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Livatino ancora da scoprire. Roberto Mistretta: «Un mondo di valori, rispetto, amore, purezza»

Libri e Fumetti C'è tutta la straordinaria vita del magistrato di Canicattì ucciso dalla mafia nel 1990, Beato della Chiesa, nella nuova edizione di "Rosario Livatino. L’uomo, il giudice, il credente", edito da Paoline, del giornalista e scrittore nisseno. Ripubblicato dopo 7 anni, l'autore di Mussomeli ha rielaborato il testo oggi con tanti nuovi inediti: «Ci si sente migliori e grati per avere avuto l’opportunità di conoscere l’uomo, il giudice e il credente». Presentazione a Mussoneli il 22 ottobre

Dista sette anni la ripubblicazione per le Edizioni Paoline del libro di Roberto Mistretta, “Rosario Livatino. L’uomo, il giudice, il credente” (pp. 441, € 20,00) che in verità è sì una ripubblicazione dedicata al “giudice ragazzino”, dopo che nel 2105 in un batter di ciglia venne esaurito e ristampato. Su richiesta della direttrice editoriale delle Paoline suor Mariangela Tassielli, il giornalista e scrittore di Mussomeli ha continuato a indagare sulla breve ma straordinaria vita del Beato Rosario Livatino, intinta di momenti anche divertenti. Vedi, per esempio, giusto per entrare subito nella narrazione, la puntualità “fiscale” con la quale si presentò ad un incontro pre matrimoniale di un amico, attendendo sotto il sole cocente, sino allo scoccare dell’ora esatta fissata. Un Livatino più inedito del già inedito che ci raccontò nel 2015 Mistretta nella prima edizione. Sappiamo tanto di questo giovane eroe e uomo dedito alla passione per la giustizia, alla fede e alla famiglia, tanto da farci ricordare un altro Beato, il piemontese Piergiorgio Frassati. Sette anni dopo il libro si è ampliato perché Roberto Mistretta non si è più fermato, così da indurci a poter affermare che con questa nuova uscita ci troviamo innanzi ad un libro nuovo tout-court.

In merito a quanto accennato, abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con lo studioso autore, il quale, come fiume in piena, ci ha immerso anche in quella vena da giallista, che lo riconosce su scala nazionale tra i migliori scrittori.

Roberto Mistretta

Roberto Mistretta

L’edizione 2022 del libro

Da pubblicazione a ripubblicazione a novità assoluta: lei ripubblica quest’opera a distanza di sette anni: cosa c’è in più? Perché proprio nel 2022?
«Nella ricorrenza del 25° anniversario dell’assassinio di Rosario Livatino, col contributo del postulatore della causa di beatificazione, don Giuseppe Livatino, avevo consultato le agende del giudice e ne era nato un primo, significativo lavoro che si era avvalso anche di altri contribuiti, tra cui la dotta e sentita prefazione di mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta, e la testimonianza di Elena Canale Valdetara, la donna che aveva sognato il giudice con la toga, quando neppure lo conosceva, e che le aveva annunciato la guarigione dal tumore maligno che l’aveva ridotta pelle e ossa e la stava portando alla tomba. Testimonianza acquisita agli atti del processo di beatificazione, così come la documentazione medica da lei presentata. Poiché il primo lavoro andò esaurito lo scorso anno, di conseguenza la direttrice editoriale delle Paoline, suor Mariangela Tassielli, mi chiese disponibilità ad aggiornare il testo piuttosto che ripubblicarlo così com’era, stante che non poche evoluzioni in questi anni hanno riguardato Rosario Livatino, a cominciare dalla sua beatificazione avvenuta il 9 maggio 2021. Una data significativa: se Rosario non fosse stato assassinato il 21 settembre 1990, il 3 ottobre di quest’anno avrebbe compiuto settant’anni e tale ricorrenza mi parve propizia per rimettermi al lavoro. Pensai a un lavoro semplice, invece ne è venuto fuori un libro totalmente nuovo, basti dire che dalle 228 pagine del primo, questo ne conta 438. E tanto ho dovuto tagliare per non farmi picchiare dai lettori, ma posso garantire che addentrarsi nel mondo di Livatino significa lasciarsi prendere per mano da lui e farsi guidare con le sue parole, i suoi scritti, il suo agire. Un mondo fatto di valori, rispetto, amore, bellezza, purezza. Significa sentirsi migliori e grati per avere avuto l’opportunità di conoscere l’uomo, il giudice e il credente».

