I fenomeni citati hanno riscontro nelle classifiche di vendite ed entrano nelle librerie. È vero, il romanzo storico e i gialli post-camilleriani in serie sono due filoni molto prolifici, ma continuano a essere amati e cercati dagli editori perché assecondano il gradimento del pubblico. La scommessa è la durata, anche se credo che entrambi i generi possano andare incontro a flessioni, ma mai alla saturazione. Tuttavia, l’eccessiva generalizzazione nell’analisi della produzione nazionale contemporanea rischia di costruire dei grandi calderoni e di non tenere conto di potenziali singole novità».

Torniamo a “D’amore e di rabbia”. Ci sono episodi che, indagando, sono riportati di passaggio in un giornale o in una lettera, ciò fa evincere che c’è uno studio lungo e ricercato alla base di questo romanzo e che il mezzo di informazione oggi più usato, internet, non poteva bastare. Che tempi ha richiesto la nascita di questo romanzo e che territori sono stati calcati per riportare questi fatti così importanti con chicche che aprono mondi di vedute?
«Assolutamente. La ricerca storica approfondita è per me propedeutica e fondante alla stesura del romanzo. Ne è la sostanza e risponde anche a una responsabilità divulgativa da parte dell’autrice o dell’autore. Ciò non significa scrivere un saggio accademico, ma poter tessere la narrazione e la personalità dei personaggi sul fitto telaio dei fatti. In questo caso, trattandosi di storia molto locale, non è stato semplice reperire materiale. Non c’era nulla di digitalizzato. Ho passato molto tempo negli archivi nei mesi estivi e dalla documentazione locale ho allargato il raggio man mano fino a trovare l’articolo de L”Avanti” del 1922 che riporta la data esatta dell’episodio. In realtà, infatti, neanche quella era certa. La rete bibliotecaria funziona molto bene. Attraverso il Polo Bibliotecario del Senato sono arrivata alla Biblioteca Gaetano Salvamini di Torino, dove ho appunto ritrovato la pagina del quotidiano. La ricerca riserva soprese davvero emozionanti, per questo la trovo avvincente. E quando il quadro storico è chiaro e in piedi, si inizia a scrivere».

Siamo nel 1922, un personaggio determinato e ardito è Maria Giudice, giornalista e attivista politica nota anche per essere stata madre della scrittrice Goliarda Sapienza. Che sensazione emotiva ha dato scoprire chi fosse e il ruolo che aveva nelle lotte per l’uguaglianza del popolo?
«Amo da sempre Goliarda Sapienza, avevo letto anche del suo rapporto con la madre, figura illustre del sindacalismo e del femminismo. Lombarda di nascita, prima dirigente donna del partito socialista, Maria Giudice è un esempio titanico di attivismo per una nuova coscienza morale e culturale nei lavoratori e nelle donne. Quando nel corso della ricerca, ho realizzato che a essere coinvolta direttamente nella storia fosse un personaggio di questa levatura, non ho avuto dubbi: lì che è nata l’idea del romanzo. Il resto lo scopriranno i lettori».

Rara foto di Maria Giudice sindacalista e attivista nonché madre di Goliarda Sapienza

Rara foto di Maria Giudice sindacalista e attivista nonché madre di Goliarda Sapienza

Nelle sue 200 e più pagine del romanzo, manca la descrizione artigianale dei luoghi e degli ambienti tra Catania, Lentini e Siracusa, che rasentano il concetto di polvere di stelle e di sogno magico. Per citarne alcuni: il Teatro Sangiorgi, il Caffè Lorenti, la gioielleria Russo & figli, gli storici pasticceri Caviezel e ancora altri, come la meraviglia a tutt’oggi resistente di Ortigia, l’Hotel des Etrangers, per non parlare dei poderi, terreni e proprietà varie dei potentissimi Beneventano e il loro palazzo a Lentini. Questa meraviglia era concessa al solo mondo aristocratico o borghese benestante o a tutti?
«Visibile lo era di certo a tutti, concessa solo a pochi. Immaginiamo lo splendore e il luccichio delle insegne dei bar di lusso e delle boutique lungo la via Etneaa Catania. A quanti era permesso varcarne la soglia? Gli altri rimanevano ai bordi delle strade, come avviene da sempre. Quella delle ambientazioni ricche di dettagli è una mia fissazione, cinematografica direi. Ricreare i luoghi con i loro suoni, odori, la vista. Ho voluto rivivere io stessa attraverso la scrittura tutta la gloria della Catania liberty e purtroppo spazzata via da scelte scellerate».

