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Concetto Pettinato, il fascista sociale che bacchettava il Duce

Blog Da sempre la Storia la scrivono i vincitori ma il giornalista (fu direttore de "La Stampa") e scrittore catanese oggi è colpevolmente dimenticato. Convintamente ma inquietamente fascista, per aver criticato la politica di Mussolini ai tempi della Repubblica di Salò fu sollevato dall’incarico. Un suo bel libro di memorie, "Rosso di sera", pubblicato nel 1959, è una delle più belle rievocazioni della Catania com’era che siano state scritte

La Storia, si sa, la scrivono i vincitori. Anche quella della letteratura: chi ha perso, chi stava dalla parte sbagliata, paga con l’oblio. Soprattutto i nostri malcapitati connazionali: nessuno oserebbe contestare i meriti di un Céline, di un Mishima, di Hamsun o di Jünger pur schierati all’estrema destra, pur fascisti o ultra-reazionari. E quando proprio non se ne può fare a meno, si ammette al “canone” Pirandello purché si sorvoli sulla sua adesione al fascismo, giunta nel momento meno opportuno, all’indomani del delitto Matteotti, e tutt’altro che estranea alle sue scelte espressive, al conflitto tra la “vita” e le “forme”.

La tessera fascista di Luigi Pirandello

Ne sanno qualcosa eccellenti scrittori oggi del tutto ignorati come il fascista Marcello Gallian, autore di notevoli romanzi di accesa espressività e di esagitato realismo, ben noto e operante nel ventennio, ridotto nel dopoguerra a vendere sigarette sfuse alla stazione Termini come un mendicante; oppure tenuti in sospetto e ai margini dalla intellighenzia dominante (vedi clan Moravia) come Giuseppe Berto, ex fascista e mai dichiaratamente pentito, eppure autore di capolavori come Il cielo è rosso e Il male oscuro: e forse solo chi come lui aveva patito l’errore e la sconfitta poteva scriverli. E che dire di un grande pittore come Ottone Rosai, che fascista protesse l’antifascista Montale, e perseguitato nel dopoguerra chiese aiuto a Montale e si vide sbattere la porta in faccia?
Nessuna pietas per i vinti, come quella di Pavese per i loro morti nella Casa in collina, come quella dell’avvocato antifascista Enzo Paroli che ospitò e nascose il fascistissimo Telesio Interlandi per sottrarlo alle inquisizioni postbelliche. A meno che, s’intende, non si fossero riciclati in tempo: se molti nostri scrittori si affrancarono dalle bugiarde mitologie del regime al culmine di un tormentato itinerario e a costo di un severo esame di coscienza, altri cambiarono facilmente casacca senza modificare alcunché del loro modo di pensare e di scrivere.

Partigiani a Milano

Ma è di un mio concittadino che piuttosto vorrei dire, scrittore e giornalista, anche lui colpevolmente dimenticato: Concetto Pettinato. Inviato della “Stampa”, poi direttore del quotidiano torinese, Pettinato fu convintamente ma inquietamente fascista: per aver criticato la politica di Mussolini ai tempi della Repubblica di Salò fu sollevato dall’incarico, e anche nel dopoguerra aderì al MSI ma presto se ne dimise: nell’un caso e nell’altro deprecava gli aspetti reazionari e del regime e dei suoi eredi, propugnando quel fascismo “sociale”, “di sinistra”, antiborghese, anticapitalista e oggi si direbbe populista che lungo un secolo era e resta l’eterno sconfitto dalla destra conservatrice, padronale, codina.

Concerto Pettinato nell’immagine di copertina di “Scritto sull’acqua”

Concetto Pettinato era legato da un affettuoso rapporto di parentela a Federico De Roberto (lo chiamava “ziano”, ossia zio di chissà quale grado), ma soprattutto – finché visse a Catania – di assidua frequentazione e di discepolato, condiviso con un drappello di giovani come Villaroel, De Mattei, Guglielmino, Navarria, Centorbi, Patanè… E di De Roberto parla estesamente in un suo bel libro di memorie, Rosso di sera, pubblicato nel 1959, una delle più belle rievocazioni della Catania com’era che siano state scritte, preceduta da una lunga, suggestiva premessa – quasi un unicum nella nostra letteratura – in cui perlustrava il regno dei morti, interrogando quelle familiari larve del “mondo di ieri” (ne ho scritto nel mio libro Al di là, appena uscito).

Scrisse anche un vigoroso romanzo, allora vendutissimo, oggi come gli altri suoi libri ignorato, e anch’esso da sottrarre all’oblio: Purgatorio, una impietosa descrizione del dopoguerra e dell’occupazione alleata, resi con lo spietato realismo di chi stava “dall’altra parte”. Un romanzo da affiancare a La pelle del più furbo e fortunato Malaparte: scriverò anche di questo, sperando che si torni a parlare del catanese Concetto Pettinato.

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