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Dal caos esistenziale di Angela alla matassa che tutto ingarbuglia, il giallo per Gian Mauro Costa non affatto è un gioco

Libri e Fumetti Un gioco che diventa un giallo, un omicidio senza apparente movente, un'investigatrice alle prese con una serie di problemi della vita quotidiana ed esistenziale nella sua Palermo. Sono questi gli elementi principali del nuovo romanzo dello scrittore e giornalista Gian Mauro Costa che torna nelle librerie con  “Ti uccido per gioco”, edito da Mondadori

Un gioco che diventa un giallo, un omicidio senza apparente movente, un’investigatrice non animata da uno spirito missionario eppure tenacemente impegnata alla risoluzione del caso. Una poliziotta protagonista che non è un modello di dinamico detective all’americana né un modello di investigatore attento ai paradigmi etici della giustizia. Alle prese con una serie di problemi della vita quotidiana ed esistenziale nella sua Palermo. Sono questi gli elementi principali del nuovo romanzo dello scrittore e giornalista Gian Mauro Costa che torna nelle librerie con  “Ti uccido per gioco”, edito da Mondadori. 

Gian Mauro Costa

Struttura narrativa ben congeniata, scrittura fluida e molto efficace, trama piena di colpi di scena, un racconto che si interseca con la sfera psicologica dei personaggi e la dimensione sociologica del contesto. Il tutto ben fuso, analisi che si palesano nella narrazione senza cadute nel sociologismo. Visione antropologica che emerge dalle contraddizioni dei personaggi. Partendo dalla protagonista, la poliziotta Angela Mazzola, natia di Borgo Nuovo, un quartiere periferico di Palermo che contiene sacche di disagio economico e socio-culturale. Mazzola, trent’anni ed un passato lavorativo già consolidato alle spalle, dopo il trasferimento alla Omicidi, sperava di poter entrare e vivere nel cuore dell’azione, con risultati lontani dalla sua meta. Le cose però mutano quando durante una gara di soft air – la realistica simulazione di una battaglia con armi giocattolo –, un uomo viene ucciso in un casolare abbandonato. E si tratta di colpi di pistola veri. A complicare le cose anche il fatto che il cadavere non ha un’identità, nessun nome. Ed inoltre, non sembra esservi un movente serio, anzi si palesa l’assenza di un movente.

Com’è possibile? Angela Mazzola vuol vederci chiaro. E non è sola, lavora su questo caso con il collega Francesco Agnello. La sintonia tra i due è evidente, ma non è circoscritta solo all’ambito professionale. Il nodo cruciale è che il collega Francesco ha già una storia consolidata, prossima ad un salto ulteriore, è infatti “(quasi) felicemente sposato”. La vita privata di Angela Mazzola è ancora più caotica del solito. Il caos è l’elemento che la caratterizza. Concentrarsi sul lavoro può aiutare ma il caso è molto complicato, più che avvicinarsi alla soluzione sembra che se ne allontani. La metafora della matassa è la più efficace, poiché invece di sciogliersi si ingarbuglia. La vittima chi è? Gli interessi oscuri misteriosi della vittima hanno radici lontane, un passato che appare dimenticato. Quel che sembra non è. I due si trovano dinanzi ad un gioco complesso, come un sistema pragmatico con una sua coerenza interna. Per scoprirne il senso però occorre conoscerne le regole ed il funzionamento.

E’ come un gioco filosofico linguistico, un sistema logico-linguistico pragmatico del secondo Wittgenstein che era lontano dall’iniziale impostazione logica della corrispondenza tra verità e cose. Costa grazie alla sua esperienza giornalistica ed alla sua preparazione culturale fa ancora una volta vivere Palermo nella narrazione. E’ la vita che pulsa nella fiction letteraria, del resto la fantasia può far entrare dentro la realtà in maniera ermeneutica. L’interpretazione come sfera della ricerca della verità nella modalità del filosofo tedesco Gadamer.

Palermo, la luce, l’asfalto e il colore della cecità

Il siciliano Costa è molto bravo a far emergere i paradossi con le metafore letterarie, sa legare la narrazione ai luoghi, e far emergere le contraddizioni dalla ricostruzione degli scenari. Ci sono strade, a Palermo, che rendono ciechi. Una lama di luce si riflette sull’asfalto liscio e umido di antichi calori, e abbaglia sino ad avvolgere tutto di bianco, il colore della cecità. In quei momenti – quando il sole raggiunge l’ideale inclinazione per ferire – le strade quasi miracolosamente si svuotano e i passanti ritrovano corporeità solo all’ombra, impauriti dai riverberi assassini. Se no, sarebbe di sicuro una strage, un’altra strage, pensò Angela, preoccupata, disorientata, riducendo a passo d’uomo la velocità del suo Liberty. Accostò vicino a uno dei pioppi che costeggiano via Pignatelli Aragona, una delle strade da inserire, secondo lei, nell’elenco dei siti più pericolosi del mondo: ‘Altro che Bronx di notte, è qui che si rischia la vita, al sole’ borbottò. E si ripromise di segnalarlo alla Squadra Omicidi”. 