Teatro Sangiorgi a Catania, icona liberty degli anni del primo '900

Teatro Sangiorgi a Catania, icona liberty degli anni del primo ‘900

Il 1922 fu l’anno della “Marcia su Roma”, erede del Sansepolcrismo, questo nato dalla fusione di democratici, anarchici, comunisti, combattenti di tutte le estrazioni sociali, decisi a capovolgere le ingiustizie di classe. Il romanzo non ne parla palesemente ma affronta il tema del sindacato per l’uguaglianza e per la non sottomissione (ciò che volevano i sansepolcristi del fascio primigenio) che scuote e muove gli animi dei personaggi: Enza, la sua battaglia e il suo amore lesbo; Santina gravida e con un bimbo, sola ad affrontare il lavoro in “putìa”, perché il marito è a Gorizia a combattere per servire lo Stato.
«È un’osservazione giusta. L’istantanea che ne viene fuori osservando trasversalmente la povera gente che circonda Amelia è quella di una presa di coscienza animata da forza di volontà e spirito di cambiamento, di rivalsa. Di fatto la loro chiamata alla lotta mostra ancora tratti acerbi, autentici e vibranti, ma non del tutto maturi per confrontarsi con l’utopia. Non posso dire troppo, ma a questo proposito credo possano essere importanti le parole del saggio senatore Giuseppe Luigi Beneventano per comprendere la pluralità dei punti di vista in merito alle azioni e agli intenti della comunità bracciantile. Tuttavia, è un momento e una spinta che avevano tutta la loro ragione d’essere e la loro esistenza è stata necessaria per una evoluzione anche della scena e del dibattito politico di tutto il Novecento e di quello contemporaneo. Per questo dico che questa è non è una storia provinciale, ma nazionale e dalla quale non si può prescindere per comprendere la nostra società e il diritto del lavoro contemporaneo».

Giusy Sciacca in un altro scatto di Gimmi Corvaro

Giusy Sciacca in un altro scatto di Gimmi Corvaro

Alla fine resta la questione dell’amore. Chi si ama o chi ama davvero in questo romanzo?
«Questa è una bella domanda. Ho già sentito parlare di un’Amelia innamorata e io che l’ho scritto non credo di averne la certezza, mi sembra decisamente un’interpretazione semplicistica e frettolosa. Una come Amelia che scappa e si espone perché sa che tutti sanno che è l’amante del barone, è una donna che non ha niente da perdere , ma che a sua volta ingoia il rospo e prende atto delle delusioni. Più che di amore parlerei di pulsazioni, di passioni, di ossessioni. Di inquietudine, di irrisolti. Alcune pagine sono dedicate alla sua riflessione sull’amore, che è la mia. Anche a livello personale. Lo sostengo anche nel romanzo che l’amore ha misure di andata e di ritorno differenti. Per questo non può che durare il tempo di una fioritura nella mia visione pessimistica dell’amore. Leggendo il romanzo scoprirete quali sono gli amori destinati a durare per sempre e quali no».

Catania, Lentini e Siracusa sono da sempre al centro della vita di Giusy Sciacca e sono al centro anche del racconto di “D’Amore e di rabbia”. Non potevano partire che da lì i primi incontri per la presentazione del romanzo. Nella locandina in basso tutti gli eventi fino ad ora programmati.

Le prime date del tour ufficiale di "D'amore e di rabbia" si terranno in Sicilia



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