Quanto tempo ha impiegato nel rielaborare questo saggio?
«Un anno, più o meno. Quando mi venne richiesto di rimettermi all’opera, nel settembre dello scorso anno, pur avendo altri impegni a cui far fronte nei mesi seguenti, cominciai da subito a leggere le nuove pubblicazioni su Livatino, articoli, riviste, studi. Visionai e studiai di nuovo gli atti del processo, vidi filmati e documentari, recuperai i decreti a firma di Rosario, rilessi i suoi due magnifici scritti: “Il ruolo del giudice nella società che cambia” e “Fede e diritto”. Quindi il 4 gennaio scorso mi recai coi miei figli in pellegrinaggio alla cattedrale di Agrigento, dove è custodita la sua reliquia, la camicia intrisa di sangue che indossava il giorno dell’agguato. Cominciai a scrivere lo stesso pomeriggio. La stesura è durata da gennaio a fine marzo, poi sono seguiti i tempi tecnici di elaborazione con l’editor e le varie rivisitazioni che mi hanno impegnato sino a fine giugno».

La prima edizione del libro del 2015



La nuova pubblicazione annovera inediti?
«Annovera molti capitoli nuovi e aspetti assolutamente inediti della vita di Livatino. Cito a caso alcuni capitoli: “Una laurea, anzi due”, “Il caso della psicologa arrestata”, “Ricordo i suoi calzoni corti e la riservatezza”, “La Stidda non esiste”, “Io non mi perdono”, e altri ancora. Ma anche i restanti capitoli sono stati quasi tutti aggiornati, ampliati e rivisti. Ho riletto anche le agende e in questo nuovo lavoro diamo molto più spazio al vissuto intimistico e familiare di Rosario per offrire ai lettori uno spaccato di vita esemplare anche nel suo vissuto ordinario e giornaliero. Compresi i suoi innamoramenti, tenerissimi».

Passione per lo studio e la ricerca: a 32 anni dalla sua morte, si scopre che aveva un’altra laurea. Ci racconta come lo ha scoperto?
«Questa storia, a cui ho dedicato un intero capitolo, merita di essere brevemente raccontata perché mi sono dovuto inventare investigatore. Di una seconda laurea di Livatino in Scienze politiche avevo trovato qualche accenno sparso, compreso quello sul sito del Consiglio Superiore della Magistratura nella pagina a lui dedicata, ma senza alcun riscontro. Quando si era laureato? Che tematica aveva discusso nella tesi? Buio assoluto. Tuttavia, nelle sue agende ritrovai alcuni appunti riguardanti delle date e degli esami sostenuti all’università dopo la prima laurea in Giurisprudenza».

L'auto di Livatino, l'istante dopo il suo assassinio

L’auto di Livatino, subito dopo il suo assassinio

Di quali esami si trattava?
«La risposta arrivò da suo padre Vincenzo il quale disse al giornalista Giuseppe D’Avanzo, in un articolo pubblicato il 23 settembre 1990 su “la Repubblica”, che Rosario aveva tre lauree. A quel punto mi convinsi che la seconda laurea doveva esistere davvero, anche se nessuno l’aveva mai vista. All’inizio non trovai riscontri e perfino un parente mi disse che se tale seconda laurea fosse esistita sarebbe stata ormai pubblica e conosciuta. Ma non mi arresi e a distanza di mesi la fatica e la testardaggine vennero premiate. Grazie alla disponibilità del giudice Giovanbattista Tona, studioso dell’opera di Livatino, che misi al corrente delle mie ricerche, e del professore Mario Varvaro, ordinario di Diritto romano e diritti dell’antichità dell’Università di Palermo, delegato del rettore all’Archivio storico dell’Ateneo, e grazie ai suoi collaboratori, a cominciare dalla dottoressa Marta Rubino, funzionaria archivista, cominciò la difficile ricerca. All’inizio i risultati furono molto sconfortanti. Ma io insistei, le date nelle agende di Livatino parlavano chiaro. Riportavano perfino il voto preso. E tale insistenza ha avuto seguito. Scoprimmo dunque, a distanza di mesi, notizie interessantissime e assolutamente inedite e dopo le iniziali delusioni, fu ritrovata anche la seconda tesi di laurea in Scienze politiche dal titolo “Le attribuzioni costituzionali del presidente della Repubblica”, conseguita da Rosario Livatino il 20 marzo 1986. E ovviamente il libretto di esami sostenuti col consueto profitto. E non solo, scoprimmo perfino che Rosario aveva iniziato un percorso di studi presso la facoltà di Medicina e Chirurgia con degli esami sostenuti e tutti superati».

