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L’Europa verso il Greeen Deal, lo dimostra uno studio dell’Università di Catania

Formazione e ricerca Dal 2002 le emissioni inquinanti nel Vecchio continente sono diminuite del 20 per cento. Lo rivela uno studio dell’Università di Catania basato sul rapporto tra il Prodotto Interno Lordo e l’anidride carbonica prodotta anno per anno

Il Vecchio Continente potrebbe raggiungere l’obiettivo del Green Deal Europeo che prevede la riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Lo dimostra lo studio dal titolo “Carbon budget and national gross domestic product in the framework of the Paris Climate Agreement” realizzato dai docenti Christian Mulder e Erminia Conti del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania e del dott. Giorgio Mancinelli del Dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento di Lecce pubblicato nei giorni scorsi sulla prestigiosa rivista gold open access “Ecological Indicators” del Gruppo Elsevier.
«È evidente che se seguiamo il trend iniziato nel 2002 potremo raggiungere questo importante traguardo – spiega il prof. Christian Mulder –. Negli ultimi 15 anni, infatti, è stata registrata una diminuzione della pendenza annuale del modello PIL−Co2 dovuta a una riduzione di un quinto dell’emissione di anidride carbonica prodotta dall’uomo. Probabilmente l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nel 2005 ha contribuito a questa inversione di tendenza, almeno in Europa, sebbene il Vecchio Continente si stesse riscaldando più velocemente della media globale. Ma il vero sforzo senza precedenti è stato compiuto nel 2015 con l’Accordo di Parigi in cui tutti i Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si sono impegnati a combattere il surriscaldamento globale riducendo concretamente le proprie emissioni. Con il precedente Protocollo di Kyoto soltanto i Paesi avanzati avevano ventilato l’intenzione di ridurre le emissioni di gas serra».

il professore Mulder Christian

Lo studio utilizza come dati statistici ai fini delle previsioni il rapporto tra le emissioni di anidride carbonica e le variazioni a livello nazionale del Prodotto Interno Lordo (una grandezza macroeconomica che misura il valore aggregato, a prezzi di mercato, di tutti i beni e servizi).
«Quasi l’80% del PIL mondiale è concentrato in 20 paesi dove vive il 60% di tutti gli abitanti del pianeta – aggiungono i ricercatori –. Dato un valore del PIL nazionale è possibile prevedere le dimensioni annuali delle emissioni, in risposta all’industrializzazione, che possono aumentare o diminuire sulla base del modello da noi elaborato e utilizzato».
Il modello realizzato dal gruppo di ricerca si basa su un’equazione che tiene conto di due dati, l’emissione globale di anidride carbonica e il PIL.
«Da questa equazione emerge che ad un PIL più elevato corrisponde una maggiore emissione globale di CO2 e quindi una produzione meno sostenibile – spiega il prof. Mulder –. Concentrandoci sulle relazioni annuali tra PIL e CO2 dei singoli Paesi, in particolar modo sui Top 15 Emitters così come definiti dal World Economic Forum a Davos in Svizzera, possiamo calcolare la sostenibilità della gestione delle emissioni di anidride carbonica di ogni Paese».


Da questi dati emerge che tra i paesi più inquinanti tra emissioni antropogeniche e naturali (pirogene e endogene) figurano Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Iran, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Corea del Sud, Spagna, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. Di contro è sorprendente vedere l’inaspettata sostenibilità energetica di paesi visti storicamente come meno avanzati, paesi decisamente capeggiati dalla Colombia.
«L’analisi delle variazioni temporali dal 1990 al 2019 ha dimostrato come nel corso di 30 anni vi sia stata una radicale, ed oltremodo positiva, inversione di tendenza relativa alle emissioni – spiega il prof. Mulder –. Prima del 2002, infatti, vi era un’emissione molto più elevata a un dato livello di PIL, mentre dopo il 2002 si stanno registrando minori emissioni. La grande importanza di questa inversione di tendenza, rilevata qui per la prima volta, è stata poi ulteriormente contestualizzata confrontando l’entità delle emissioni da attività vulcanica e da incendi boschivi con la CO2 antropica in funzione del PIL durante l’ultimo trentennio. Il futuro è davvero nelle nostre mani».

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