Via Pignatelli Aragona a Palermo

Angela e il luogo del delitto

“Angela e Santo lasciarono l’auto sullo spiazzo, accanto a quella del commissariato, a un’Audi e a un’anonima Zafira, e si mossero verso i colleghi che si trovavano poco più in là, nei pressi di un casolare isolato. Un tragitto impervio, non adatto soprattutto alle ballerine di Angela, che non aveva certo previsto un’operazione da vietcong. Iovino invece se la cavava con i suoi stivaletti, diventati ormai un’inamovibile protesi quattro stagioni. Intorno al casolare la vegetazione si faceva più rada e le sterpaglie d’intorno erano bruciacchiate. Era lungo una trentina di metri, con aperture alte sul fianco (quelle che un tempo erano finestre) e sul davanti un portone di legno pesante ma ormai fradicio: proprio lì c’era una chiazza nera di cenere e vegetazione bruciata. Iovino la indicò ai colleghi e uno degli agenti del commissariato annuì «Sì, un incendio»”.

La scena del delitto 

“Angela pensò subito a un tentativo di dare fuoco al corpo per renderlo irriconoscibile. Ma quando entrò con Santo nel casolare dovette ricredersi: il cadavere era integro, almeno da quel punto di vista. La vittima era supina, con la divisa militare chiazzata da un’abbondante fuoriuscita di sangue che aveva tinto di rosso la maglietta di cotone bianco sotto la giacca aperta. Al fianco una fondina con la pistola, ai piedi un mitra, nei tasconi un rigonfiamento, probabilmente delle bombe a mano. Chino sul corpo, Paolo Cefalù, l’affascinante medico legale che Angela aveva conosciuto, e apprezzato, sin dai tempi del suo addestramento in polizia. Accanto a Cefalù, Sergio Moscato, sostituto procuratore giovane ma già più volte sui giornali per inchieste su reati nella pubblica amministrazione. A quanto pareva, avevano fatto un altro e più rapido percorso o il loro autista si era dimostrato più abile di Iovino”. 




Angela, il padre e l’inesorabile trascorrere del tempo

Lo scrittore Costa è sempre molto attento alla sfera intima dei suoi personaggi. “Angela assorbì l’informazione. Anche lei, in effetti, l’ultima volta che aveva pranzato a casa dei suoi aveva notato che suo padre Salvatore non era più quello di una volta. E non si riferiva certo all’aspetto fisico, alle braccia un tempo muscolose e guizzanti per il continuo lavoro di pala con cui infornava e sfornava pane, biscotti e pizza, e adesso abbandonate e flaccide. Gli occhi: ecco cosa l’aveva colpita di più. Quegli occhi fissavano il vuoto, trapassavano i corpi dei familiari e le mura domestiche e puntavano un mondo fatto di nuvole e nebbie in cui il frastuono dei pensieri e delle faccende quotidiane arriva smorzato, come un sussurro. Si rese conto di non aver voluto dare troppo peso a quelle sensazioni, forse per paura, quasi rimuovendole, o comunque sperando di doversi ricredere la volta dopo”. 

L’indagine, l’egemonia sicula dei vini dell’Etna e l’impegno professionale come “sfida esistenziale”

“Bevve l’ultimo sorso di Etna (Ormai è assodato, rifletté, i migliori rossi per ora li fanno da quella latata della Sicilia) e, consapevole della propria codardia, decise di ritornare sull’indagine, sul mistero dell’omicidio, della vittima non identificata: ecco, il suo non era soltanto un impegno professionale, era un banco di prova, una sfida esistenziale. Era come se contribuire efficacemente alla soluzione di un caso portasse chiarezza alla sua vita, delineasse con un tratto deciso la sua figura, le regolasse l’energia necessaria per saltare gli ostacoli, per raggiungere gli obiettivi. Per trovare la forza di affrontare anche la malattia di suo padre. Ormai il quadro investigativo emerso dalla riunione aveva alcuni punti fermi, ma in negativo. Sembrava improbabile, a meno di un colpo di scena finale, che il riconoscimento del cadavere potesse venire dai partecipanti al gioco di guerra”.

Gian Mauro Costa

L’identificazione e la “sindattilia”

“All’identificazione sarebbero dovuti arrivare attraverso altre strade. E in questo poteva essere utile quel ‘segno particolare’ – come nella dizione delle carte d’identità di una volta -, la sindattilia, se non ricordava male il termine adoperato dal collega della Scientifica. C’era anche lo schizzo di quel militare sul foglio: difficile, però, che potesse servire a qualcosa fino a quando la stessa vittima fosse rimasta ignota. E poi il disegno risaliva con tutta probabilità a tempi remoti”.

Che relazione vi è tra l’incendio e l’omicidio?

“Altro elemento importante, l’incendio: che relazione c’era con l’omicidio? Era stato davvero un goffo tentativo dell’assassino di bruciare il cadavere? Le prime osservazioni sembravano escluderlo. C’erano poi, come aveva detto Francesco – sì, proprio simpatico e bravo il collega -, delle macchie di benzina sulla divisa della vittima. E una tanica dalle cui eventuali impronte poteva dedursi qualcosa. Domanda: era stato lui ad appiccare il fuoco? Domanda ancora più importante: e se era stato lui, perché? Se nessuno lo aveva riconosciuto e se l’elenco dei partecipanti era completo, l’uomo misterioso non faceva parte ufficialmente del gioco. Allora per quale motivo si trovava lì in mezzo, vestito pure lui da soldato? Con un’arma vera, poi. Doveva uccidere qualcuno? E in tal caso, com’era passato dal ruolo di killer a quello di vittima? E chi lo aveva ucciso, con un’altra arma vera?”

Dalle risposte a queste domande emergerà il filo rosso della soluzione del giallo? Lo scoprirete solo leggendo…




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