Livatino con papà Vincenzo e mamma Rosalia

Cossiga su Livatino: parole eccessive da parte del Presidente-picconatore, poi la solidarietà alla famiglia. Chi era Cossiga? Il classico politico che recitava un ruolo, o un uomo sincero che si è ravveduto?
«Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga rende omaggio alla alla salma di Rosario Livatino nella sala mortuaria dell’ospedale “San Giovanni Di Dio” di Agrigento e si intrattiene con gli affranti genitori, la mamma Rosalia Corbo e papà Vincenzo. Presenzierà anche ai funerali a Canicattì, il 23 settembre 1990, così come aveva presenziato due anni prima ai funerali del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano, assassinati anche loro. Il fatto in questione succede otto mesi dopo l’assassinio di Rosario, esattamente il 10 maggio 1991 a Roma, alla Festa della Polizia, quando pronuncerà quella infelice frase sui giudici ragazzini. Cossiga nello specifico non si riferiva a Livatino, ma attaccava la classe politica a cui chiedeva di assumersi le proprie responsabilità e a riconoscere che in certe zone del Paese vi era una situazione eccezionale di diffusa criminalità che sfociava in una mattanza di morti ammazzati. Chiedeva, di conseguenza, che venissero adottate leggi eccezionali. Quindi, contestando anche l’indipendenza della magistratura, aveva pronunciato quelle frasi infelici. La dicitura “giudice ragazzino” si adattava a pennello a Rosario Livatino, assassinato a soli 37 anni. Ci vollero undici anni prima che Cossiga prendesse ufficialmente le distanze dalle sue parole. Scrisse una lettera aperta pubblicata sul Giornale di Sicilia l’11 luglio 2002 indirizza ai genitori di Rosario: “Cari signori Vincenzo e Rosalia Livatino e, permettetemi di chiamarvi così, cari amici! Non ho mai risposto prima all’ingiusta accusa di aver formulato nei confronti della nobilissima figura del vostro amato figliolo Rosario, giudice, coraggioso e integerrimo, esemplare servitore dello Stato, martire civile e, io credo, santo nel senso cristiano del termine: per la sua fede e per lo spirito con il quale ha affrontato la morte, il giudizio in senso di spregiativo di «giudice ragazzino», accusa che mi è stata mossa più volte e che ha dato perfino occasione di titolare in questo modo un film, che io ritengo non del tutto adeguato alla sua vita e al suo sacrificio. Non ho mai reagito”. La lettera continuava su questi toni ma i genitori non la gradirono e la lettera rimase senza risposta».

Francesco Cossiga, il 'picconate' infastidito da Livatino

Cossiga il ‘picconatore’ infastidito e che infastidì la memoria di Livatino

Un’opera importante che ha richiesto un altrettanto importante lavoro di ricerca.
«Come già detto ho studiato a fondo e per mesi gli scritti di Rosario, compresi quelli oggi resi pubblici, ovvero i suoi decreti in qualità di giudice e le agende. Ho studiato gli atti dei processi. Ho letto tanto e tanto mi sono documentato. Ho ascoltato per giorni le testimonianze audio nei processi, anche di chi partecipò all’agguato e di altri che avevano saputo dell’agguato. Ho parlato con chi l’ha conosciuto, come il suo amico di liceo a cui fece da testimone di nozze, il dottore Gianni Augello, che mi ha regalato un ricordo così intenso di Rosario da meritare un capitolo a se stante; ha raccolto la testimonianza di chi ha sollevato il lenzuolo dal suo corpo ancora caldo, il dottore Ottavio Sferlazza, all’epoca sostituto procuratore di turno, che dovette costatarne l’identità, la sera stessa interrogò il testimone Piero Ivano Nava e in seguito, come pubblico ministero, sostenne l’accusa nel processo contro i suoi assassini. Sono stato sul luogo del suo assassinio, nella sua Canicattì, a casa sua. Sono stato ad Agrigento e ho sostato in raccoglimento davanti la sua reliquia. Per mesi sono stato immerso nel mondo di Rosario e questo volume è il risultato».

