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Giuseppe De Rita e “Il lungo Mezzogiorno”: il Sud con la esse maiuscola è finito, ci sono tanti Sud

Libri e Fumetti Autorevole e noto studioso, il sociologo e fondatore del Censis riflette su temi cruciali della storia d'Italia e della nostra epoca attuale, e lo fa in un libro - “Il lungo Mezzogiorno” (edito da Laterza) - che è anche una ricostruzione del suo impegno nel dibattito pubblico. Un viaggio che palesa contraddizioni e limiti dei tanti Sud ma anche positività ed elementi di speranza

Il Sud, la Sicilia, il Mezzogiorno a macchia di leopardo. Un autorevole e noto studioso, sociologo e fondatore del Censis, Giuseppe De Rita, riflette su temi cruciali della storia d’Italia e della nostra epoca attuale, e lo fa in un libro – “Il lungo Mezzogiorno” (edito da Laterza) – che è anche una ricostruzione del suo impegno nel dibattito pubblico. Un viaggio che palesa contraddizioni e limiti dei tanti Sud ma anche positività ed elementi di speranza. Ed è anche un itinerario nella dimensione culturale del medesimo autore.

Giuseppe De Rita

De Rita inizia a delineare alcuni suoi punti di riferimento: “I primi due esperti di sviluppo che ho frequentato all’inizio del mio meridionalismo sono stati Giorgio Segregondi e Padre Luois-Joseph Lebret. Il primo era convinto che nella ‘lunga durata’ non è l’economia che traina il sociale ma il contrario; e che quindi lo sviluppo va perseguito con adeguati interventi sul sociale sollecitando la partecipazione delle popolazioni locali; Lebret, dal canto suo, era convinto che per fare sviluppo occorrono non interventi dall’alto, ma profondi processi di autocoscienza e di autopropulsione collettiva. Io sono nato su quel duplice imprinting, e su di esso ho sempre fedelmente lavorato”.

I molteplici “racconti” del Mezzogiorno

Uno dei temi caldi della questione meridionale a cavallo tra ‘800 e ‘900: i Carusi delle miniere siciliane di zolfo

De Rita nella raccolta di testi – che hanno attraversato sessant’anni di vicende italiane – analizza i molteplici “racconti” del Mezzogiorno che sono stati realizzati. Si tratta di argomenti che sono storici e storiografici, economici e sociologici. De Rita sostiene: “Il ‘primo racconto’ nasce con e nella scoperta della cosiddetta questione meridionale. Tutti noi sappiamo quanto hanno giocato in merito le prime grandi indagini parlamentari (specialmente la Franchetti-Sonnino); tutti noi abbiamo apprezzato la denuncia in tali indagini della assoluta povertà delle popolazioni del Sud e il loro profondo bisogno di protezione; tutti noi abbiamo capito che la distanza fra Nord e Sud era cosa radicata da tempo nella cultura e nella politica italiana (…); tutti noi conosciamo la determinazione di alcuni grandi intellettuali a cavallo del Novecento nel mettere la questione meridionale all’ordine del giorno del dibattito culturale e sociopolitico (da De Roberto a Nitti, a Sturzo, a Salvemini, a Gramsci), in diversità di prospettive e di accenti, ma con una convergente tensione civile e morale; tutti sappiamo quanto l’inquietudine sociopolitica per il divario, per il dualismo Nord-Sud abbia per anni segnato la coscienza collettiva, e anche la più generica opinione pubblica”.

Come ogni lettura storica e storiografica questo modello era ovviamente legato ad un determinato contesto, un lungo contesto storico, la cui cornice è profondamente mutata con l’arrivo della modernità. Con i cambiamenti avvenuti nella Seconda metà del Novecento, soprattutto fra gli anni Cinquanta e Sessanta. L’autore scrive: “Era già subentrato il ‘secondo racconto’: quello più moderno, centrato sulla cultura dello sviluppo; sull’obiettivo dell’industrializzazione e sui relativi prerequisiti; sull’intervento straordinario massiccio e concentrato nei tempi”.



Ma anche questa fase storica mostrò acute contraddizioni, ed anche il modello dell’intervento straordinario non ha mancato di palesare diversi limiti che sono stati ampiamente discussi nel dibattito politico, sui media, nel mondo degli storici.

De Rita sintetizza così: “(…) I tentativi di un ‘terzo racconto’ della questione meridionale rientravano nella originaria dimensione sottotraccia; ma, al tempo stesso, la lunga e gloriosa storia dell’intervento straordinario cominciava a mostrare stanchezza e ripiegamento su sé stessa. Il Mezzogiorno fu di fatto lasciato a sé stesso. E si dimostrò subito un ‘Mezzogiorno a pelle di leopardo’, segnato da differenze reali e profonde e da disarticolati traguardi. Avendo coniato, come Censis, quella definizione, ne conosco e ricordo bene sia gli effetti negativi che quelli positivi.

