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Dal tiranno Falaride al poeta Stesicoro, la storia si fa romanzo con Roberto Tedesco

Libri e Fumetti In "Falaride e la terra del Mito", Spazio Cultura Edizioni, mitologia e storia si miscelano in un connubio di eventi realmente accaduti e sapientemente amalgamati dall’inventiva dell’autore, l'architetto termitano Roberto Tedesco. Al centro la strategia di Falaride, lo spregiudicato e spietato tiranno di Akragas, per sottomettere Himera. Tedesco: «Gli eventi narrati sono in parte frutto della mia fantasia anche se molte notizie sono state attinte dalle fonti antiche, inesauribile ricchezza di aneddoti»

Un romanzo di interessante lettura “Falaride e la terra del mito” (edito dalla palermitana Spazio Cultura Edizioni),  in cui mitologia e storia si miscelano in un connubio di eventi realmente accaduti e sapientemente amalgamati dall’inventiva dell’autore che ha colmato i vuoti storici con la sua fantasia. L’autore è Roberto Tedesco, architetto e giornalista di Termini Imerese, appassionato della storia isolana, vanta un’intensa attività su Balarm.it di articoli su percorsi storico-itineranti della Sicilia e ha collaborato anche nella realizzazione di scenografie per il cinema. Non a caso la sua verve creativa si esalta con disegni esplicativi che accompagnano le pagine di questo volume, in cui stilizza antiche monete romane, statue bronzee, monete dell’antica Himera.

Roberto Tedesco e la copertina del suo libro

Il romanzo è ambientato nel V° secolo a.C., nella Sicilia arcaica e, come suggerisce il titolo, i protagonisti principali sono Falaride, tiranno di Akragas, e Stesicoro, poeta noto per essere stato tra i primi a istituire un coro per il canto citarodico. Il romanzo prende abbrivio il 28 giugno dell’anno 554 a.C. e si conclude quasi un mese dopo, il 21 luglio 554. Non mancano le battaglie e le passioni degli uomini a cui fanno da sfondo le descrizioni di Himera e di Akragas. Gli intrighi di potere tra aristocratici e le guerre per la conquista dei territori dilagano. Akragas è riuscita ad avere il controllo di quasi tutta l’isola meridionale. Il suo tiranno, Falaride, uomo spregiudicato e governante spietato, vuole estendere il proprio dominio anche nelle terre sotto il controllo di Himera. Ma per assoggettarle è necessario un piano astuto piuttosto che ricorrere alle armi, poco incisive considerati i dirupi naturali di cui è munita la città.

SicilyMag ha intervistato l’autore.



Questo romanzo segna il tuo esordio letterario come romanziere. Come è nata l’idea di scrivere “Falaride e la terra del mito?”
«Tutto inizia da una grande passione: la storia della Sicilia antica e in particolare quella del periodo arcaico. Attraverso le fonti antiche e in particolare quelle di Diodoro Siculo, Aristotele e Polieno, ho romanzato alcuni avvenimenti del VI° secolo a.C. collegandoli tra di loro con fatti realmente accaduti con quelli frutto della mia fantasia».

Falaride, il tiranno di Akragas

Akragas e Himera. Cosa sono state questa due città nella terra del mito come la Sicilia?
«Sicuramente hanno avuto un ruolo determinante anche perché sono riuscite a condizionare la pittura vascolare e successivamente alcune commedie del teatro classico. Ad esempio la presenza di Eracle nel territorio di Himera è da riferirsi al suo viaggio di ritorno da una delle “fatiche”, quando s’impadronì della mandria del gigante tricefalo Gerione, ritenuto l’uomo più vigoroso tra gli esseri viventi. Eracle uccide Gerione, l’essere munito di sei mani e sei piedi, dopo averlo colpito con una freccia in una delle tre teste e, verosimilmente, dopo averne offesa una seconda con la clava (Stesicoro ffrr. 19 e 20). Al ritorno dall’estremo occidente, dove trova il mostro Gerione, Eracle si fermò nel territorio di Himera. Qui, come sostenuto da Diodoro Siculo (Biblioteca  storica IV, 23, 1 e V, 3, 4), per volontà di Athena, le ninfe fecero sgorgare delle acque calde per far ristorare l’eroe.  Per quanto riguarda Akragas e in particolare il cosiddetto “toro di Falaride” è certamente una informazione affascinate anche perché è difficile distinguere dove finisce il mito e inizia la storia. Di certo il tiranno Falaride non dovette godere di una buona reputazione a quel tempo. Non è un caso che Dante Alighieri, nella Divina Commedia, colloca Falaride all’inferno!».

Il romanzo prende abbrivio il 28 giugno dell’anno 554 a.C. e si conclude quasi un mese dopo, il 21 luglio 554. Ci racconti in sintesi questi ventitré giorni?
«Il tiranno di Akragas, Falaride, un uomo spregiudicato, aveva deciso di estendere il proprio dominio nelle terre sotto il controllo di Himera. Ma per assoggettarle era necessario un piano che puntasse sull’astuzia. Con questo intento Falaride inviò in quelle terre, protette dalla dea Athena, il figlio Diofobo, un giovane abile sia nell’arte oratoria che con la spada. Era l’unico capace di incantare le platee con la virtù della parola. Considerato il più accreditato alla successione al trono, doveva riferire un’ambasciata del padre che difficilmente gli imeresi potevano rifiutare. Ad opporsi all’akragantino trovò il matematico Mamertino e il popolare poeta Stesicoro».

