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Francesco Bellia: «Portare il sorriso ai bambini, è un’emozione infinita»

Sugnu Sicilianu Il pediatra catanese, dirigente medico all’Unità Operativa Complessa di oncoematologia pediatrica al Policlinico e “Volontario Italiano dell’anno" nel 2009, da oltre 10 anni gira il mondo al seguito dell'organizzazione "Operation Smile" per intervenire su tutti quei bambini che, vivendo oltre la soglia di povertà, non possono permettersi cure per loro vitali

«Lo faccio per me stesso, perché mi sento gratificato». Volontariato medico, ecco il succo. Francesco Bellia è un pediatra catanese di 62 anni, portati da artista, cioè da qualcuno che non li dimostra per niente.
Dal 2007, parte 2-3 volte l’anno con l’organizzazione “Operation Smile (operazione sorriso)” per destinazioni come India, Vietnam, Cambogia, Brasile, Ghana, Sud Africa, Marocco, Egitto, Nicaragua, Honduras, Madagascar, con la qualifica di “pediatra intensivista” e l’obiettivo di operare centinaia di bambini affetti da palatoschisi e labioschisi.

Francesco Bellia in Cina, la sua 29esima missione

Francesco Bellia in Cina, la sua 29esima missione

«Quando parto, conosco solo il Paese di arrivo. Siamo 40-45 professionisti vari e non ci conosciamo tra noi. Si ricomincia sempre daccapo, come una nuova prima volta. E lo è per intensità di vita condivisa. Nascono amicizie forti, dopo un impegno così gravoso ininterrotto, con una media di 25 interventi al giorno. Quando arriviamo, selezioniamo circa 400 bambini, visitandoli in 2-3 giorni. Si dorme in coppia e la sveglia suona alle 5.30: si lavora dalle 7 alle 22 ogni giorno».

La stanchezza?
Sorride Francesco. «Nessuno si dimostra stanco. Ciascuno dà il meglio e il massimo di sé sempre, perché ognuno sa che è così anche per gli altri della missione».
Lo ascolto e penso se non sia questo il trucco per fare della propria vita un’opera d’arte. Francesco Bellia, a Catania, è dirigente medico presso l’Unità Operativa Complessa di oncoematologia pediatrica al Policlinico, che non è come dire una passeggiata quotidiana – per chi avesse dubbi sulla propria fortuna, vada per un’ora in quel reparto e avrà tutto molto chiaro sulle definizioni di sventura, coraggio, forza, capacità di reazione -. Dunque, mi chiedo il perché il dottore Bellia abbia la necessità di partire per questo bordo, quando già ha a che fare di prassi con un dolore al limite.

Francesco Bellia con alcuni degli altri medici della missione Operation Smile

Francesco Bellia con alcuni degli altri medici della missione Operation Smile

E’ stato premiato dieci anni fa come “Volontario Italiano dell’anno 2009”, nel 2015 ha avuto uno stroke ischemico, che non lo ha fermato, è sposato con un medico e padre di tre figli, ama persino pedalare in montagna con la sua mountain-bike, compiendo ogni anno almeno una volta il giro dell’Etna sulla faticosa pista altomontana.
Mi risponde lineare, pulito. «Perché qui ho un contratto da medico, a cui devo rispondere con dovere. In missione, è l’uomo che spinge il medico: lì non c’entra il dovere, niente è dovuto, ma voluto». Capisco di non avere capito prima, confondevo il medico con l’uomo.

Francesco Bellia in sala operatoria durante una missione

Francesco Bellia in sala operatoria durante una missione

Ma salvate vite umane, è così?
«Sono bambini oltre la soglia di povertà, che fanno parte di quella classe sociale impossibilitata a permettersi le cure a pagamento, che servono loro per vivere. Molti bambini con palatoschisi (è quella malformazione congenita in cui naso e bocca fanno parte di un’unica cavità) sarebbero destinati alla morte per infezioni broncopolmonari. Sono tornato dalla Cina, è stata la mia 29esima missione, ma partirei daccapo domani».

Francesco Bellia con un piccolo paziente vietnamita

Francesco Bellia con un piccolo paziente vietnamita

Il medico daccapo al servizio dell’uomo, per l’uomo. Glielo leggo negli occhi. Francesco sorride ancora: «Portare il sorriso ai bambini che non possono, è un’emozione infinita». Ecco trovato il punto, rifletto: quella ricerca d’infinito, che solo nella condivisione possiamo percepire, dovessimo partire e tornare tra un anno. Mi scappa l’ultima domanda. Dimmi il momento in cui le lacrime hanno annegato qualsiasi parola, perché ci sarà stato, uno su tutti, in 12 anni di volontariato.

«Sì che c’è stato. In Vietnam, quando una bambina operata con successo da noi, poi guarita del tutto e cresciuta, è diventata una cantante. Abbiamo assistito al suo concerto ed è stato come volare nel sole».

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