Così ‘battere le vigne’ non è oggi, almeno per me, navigare in un deserto: si ritrovano per il Mezzogiorno vivaci e intense iniziative: sia di Fondazioni di comunità (a Messina, a Salerno, a Napoli, in Val di Noto, ad Agrigento, ecc.); sia di importanti esperienze locali (a Lamezia, a Casal di Principe, in Salento, a Cagliari); sia di iniziative cooperative di esemplare valore umano (le Catacombe di San Gennaro a Napoli, il Consorzio Goel nella Locride); esempi concreti di uno sviluppo che ‘parte’ da processi di inclusione sociale, in un insieme di sostanziale riferimento ai valori di sviluppo, della ricerca, dell’impresa, dell’uso della tecnologia”.

Il dinamismo del Sud-Est, e i ritardi della Sicilia centrale

Catania vista dall’alto, foto Antonio Iacullo, , CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0, via Wikimedia Commons

Il racconto-interpretazione di De Rita è sempre stato legato ai fatti, ispirato da un equilibrato realismo storico-sociale: “Ho ben presente, infatti, la drammatica situazione di alcune zone meridionali, sia a livello di grandi aree metropolitane (penso specialmente a Napoli e a Palermo), sia a livello di alcune zone interne (penso specialmente ad alcune realtà della Sardegna, della Calabria e della Lucania); e so bene che una globale trasformazione di sviluppo è evidentemente ancora da attuare. Tuttavia sembra a me che, pur nella consapevolezza di grosse situazioni di crisi, noi che lavoriamo in termini di riflessione culturale dobbiamo tendere ad una reimpostazione della questione meridionale che tenga conto delle linee di movimento che si vanno evidenziando nel Sud”.

Gli studi de De Rita muovono da una profonda conoscenza dei territori, delle realtà locali, dei loro punti di forza e di debolezza. Conosce bene gli elementi di dinamismo di aree come Catania e la Sicilia Orientale (oggi diremmo del Sud-Est) e le differenze rispetto ai ritardi nello sviluppo di diverse aree della Sicilia centrale. Ed ancora, le differenze profonde fra alcune aree sviluppate della Sicilia e della Puglia rispetto a molte zone arretrate della Calabria. Questo non vuol dire non cogliere anche i limiti e le difficoltà presenti nell’aree più dinamiche. La visione di De Rita è di ampio respiro, razionale e ponderata.

Il suo è un racconto-interpretazione che va oltre, è ispirato da una vera filosofia meridionalista propositiva e non vittimistica, attenta a cogliere anche le diverse contraddizioni interne al dibattito sui Sud. De Rita scrive: “Siamo progressivamente andati perdendo l’anima interna dell’azione meridionalista, cioè l’asse di riferimento generale su cui far ruotare le varie specifiche logiche di impegno operativo; per cui il problema, oggi, è quello di recuperare un tale asse di riferimento generale, giacché le pur gravi singole situazioni di crisi da sole non riescono a dare senso prospettico ad un nuovo ciclo di cultura e di azione”.

De Rita insiste molto sulla pluralità dei Sud, sulle differenze sul piano economico-sociale legate a storie diverse ma anche ad identità e mentalità molteplici:“Pensiamo al nostro Nord e Sud: il Sud di oggi non è il Sud con la esse maiuscola, ci sono tanti Sud. (…) Non possiamo pensare che il Mezzogiorno sia un Mezzogiorno fatto tutto di gente assistita”.

L’ancoraggio al Mediterraneo

Il Mar mediterraneo visto dal satellite

De Rita affronta anche un altro tema molto importante e che purtroppo spesso è visto solo in chiave astratta. “Dobbiamo avere il senso del rapporto integrante con il Mediterraneo, anche se non c’è da far subito qualche cosa, anche se non ci sono tantissimi soldi da spendere, anche se non ci sono progetti. Dobbiamo avere, però, il senso che siamo uno dei tre, o meglio dei due rapporti veri fra l’Europa e il Mediterraneo, l’Italia e la penisola iberica, poiché i Balcani sono ancora complicati. 

Con l’intelligenza e l’accortezza, che dò per scontate, che la prospettiva locale delle azioni, affiancata da interventi di più ampio respiro strategico, non distolga mai l’attenzione del sostegno pubblico dal considerare la questione dello sviluppo del Mezzogiorno come esigenza, domanda, bisogno, problema, o comunque lo si voglia denominare, di rilevanza nazionale e della quale occorrerà ancora a lungo occuparsi in maniera sistemica e coordinata”. 

La lettura del libro fa emergere varie altre riflessioni e spunti interessanti…

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