La stele che i genitori del giudice fecero erigere ad Agrigento

La stele che i genitori del giudice fecero erigere ad Agrigento

La puntualità di Rosario Livatino: era così preciso anche nel lavoro, tanto da fare, però, una gaffe non indifferente (carteggio presso lo studio di una psicologa, che farà arrestare): cosa sfuggì al giovane magistrato in quella occasione?
«Livatino commise un errore giudiziario, è vero, tant’è che nelle sue agende scrisse di essere nei guai a causa di un arresto di tale Stefania Bernardi per una mappa militare, ma anche questo aspetto è un inedito assoluto di cui nessuno sapeva nulla. L’errore però non fu suo, come ricostruisco nel capitolo dedicato alla vicenda, a pag. 94 del libro. Siamo nel 1988, il magistrato è procuratore reggente a seguito della promozione del procuratore capo chiamato a Palermo. Riceve una nota dei carabinieri circa una mappa militare riportante le basi Nato e altri dati sensibili. La mappa era stata esposta nella biblioteca di Campobello di Licata e dagli stessi sequestrata. Vengono dunque avviate tutte le dovute verifiche da parte della Procura, e tutte dicono la stessa cosa: si tratta di una mappa coperta da segreto militare la cui divulgazione costituisce reato. E questo lo mette per iscritto anche il Comando Militare della Regione Sicilia. A quel punto Livatino dispone gli arresti domiciliari per chi si era reso colpevole di tale reato, sennonché la mappa era stata pubblicata anni prima in un libro regolarmente messo in commercio e tale pubblicazione era stata ripresa da molti giornali e riviste. L’arresto a Roma, dove la professionista viveva, fece molto rumore in Parlamento, con interrogazioni mirate alla Camera e al Senato contro la procura di Agrigento e Livatino in particolare. Una storia di cui nessuno sapeva nulla e che m’è costata mesi di ricerche, ma alla fine trovai le interrogazioni parlamentari e le risposte da parte del ministro. Tutto materiale pubblico. Una storia che ancora una volta ci mostra Rosario nella sua umanità soggetta a errori, come tutti, ma che non cerca scorciatoie per venire meno alle proprie responsabilità».

La stele oltraggiata nel 2017

La stele oltraggiata e distrutta nel 2017

Perché Livatino fu beatificato? Non mancavano altri casi eclatanti di “eroi”. Non si è rischiato di confondere i ruoli che ha svolto nella sua breve ma intensa vita?
«Chiariamo: la Chiesa non beatifica gli eroi. Gli eroi diventano tali nell’immaginario collettivo per come vivono e per come muoiono, a prescindere se credono o non credono in Dio. La beatificazione è qualcosa di molto diverso, che attiene la spiritualità. Rosario Angelo Livatino è stato beatificato quale martire della giustizia e della fede perché ha vissuto una vita esemplare che coniugava l’amore per i genitori di cui si prendeva cura da figlio devotissimo qual era, con lo spirito di servizio, sorretto da una fede profonda, che espletava nel delicatissimo esercizio della sua professione di magistrato in una terra infida come la nostra. Emblematica la sigla S.T.D. – “Sub tutela Dei” – che riportava in tutte le sue agende. Una fede non sbandierata, non esibita, ma vera autentica, che si concretizzava nel rispetto anche verso chi si macchiava di crimini orribili. Emblematico il caso quando di fronte all’ennesimo morto ammazzato di mafia, a un suo collaboratore che non sa trattenersi dall’usare espressioni pesanti, con tono insolitamente duro lo ammonisce: davanti ai morti chi ha fede prega, chi non ha fede tace. Rosario è stato beatificato come martire perché ha vissuto in modo esemplare, non ha certo cercato il martirio anche se c’è stata la profusione del suo sangue. Tuttavia, neppure in punto di morte, quando il killer gli puntò la pistola in faccia, pronunciò parole di odio versò chi gli stava togliendo la vita. Prima del assassinio, nessuno conosceva Livatino al di fuori di una strettissima cerchia. La sua beatificazione si deve indubbiamente all’opera di chi l’ha conosciuto in vita, a cominciare dai suoi compagni di scuola, cito Giuseppe Palilla per tutti, attuale presidente dell’associazione Amici del giudice Livatino, e da altri giovani dell’allora associazione Tecnopolis di Canicattì, cito per tutti Giuseppe Livatino. Gente comune che stringendosi attorno all’insegnante liceale di Rosario, la professoressa Ida Abate, furono i primi promotori di tale processo conoscendo l’animo purissimo di Rosario. Nel 1993, il vescovo di Agrigento Carmelo Ferraro, consapevole di trovarsi di fronte a un’anima candida, diede l’incarico di raccogliere testimonianze sulle sue virtù teologali. Ebbene, si raccolse tale e tanto materiale, testimonianze comprese, al punto che otto anni dopo, il 21 settembre 2011, ventunesimo anniversario dell’assassinio, viene aperta ufficialmente l’inchiesta diocesana su Rosario Livatino quale “Martire della Giustizia e, indirettamente, della Fede”, che si conclude come già sappiamo con la beatificazione avvenuta il 9 maggio 2021, una data non certo scelta a caso, come spiego meglio nel libro».

