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Fortunato Di Noto: «Gli abusi sessuali sui neonati non fanno più notizia»

Volontariato e Onlus Per toccare con mano questa strage di innocenti dei nostri giorni, bisogna andarci nella sede dell’associazione Meter di Avola, dove lavorano tecnici informatici, psicologici, operatori sociali. Don Di Noto: «Bambini senza giustizia». Un'operatrice: «Ascoltare al telefono chi grida e chiede aiuto diventa una missione, prima ancora che lavoro o volontariato»

Abusi orripilanti su neonati, tanti neonati. Crimini talmente orrendi che diventa perfino difficile raccontare e difatti se ne parla poco o nulla, perché fanno paura, non ci appartengono e si ha voglia di rimuovere alla svelta tali notizie dalla nostra sfera di informazione giornaliera. Ma quei bambini, quei neonati, non sono notizie. Sono creature di sangue e carne e la loro innocenza violata è lì, nella rete, sotto gli occhi di chi vuol vedere. Foto e video a migliaia, acquistati e condivisi da uomini e donne che si fatica a chiamare tali e che con le loro perversioni alimentano un business con cifre da capogiro. Orchi e orchesse che muovono milioni e milioni di euro (e bitcoin, la criptovaluta elettronica), accumulati sull’innocenza violata di milioni di bambini. I nostri bambini. Sì, perché c’è anche tanta Europa nei file individuati e prontamente denunciati dall’associazione Meter Onlus di Avola, retta da Don Fortunato Di Noto, nota a livello mondiale per la sua lotta a difesa dell’infanzia.

Don Fortunato di Noto al lavoro sui computer di Meter, foto Roberto Mistretta

Don Fortunato di Noto al lavoro sui computer di Meter, foto Roberto Mistretta

L’ultima denuncia alla Polizia postale, la numero 1596, è di pochi giorni fa. Su una piattaforma tedesca sono stati individuati abusi su ben sessanta neonati, sessanta creaturine indifese vittime di infantofilia, ma come con infinita amarezza denuncia don Di Noto: «Gli abusi sessuali sui neonati non sono più neanche una notizia. Non si indigna più nessuno. Abbiamo atteso giorni e giorni prima che qualcuno si facesse sentire per rimuovere un indicibile materiale dove sono coinvolti sessanta neonati violati sessualmente e almeno tentare di individuare gli autori di tali abusi. Ci sono anche dei filmati dove si vedono chiaramente in volto gli abusanti. Abbiamo anche scritto agli uffici legali della piattaforma che è allocata in una nazione europea e c’è anche chi si arricchisce con tale materiale infantofilo (3 anni la bambina più grande): solo ed esclusivamente neonati. Bambini che non avranno mai giustizia, che per anni sono e saranno schiavi, scarto sessuale. Un particolare di una bambina colpisce: nuda, esposta nella sua intimità, legata su un cartone da imballaggio, legata con fascette di plastica autobloccanti per cablaggio, spiccano molto sulla pelle bianca. Anche in questo caso, non possiamo diffondere nessuna immagine. Si solleverebbe la coscienza delle persone perbene e chi ha delle responsabilità agirebbe contro queste forme nuove di schiavitù. Le altre piccoline violate in ogni modo. Dai video si sentono le voci, le grida, lo strazio degli innocenti e le risate degli abusanti, maschi e femmine. Compiaciuti. Una sfida, come a dire, “tanto non mi individuerete mai”».

La lista dei minori scomparsi denunciata da Meter, foto di Roberto Mistretta

La lista dei minori scomparsi denunciata da Meter, foto di Roberto Mistretta

Per capire di cosa realmente parliamo, per toccare con mano questa strage di innocenti dei nostri giorni, bisogna andarci di persona nella sede dell’associazione Meter di Avola, dove lavorano tecnici informatici, psicologici, operatori sociali. Bisogna entrare in quei locali lindi e vivi, dove si viene accolti con gentilezza e calore che stride con l’atmosfera gravida di dolente attesa che sa quasi di impotenza di fronte a simili aberranti abusi. Bisogna parlare con gli operatori, guardarli negli occhi, leggere il loro dolore.

