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La povera meravigliosa gente
di “Gran Circo Catania”

Libri e Fumetti Pubblichiamo il primo capitolo della Guida improbabile a una città incredibile, il nuovo libro di Giuseppe Lazzaro Danzuso che racconta una città che non ha mai perso la voglia di ridere e stupire

«Innumerevoli artisti d’ogni genere sono, i Catanesi. Circensi alla ricerca del numero perfetto, che li faccia sfondare e li consegni alla storia. Povera, meravigliosa, gente». Nasce dagli occhi di un divertito spettatore – poi travolto dal racconto fino a diventarne il sapiente presentatore – il “Gran Circo Catania”, lo spettacolo di una città «gioiosa e talvolta malinconica, colma di bellezza, di energia e di contraddizioni». Uno spettacolo che il giornalista e scrittore Giuseppe Lazzaro Danzuso ha “allestito” tra le pagine del suo ultimo libro e che si manifesta in tutta la sua dissacrante potenza nella visione immaginaria dei lettori.

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Giuseppe Lazzaro Danzuso

Definito come «guida improbabile a una città incredibile», “Gran Circo Catania” – edito da Carthago e i cui proventi di vendita riservati all’autore saranno interamente devoluti alla “Librineria” di Librino. Una galleria di personaggi capace di restituirci, «attraverso lo sguardo di clown, freaks, acrobati, domatori e giocolieri della porta accanto, una città che, nel continuo avvicendarsi di distruzioni e ricostruzioni, non ha mai perso la voglia di ridere e stupire» si legge nella nota editoriale. E per concludere con parole di Lazzaro Danzuso: «Intanto, solitario, nella pista principale, un piccolo elefante di pietra nera, con una candida gualdrappa sulla schiena, fa il suo numero di equilibrismo».

Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo il primo capitolo di “Gran Circo Catania”.

Gran Circo di Catania di Giuseppe Lazzaro Danzuso

Gran Circo di Catania di Giuseppe Lazzaro Danzuso

VENGHINO SIGNORI, VENGHINO!

Perché siamo il Circo?

Sarà forse perché viviamo sulla groppa di una tigre di fuoco, sotto un immenso tendone color viola d’Africa.

O forse perché, per sorte, abbiamo come emblema un elefante.

Oppure perché recitiamo la realtà d’ogni giorno in un sontuoso teatro barocco, senza renderci conto che è chiuso da tempo immemorabile.

O perfino perché sappiamo correre sul filo di marciapiedi neri di lave e camminare rapidi sull’acqua, quella della Plaia.

Ma lo siamo soprattutto in quanto orgogliosi fenomeni da baraccone, felici e pieni di ritegno nell’esibire ciò che abbiamo avuto in dono dalla vita: le nostre commoventi mostruosità.

Insomma, siamo il Circo perché siamo tra i pochi – chissà, forse gli ultimi rimasti al mondo -, a emozionarsi e a emozionare.

Perché non sappiamo arrenderci al fuggir via del tempo, alla maledetta malinconia.

E alla Morte, orba e buttana, che tinge tutto del fetido e grigio oblio.

Di certo, comunque, noi siamo il Circo.

Noi abitanti di questo lembo di terra antica, danzante e ferina, d’ammaliante bellezza e spaventevole povertà, meravigliosamente marginale. Unica.

Noi uomini e donne che il cielo ci fece e la terra ci apparò, mai soli grazie alle nostre popolatissime famiglie, complicate e gravide di sentimenti pronti a esplodere di botto e con gran clamore, come un fuoco d’artificio. Come le fontane di lava sull’Etna.

Noi, sirene e tritoni, regali Signori del mare, vestiti di alghe iridescenti. E ammalianti. Almeno finché non si scopre che puzziamo di pesce.

Noi ieratiche divinità capaci di attraversare in volo un cielo trapunto di stelle luminose, le braccia aperte e il vento tiepido dell’estate sul volto. Senza reti, contando solo sulle mani salde di chi, agganciato a un trapezio, saprà afferrarci quando la nostra parabola comincerà irrimediabilmente a discendere.

Noi, inservienti con il sogno della pista, che, mentre calpestiamo segatura e strigliamo animali, siamo capaci di discettare di fisica con insigni docenti di meccanica quantistica, lasciandoli a bocca aperta.

Sì, noi siamo il Circo.

Noi, bianchi dalla pelle sempre un po’ troppo scura.

Noi, zingari dai denti d’oro.

Noi creature a un tempo esotiche e caserecce.

Noi, geniali mentecatti, un po’ giocolieri e un po’ pitonesse, un po’ mangiafuoco e un po’ clown.

Noi candidamente ignoranti, cultori della protesta solo se è inutile, fine a se stessa.

Noi, umanissimi briganti, bari connaturati, come si conviene a chi ama condividere i tavoli da gioco con nani e barbute ballerine, abilissime nel rimescolare le carte.

Noi, imbecilli in cerca di una bravata di cui vantarci per il resto dell’esistenza.

Noi – e noi soli, maledizione! -, siamo il Circo.

Noi signori del caos. Soprattutto se riuscite a darci un numero sufficiente di automobili.

Noi che ci esaltiamo a veder correre i cavalli. Anche a fette, su vaste graticole.

Noi che eternamente esageriamo. Ma con pudore.

Noi che non riusciamo a tener pulito nulla.

Noi mostri, sonnambuli morti di sonno.

Noi
freaks.
Noi, salatissimo sale della terra.

Noi meraviglie destinate a mirabolanti imprese, anche quando sono un po’ stantie, polverose, muffite. Da circo di periferia.

Noi consapevoli che un applauso è un applauso, da chiunque provenga. E se giunge da un bimbo con gli occhi brillanti di stupore, ci ripaga d’ogni rinuncia, del malumore più intimo, profondo e sordo.

Noi, che, miracolosamente, riusciamo a stupire ogni volta che veniamo messi alla prova e per questo non perderemo mai la convinzione che solo il nostro è il più grande spettacolo del mondo.

Uno spettacolo che deve continuare.

Fino alla fine dei tempi.

Perché siamo il Circo, noi.

Perché siamo la Storia, anche se vi ostinate a fingere di non saperlo.

Perché siamo anche la Vita, con le sue leggi immutabili e crudeli.

Perché siamo quell’ombra di voi stessi che fugge via rapida quando vi rimirate, di sottecchi, nei grandi specchi dei vostri sontuosi e impeccabili salotti.

Perché siamo ciò che di candido e incosciente è riuscito a sopravvivere al fondo delle vostre anime ormai rinsecchite, decrepite, perdute.

Deponete dunque i vostri malsani sguardi di riprovazione, l’ottusità perenne, i pelosi pregiudizi, le fossette occipitali, i sofismi indegni, le paure ridicole, la severità inappropriata, le smorfie di superiorità, e soprattutto quell’insopportabile, disgustosa invidia perfino per le nostre nobilissime miserie.

Amateci, finalmente, come meritiamo.

E amate voi stessi, per una volta.

Incondizionatamente.

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