9 maggio 2021: beatificazione di Rosario Livatino

9 maggio 2021: beatificazione di Rosario Livatino

Rosario Livatino al cinema: con “Il giudice ragazzino” del 1994, Alessandro di Robilant ottenne riconoscimenti notevoli. Nel capitolo di riferimento, lei chiarisce che non tutto corrisponde al reale: non ha valutato che seppur vi sia una narrazione fedele alla storia in alcune forme d’arte la fiction è sempre inserita per seguire dei canoni che permettano di rimanere in linea con la specifica arte?
«Indubbiamente e ben vengano le narrazioni a cominciare dal primo libro su Rosario, il pamphlet “Il giudice ragazzino” scritto a caldo da Nando Dalla Chiesa, sociologo e docente universitario, figlio del generale Carlo Alberto assassinato dalla mafia a Palermo. Vera e propria pietra miliare. O l’accorato ritratto intimistico del suo alunno, “Il piccolo giudice. Profilo di Rosario Livatino, la prima monografia scritta dalla professoressa Ida Abate. Nel capitolo in questione ho voluto semplicemente evidenziare a beneficio dei lettori come il film, che ha avuto e ha l’indiscutibile merito di avere fatto conoscere la figura del piccolo giudice di Canicattì a chi non ha tempo di leggere e documentarsi, che alcune scelte sono dettate appunto da esigenze di copione legate alla specifica arte, in questo caso il linguaggio cinematografico, piuttosto che all’aderenza storica dei fatti. Una costante che si ripete anche in altre fiction, ricordo ad esempio l’assassinio di padre Pino Puglisi trasmessoci in un film alla luce del sole da parte di un commando per dare un segnale a tutti, mentre in realtà padre Puglisi fu assassinato a tarda ora, con uno solo colpo di pistola alla nuca e gli venne rubato il borsello per incolpare un rapinatore drogato della sua morte. In conclusione: l’arte di una fiction, film o romanzo che sia, si avvale senz’altro del proprio linguaggio per veicolare al mittente un messaggio specifico, esaltando alcuni aspetti e sottacendone altri. Nel mio caso, non trattandosi di fiction ma di biografia, mi sono sforzato di fare conoscere al lettore il Rosario Livatino per come io l’ho percepito…».

La cover del DVD del film di Alessandro di Robilant dedicato a Livatino, che vinse il David di Donatello e il Globo d'oro

Il film di Alessandro di Robilant del 1994 dedicato a Livatino che vinse il David di Donatello e il Globo d’oro

…l’uomo, il giudice e il credente…
«Infatti. Non a caso proprio in apertura del mio lavoro dico a chiare lettere che Rosario non ha mai pronunciato la frase con cui tutti ormai lo conosciamo: Quando moriremo non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili. Errore che anch’io avevo commesso sette anni fa. Frase che non ho trovato né nelle agende, né nei suoi articoli scritti in gioventù, né negli altri scritti in età matura. Né tanto meno ho trovato testimonianze che fosse solito pronunciarla. E allora, mi sono chiesto, come è nata tale associazione? Mi sono scervellato consultando testi su testi e sono addivenuto a una spiegazione plausibile. L’associazione probabilmente è nata da un articolo della professoressa Abate, che tanto si adoperò per farne conoscere l’esemplare figura e la personalità. Citando Pierre L’Ermite, la prof essoressa Abate scrisse: «Dinanzi all’Eterno non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili» e aggiungeva che Rosario era credente e credibile. Una frase simile viene però anche attribuita al partigiano francese Henri Antoine Groués, l’Abbé Pierre: «Non basta essere credenti, bisogna anche essere credibili », e anche al nostro prete partigiano don Andrea Gallo: «A me non interessa chiedervi se siete o non siete credenti, vi chiedo però se siete credibili. È  questo che un giorno Dio chiederà a ciascuno di noi».

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Roberto Mistretta presenterà il libro sabato 22 ottobre alle 18 a Palazzo Sgadari nella sua Mussomeli, dove si confronterà con Emilio Gallo, portavoce dell’associazione “Amici del giudice Rosario Livatino”, e il magistrato Ottavio Sferlazza.



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