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C’era una volta la Divinità

Blog Giudicatemi pure un eretico ma non credo che il Dio dell'Antico Testamento sia il Dio d'amore di Gesù e dei Vangeli. Mettiamola così: c'era una volta la Divinità e permeava l'universo, era l'universo. Non sappiamo se Gesù (figlio dell'uomo o di Dio?) voleva fondare una religione, disprezzava il potere, amava gli ultimi. Saulo-Paolo di Tarso di quei racconti fece una religione. Tutto questo era ancora la Divinità che si lasciò umiliare e deridere perché era già ognuno di loro

Sono un eretico, merito il rogo? Forse, perché la penso come l’eretico Marcione del secondo secolo e come una meravigliosa eretica del ventesimo, Simone Weil.

Ed ecco come la penso. Con tutto il rispetto per il popolo d’Israele (anzi con illimitata ammirazione per la sua storia e la sua cultura) e per un Libro che contiene anche pagine mirabili, non riesco a credere che il Dio dell’Antico Testamento, possessivo e iracondo, geloso e vendicativo, sia il Dio d’amore di Gesù di Nazareth e dei Vangeli. Ma forse la pensava così anche quel Paolo di Tarso che inventò il cristianesimo separandolo dal giudaismo, negando la Legge in favore della Grazia.

Mettiamola così: c’era una volta la Divinità. Non aveva la barba, non imponeva tavole della legge, non inviava angeli né locuste, non apriva le acque del Mar Rosso perché era il Mar Rosso, non puniva i popoli col diluvio perché era i popoli ed era il diluvio. Permeava l’universo, era l’universo: Deus sive Natura. Era il canto delle galassie ed era il fremito del filo d’erba agitato dalla brezza. Era il creato e l’increato, l’Esistente e il Possibile. Non si adirava, né si sbellicava dalle risate, se no se ne sarebbe fatte tante osservando fatti e misfatti di Zeus, di Jahvé, di Shiva, di Allah.

Ma c’era anche Gesù, il Cristo. Era un figlio dell’uomo, era il figlio di Dio? Sappiamo solo che visse, predicò, operò miracoli, parlò d’amore come nessun dio aveva fatto, esaltò i giusti, i miti e i reietti, fu inchiodato a una croce che ha spaccato in due la storia degli uomini, dopo la morte continuò a vivere scomparendo dal sepolcro e raggiungendo l’alto dei cieli o un eremo in India o, più verosimilmente, il cuore d’ogni donna e d’ogni uomo, d’ogni essere vivente compresi l’aquila o l’asinello. Di lui sappiamo solo quel poco che ne scrissero sedicenti evangelisti, canonici o apocrifi, che non l’avevano mai visto e conosciuto ma combinavano, in testi stupendi e tra loro diversi, ciò che di lui si raccontava con ciò che volevano sentire, e di cui avevano bisogno, le loro comunità.

Gesù Cristo in versione icona pop

Non sappiamo se voleva fondare una religione, certo era avverso a templi e sacerdoti come a ogni istituzione umana, disprezzava il Potere e amava gli ultimi, i peccatori, donne e uomini dei sottosuoli. Di altro credo non gli importasse che di questa impetuosa corrente d’amore (altro che chiesa, altro che riti, dottrine e gerarchie!), che rimane comunque quanto di più simile la storia degli uomini abbia visto all’inviolata perfezione della Divinità. Perciò io credo in lui, è lui che prego perché è lui che ha un volto e una storia, è lui che ha detto parole che illuminano e alle quali si può replicare, imparando o dubitando, adorando o litigando.

C’era anche un uomo della Legge convertito in apostolo della Grazia, geniale e ispirato, quel Saulo-Paolo di Tarso, che di quei racconti fece, in un pugno di scritti altrettanto belli e ispirati, una religione. E tutto questo, Gesù e Saulo, Marco e Giovanni, Maria di Nazareth e la Maddalena, era ancora la Divinità. Che si lasciò umiliare e deridere, torturare e uccidere, non per convincere e salvare gli umani, non per condividerne incarnandosi la sorte e la morte, ma perché era già ognuno di loro, era ed è la loro sorte e la morte, era ed è il peso di peccato e disperazione in ognuno.

Ma era ed è anche lo Spirito Santo o atman o respiro cosmico o chiamatelo come vi pare, non infuso un bel giorno da una pentecoste ma in ogni creatura consustanziale. E quel soffio divino, quell’originario e invariato accordo musicale, come ogni frammento di quel metamorfico universo, come ognuno di noi e come il mio gatto e il filo d’erba, muore e risorge, si trasforma e si perpetua, ed è la vita ed è l’oltre, è la Croce di Cristo, è l’albero del Budda, è il rosario stretto in pugno dalla beghina, è l’acqua del Gange ed è il paria che vi lava malattie e colpe, è la riposata e clemente saggezza del Tao ed è l’azzardo visionario del poeta e del fisico dei quanti.

«Follie, follie! Delirio vano è questo!» commenterebbe forse la Violetta della Traviata. E oggi infatti i roghi sono stati sostituiti dai manicomi. In attesa di un TSO, lasciatemi rimpiangere i tempi in cui, nonostante quei roghi, non c’era mugnaio o contadina che non si struggesse su questi grandi temi, che non ne avvertisse l’urgenza, che non azzardasse una sua cosmogonia, che per difenderla non esitasse a sacrificare perfino la vita.

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