Quanto ti ha intrigato poter scrivere del tuo illustrissimo “compaesano” Stesicoro che pochi sanno fosse nato a Himera?
«Certamente tantissimo. Si tratta di un poeta arcaico straordinario. Secondo alcuni studiosi Stesicoro è nato a Metauro, anche se altri sostengono che sia nato proprio a Himera. Di certo visse a Himera per buona parte della sua vita, anche se morì a Catania intorno al 554 a.C.. Si tratta di un poeta importantissimo. Secondo i compilatori del Lessico Suda, egli era un poeta lirico che per primo istituì un coro per canto citarodico. In epoca bizantina, Stesicoro era collocato tra i poeti corali, al pari di: Pindaro, Bacchilide, Saffo, Anacreonte, Simonide, Ibico Alceo e Alcmane. La peculiare rilevanza che egli ebbe nella storia della citarodia, è da attribuire a due motivi. Il primo perché sostenitore della trattazione dei miti come parte essenziale. Il secondo perché è considerato uno dei primi ad aver portato dei rinnovamenti di ordine metrico – musicale con l’utilizzo della ripartizione triadica (triade strofica)».

Il poeta arcaico Stesicoro

Racconta ancora ai nostri lettori come il matematico Mamertino e soprattutto Stesicoro si opposero a Diofobo, figlio di Falaride, incaricato di riferire l’ambasciata del padre agli imeresi. Raccontaci di quella favola.
«All’ampia e ricercata produzione letteraria di Stesicoro, il grande filosofo Aristotele gli attribuisce una favola del “cavallo e del cervo” (La retorica, II, 20, 1393 b). L’apologo espone che il cavallo per potersi imporre sul suo rivale, il cervo, chiese protezione all’uomo; quest’ultimo riuscì a cacciare il cervo, ma rese schiavo il cavallo. Questa allegoria ha un probabile referente storico. In quel periodo, Falaride (VI secolo – 555/554 a.C.), despota di Agrigento, aveva fatto credere agli Imeresi di fornire loro un appoggio militare per piegare i selinuntini, ininterrottamente antichi antagonisti della colonia, pretendendo in cambio di esercitare il suo potere sulla città (cfr. Imerio di Bitinia, 315 – 386 d.C., Orationes, 27 – 33). La favola raccontata volle essere un ammonimento per i suoi concittadini».

Un cenno a questo punto dobbiamo farlo anche al famoso toro di “Falaride”, la statua bronzea in cui il tiranno era solito fare arrostire i suoi nemici e che tu hai voluto riportare in copertina.
«Il disegno è stato realizzato da un mio carissimo amico, Concetto Parlascino, così come anche quello rappresentato nella quarta di copertina. All’apice del successo Falaride accrebbe la sua popolarità quando fece costruire un toro di bronzo. L’opera venne realizzata da Perillo di Atene e concepita per eliminare i numerosi nemici. Secondo la tradizione riportata dalle fonti antiche, la vittima veniva rinchiusa all’interno del ventre dell’animale mentre sotto si accendeva un fuoco. Il metallo riscaldando faceva arrostire il malcapitato che era destinato a morire lentamente (Polibio, XII, 25 – Diodoro IX, 18-19). Si dice che la prima vittima sia stata proprio il costruttore!».

Il toro di Falaride

Come hai ricostruito la personalità dei personaggi realmente esistiti e degli altri di tua invenzione?
«
Gli eventi narrati sono in parte frutto della mia fantasia anche se molte notizie sono state attinte dalle fonti antiche, inesauribile ricchezza di aneddoti. Spesso mi sono affidato alle mie emozioni, di certo tra i due protagonisti, Stesicoro e Falaride, così com’è stato accertato, non dovette scorrere buon sangue. Almeno secondo quanto ci riferisce il grande filosofo Aristotele a proposito proprio di quella favola del cervo e del cavallo. Volutamente non mi sono sottratto dal narrare le passioni dei protagonisti. Ecco che i personaggi realmente esistiti interagiscono con quelli della mia immaginazione. Con questo spirito prendono forma le conversazioni tra i fratelli Mamertino, Lionato e Stesicoro, ma anche quelle con il tiranno Falaride e il figlio Diofobo».

Come hai dosato la verità storica e quella mitologica in una trama romanzata?
«I personaggi sono stati l’anello di congiunzione tra la verità storica, la mitologia e la fantasia. Non è stato facile! Spero che il lettore non si annoi leggendo le pagine del mio romanzo».

Roberto Tedesco al recente Efebo d’oro a Palermo

Scrivere un romanzo storico implica molte difficoltà e una mole di impegno notevolissima. Quanta preparazione occorre per non commettere errori e rappresentare in modo credibile il periodo prescelto?
«Di certo la mia passione per la storia antica mi ha notevolmente agevolato, così come anche le mie precedenti pubblicazioni come ad esempio: “Da Stesicoro a Stenio due civiltà un solo popolo” edito nel 2016 da Vera Canam, dove attraverso gli affreschi di Vincenzo La Barbera, realizzati nel 1610 e siti all’interno del Palazzo Municipale di Termini Imerese, ho racconto la storia dell’antica Himera e di Terme».

Dopo questa tua esperienza, se dovessi dare un suggerimento, quali sono gli errori più comuni che si commettono quando si scrive un romanzo siffatto? Come evitarli?
«L’errore storico è sempre in agguato. Bisogna avere sotto controllo la cronologia degli eventi da narrare e fare in modo che tutto coincida. Per evitare le sviste, l’unica cosa da fare è leggere tantissimo. Spesso prendo anche degli appunti su dei fogli che poi inserisco nelle pagine del libro. Infine un altro errore molto ricorrente è quello del panico del “foglio bianco”: rinunciare a scrivere è già un errore!».



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