Blog Il medico fiorentino Marco Geddes da Filicaia propone alcune soluzioni per combattere la solitudine dei malati di Covid-19, e non perdere la tenerezza. Sappiamo bene che molti di questi, terminali in ospedale, se ne vanno senza una parola amica, o uno sguardo di un parente, o la mano della persona amata. La solitudine del nostro flagello attuale è questa: la disumanità dopo la sofferenza e la paura
“Senza perdere la tenerezza” è la biografia del Che, scritta nel 1996 da Paco Ignazio Taibo II, in bilico audace tra distacco e coinvolgimento, sguardo e abbraccio. In sostanza, l’eroe raffigurato sulle t-shirt di tutto il mondo, in un tempo così futuro dal suo da sembrare surreale, è stato un guerriero romantico, un eroe anche nei piccoli gesti quotidiani, convinto che bisogna essere duri, senza perdere la tenerezza. Appunto.
Ora c’è un medico fiorentino, Marco Geddes da Filicaia (già direttore sanitario, direttore dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova, vice presidente del Consiglio Superiore di Sanità, e assessore alla sanità del Comune di Firenze), che scrive una lettera sul quotidiano Sanità, in cui propone alcune soluzioni per combattere la solitudine dei malati di Covid-19, e non perdere la tenerezza. Sappiamo bene che molti di questi, terminali in ospedale, se ne vanno senza una parola amica, o uno sguardo di un parente, o la mano della persona amata. La solitudine del nostro flagello attuale è questa: la disumanità dopo la sofferenza e la paura. Un atto finale duro, legalizzato secondo il protocollo sanitario imposto dal governo, molto simile a una logica militare da male minore, per evitare nuovi contagi.
Geddes chiede il ripristino dell’umanità: che il malato possa vedere e parlare con le persone care, in uno spazio apposito in sicurezza, “fosse anche per un ultimo saluto” come dice Paolo Pagliaro nel suo servizio video, realizzato per “Otto e mezzo”.
Mi vengono in mente due signori, vecchi anche loro, ma che cantano ancora. Gino Paoli ha talmente tanto modificato il suo “Vivere ancora, soltanto per un’ora, e per un’ora tenerti tra le braccia” che adesso con Danilo Rea è diventata forse la sua opera finale. L’altro signore è Roberto Vecchioni, che, sul punto di morte, chiede al destino il “miracolo segreto”, il tempo per potere ricordare e riprovare tutti i baci, bocca per bocca, uno ad uno.
Parole, sguardi, baci e abbracci nel tempo finale come epigrafe di una vita, che ha senso solo se sappiamo esser teneri con chi amiamo. Cerchiamo di essere eroi anche nei gesti quotidiani, piccoli, ultimi, come un addio. Appunto.
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