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Baku mi dice che il gatto dell’Annunciazione di Lotto fa suo lo sgomento della Vergine

Blog Contemplando nei libri con il mio gatto Bakunin (anarchico come ogni felino) l'anticonformista "Annunciazione di Recanati" di Lorenzo Lotto, dove il gatto occupa il centro della scena, Baku mi fa capire che l'animale non è il male che fugge davanti a Dio, ritratto in alto. Quel movimento di fuga è affine e parallelo al ritrarsi impaurita della Vergine, accomuna le due creature sgomente all’apparire del Tremendo, ma entrambe elette a incontrarlo

Ho un gatto, anzi lui ha me. Lo chiamo Baku, ma il nome per esteso è Bakunin, perché dei gatti amo l’anarchia, la fierezza restia all’obbedienza, il loro sussiego (non dimentichiamo che il grande anarchico Bakunin era un principe, come il mio gatto che si muove con sinuoso disdegno, con aristocratica albagìa).

Il gatto vanta tanta letteratura, dai favolisti al Gatto Murr di Hoffmann, dal Gatto nero di Poe allo Stregatto di Carroll, da Baudelaire a Bulgakov e alla Gatteria di un nostro raffinatissimo scrittore ancora da rivalutare, l’ennese Nino Savarese. Ma il mio Baku non sa leggere, guarda solo le figure: perciò ho sfogliato per lui qualche libro di storia dell’arte in cerca di qualche (rara, in verità) apparizione felina.

Eccoci allora, Baku ed io, a contemplare l’incantevole, insolita, anticonformista Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto, dove il gatto occupa addirittura il centro della scena, tra la Madonna e l’angelo. Ma corre, anzi sembra proprio scappare.

L’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto, 1534 circa, olio su tela, Museo civico Villa Colloredo Mels, Recanati

Baku con la zampetta tenta di ghermire quel suo antenato nell’immagine del libro, tenta di arrestarne la fuga; e strizzando gli occhi di quella fuga mi chiede il perché. Cerco di illustrargli le spiegazioni prevalenti, che lo indignano: quel gatto che se la svigna rappresenterebbe il male sconfitto e scacciato. E invece, ecco la spiegazione che mi suggerisce Baku impennando la coda e zampettandomi sulla gamba: quel movimento di fuga è affine e parallelo al ritrarsi impaurita della Vergine, accomuna le due creature – la fanciulla e il gatto – sgomente all’apparire del Tremendo, ma entrambe elette a incontrarlo, a subire l’imperioso mandato di quel Dio che si scorge lassù, incombente e precipite.

Come già la Madonna ritrosa e sinuosa di Simone Martini, anche la ragazza del Lotto si scansa, si avvolge in se stessa, esita tra lusinga e timore, esibisce la sua fragilità che sconfessa le troppe Madonne in Maestà, tronfie e impettite, di tanta pittura di quei secoli. Ed entrambe – l’Annunziata di Martini e quella del Lotto – sono sorelle dell’Annunziata impenetrabile e forse diffidente di Antonello, con quella mano protesa come a difendersi, a orientarsi. Sgomento e docilità, pudore e consapevolezza si confondono in quei volti: come nell’esile e soave figura di Maria che il Beato Angelico in San Marco fa inginocchiare dinanzi all’angelo; e perché mai dovrebbe inginocchiarsi lui, il messo divino inviato a una donna fino a quel momento qualunque, come avviene in tutte le altre Annunciazioni pittoriche?

E il gatto? Quel gatto – mi fa cenno Baku con una morbida testata al mio braccio – partecipa allo sgomento della Vergine, anzi lo fa suo: perché è insignito anche lui di quel terribile, immenso, affascinante mandato.

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