La sede centrale di Meter ad Avola

La sede centrale di Meter ad Avola

«Meter è come un olio che ti unge – dice un’operatrice – e quando ce l’hai addosso non puoi più togliertelo. Ascoltare al telefono chi grida e chiede aiuto diventa una missione, prima ancora che lavoro o volontariato, tant’è che sto educando anche i miei figli a spendersi per gli altri». L’esperta di comunicazione di Meter: «Il mio lavoro consiste nell’elaborare gli aspetti comunicativi in maniera soft per veicolarli in diversi ambiti, scuole comprese. Informare e prevenire, ma anche intervenire tempestivamente laddove purtroppo il danno è fatto, diventa prioritario per tentare di recuperare i bambini alla propria vita, ma purtroppo abbiamo la consapevolezza che tutto ciò che facciamo è soltanto una goccia nel mare. Realizzare questo pannello coi volti dei bambini scomparsi, ci ha fatto molto male. Bambini uccisi, per lo più. E dietro ogni immagini c’è una vita che non rivedremo. Si tratta però soltanto di una minima parte, ovvero quei bambini che sono stati identificati, ma di milioni di altri, non sappiamo nulla».

Operatrici di Meter al lavoro nella sede di Avola

Operatrici di Meter al lavoro nella sede di Avola

Paolo, esperto informatico: «Chi mette in rete immagini e video pedopornografici spesso non è un pedofilo ma un mercante di carne umana, di bambini, e lo fa per soldi. Uno sporco commercio, con book fotografici o video proposti a tot. Gli interessati visionano l’anteprima e se di loro gradimento pagano il dovuto. Un vero e proprio commercio digitale». Paolo ci mostra poi la stanza dove smontano gli hard disk che l’associazione prende in carico a seguito di denunce o sequestri, e li analizza, inoltrando poi tutto il materiale incriminato alla Polizia postale. «Il mio sogno? Sedermi davanti ad un computer e non vedere più queste immagini» conclude con amarezza mostrandoci i file coi filmati e le foto ancora lì, pronti ad essere scaricati da chi si nutre dell’innocenza violata.

Orrori su orrori. Dati che fanno rabbrividire. I report del 2017 di Meter Onlus ci dicono che sono stati ben 17.299 i link individuati, 2.196.470 le foto, 985.006 i video, 285 le chat.

E in ogni immagine, in ogni video, bambini abusati, privati della loro innocenza, a volte torturati e perfino uccisi. Non si tratta di film, ma di cruda realtà. «Gli abusi proliferano indisturbati – dice ancora don Fortunato Di Noto -. Qualche amico giornalista mi chiede perché non far vedere quello che noi di Meter denunciamo ogni giorno, da più di 28 anni. Ma non possiamo farlo, non per tiepidezza, paura, o mancanza di coraggio, ma per il fatto che incorreremmo nel reato di divulgazione di materiale pedopornografico, e per divulgarlo prima dovremmo possederlo e detenerlo (cosa che non abbiamo fatto mai), diciamo anche di più, non potremmo neanche scaricarlo come prova, da consegnare alle autorità giudiziaria, ma inviare solo il link di riferimento, con il rischio che in poche ore, se non si leggono le segnalazioni, viene cancellato, dato che questo nefando materiale, viene rimosso dagli stessi pedopornografi dopo poco tempo».

Don Fortunato Di Noto, foto Roberto Mistretta

Don Fortunato Di Noto, foto Roberto Mistretta

Da qui l’accorato invito da questo angelo dei bambini: diffondere e denunciare queste continue aberrazioni per sensibilizzare le coscienze, e per salvare fosse anche uno solo dei tanti bambini scomparsi, le cui foto tappezzato le pareti di Meter. Occhi pieni di vita che qualcuno ha spento per sempre. Occhi che alimentano il nostro stesso fallimento perché il grado di civiltà raggiunto da una società, lo si evince soprattutto da quello che fa per i suoi bambini.



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