Eventi Giovedì 10 settembre la presentazione del volume “La Battaglia delle Egadi e la fine della prima guerra punica” dedicato alla più nota battaglia combattuta nell’antichità e quella che ha avuto l’onore della cronaca per le interessanti scoperte archeologiche subacquee di Sebastiano Tusa
Giovedì 10 settembre alle 17.30 al Belvedere del Tempio di Segesta, nell’ambito degli “Incontri con la Storia” l’Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà, la Soprintendente del Mare Valeria Li Vigni e l’archeologa Rossella Giglio, direttrice del Parco Archeologico di Segesta presenteranno il volume “La Battaglia delle Egadi e la fine della prima guerra punica”, scritto da Jeffrey G. Royal e Sebastiano Tusa.
La battaglia navale delle Egadi, che si concluse il 10 marzo del 241 con la vittoria della flotta romana, è sicuramente la più nota battaglia combattuta nell’antichità e, senza dubbio, quella che più di ogni altra ha avuto l’onore della cronaca per le interessanti scoperte archeologiche subacquee di Sebastiano Tusa il quale è riuscito a fornire, attraverso una ricerca condotta con intuizione e metodo scientifico, risultati che hanno radicalmente mutato una storiografia stratificata da tempo su erronee convinzioni. Una data, quella della Battaglia delle Egadi, che lega in maniera indissolubile l’uomo e l’archeologo. Per uno strano gioco del destino, infatti, il 10 marzo, data della Battaglia delle Egadi, è anche il giorno del 2019 in cui si è svolto il tragico volo per Addis Abeba in cui ha perso la vita l’allora assessore dei Beni Culturali, Sebastiano Tusa.
«L’area archeologica sottomarina delle Isole Egadi – dice l’Assessore Alberto Samonà – è un unicum che custodisce importanti reperti nel tratto di mare, teatro della Battaglia delle Egadi, che vide durante la I guerra Punica, la vittoria dei romani sui cartaginesi. Ci troviamo in un contesto ambientale immutato con un habitat naturalistico incontaminato che ha permesso di conservare intatto un prezioso patrimonio archeologico sommerso. È proprio grazie a queste condizioni che Sebastiano Tusa, al tempo Soprintendente del Mare, ha potuto confermare la tesi che in quello specchio d’acqua e non a Cala Rossa, come fino a quel momento si credeva, sia stata combattuta la Battaglia che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia. Onorare la memoria dello studioso – dice l’assessore Samonà – presentando un testo che si iscrive tra i libri scientifici più preziosi ed apprezzati a livello internazionale, è un gesto di doverosa memoria e di testimonianza che il Governo Musumeci intende tributare a Sebastiano Tusa nella consapevolezza che l’identità siciliana passa anche attraverso il riconoscimento di uomini e donne che, nel tempo, hanno reso grande il nome della nostra Isola»
«L’occasione per avviare la campagna di ricerca e scavo – ricorda Valeria Li Vigni, attuale Soprintendente del Mare e moglie del compianto Sebastiano Tusa – è stato un segreto rivelato a Sebastiano da un pioniere dell’archeologia subacquea siciliana, Cecè Paladino, che gli parlò di circa 150 ancore in piombo depredate nel corso gli anni dai sub a Levanzo, tra Cala Minnola e Capo Grosso. Questo, ricordo ancora oggi, fu il punto di partenza da cui prese il via una ricerca effettuata dapprima in maniera tradizionale e successivamente con l’utilizzo di strumentazioni tecnologiche e che portò al rinvenimento di ulteriori ancore. La regolarità del posizionamento delle ancore indusse mio marito – continua Valeria Li Vigni – alla conclusione che le ancore fossero state abbandonate, recidendone le cime di ormeggio, in un intervento tattico per sferrare che Lutazio Catulo, ammiraglio romano, sferrò alla flotta di Annone, ammiraglio del convoglio cartaginese, determinandone la sconfitta. Unica interpretazione plausibile per questa imponente presenza di ancore non poteva che essere quella di trovarsi nel sito dove si era svolto l’evento bellico. Da qui la conclusione che quella era l’area in cui si era svolta la fase decisiva della Battaglia delle Egadi; non poteva trattarsi, infatti, di un’area di ormeggio o di carico dal momento che la zona è attraversata da correnti violente e da venti burrascosi che determinano spesso repentine condizioni di mare mosso e pericoloso».
La ricerca effettuata in alto fondale ha condotto gli autori della pubblicazione, Jeffrey e Tusa, a confermare l’esattezza delle ipotesi di studio e a delimitare con precisione il campo della Battaglia conclusiva a Levanzo, nei pressi di Capo Grosso, e non come fino ad allora si asseriva in numerosi testi accademici, a Cala Rossa.
La conferma del luogo di svolgimento della battaglia è stata fornita, peraltro, dall’eccezionale ritrovamento di circa venti elmi e ventidue rostri legati all’evento bellico che, grazie all’esatta corrispondenza tra le fonti, le ricerche sul campo e l’utilizzo delle più moderne tecnologie, ha consentito di realizzare l’importante risultato scientifico. Come la ricerca e gli studi hanno ampiamente confermato, infatti, quelle erano le ancore della flotta romana di Lutazio Catulo che, per infliggere ai Cartaginesi un colpo ferale sul fianco della loro flotta, aveva sfruttato l’elemento sorpresa dando l’ordine di tagliare le cime e non perdere tempo nel recuperare le ancore, issandole a bordo.
La storia ci racconta che il 10 marzo del 241 a.C. l’ammiraglio Lutazio Catulo sbloccò una situazione di stallo nella quale i due contendenti, romani e cartaginesi, si trovavano ormai da tempo. I Cartaginesi, infatti, erano assediati ad Erice in una situazione che si era aggravata per l’arrivo della flotta romana che ne ostacolava i collegamenti con Cartagine. Cartagine tentò di liberare le truppe di Amilcare bloccate sulla vetta di Erice inviando una flotta immensa che raggiunse Marettimo. L’intuizione di Lutazio Catulo fu quella di intuire la rotta che avrebbero intrapreso le navi puniche guidate da Annone che puntavano sulla baia di Bonagia passando a Nord di Levanzo di di sferrare un agguato che colse impreparata la flotta cartaginese determinando in breve lo scompiglio e la rapida ritirata verso Cartagine.
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