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A Catania Monofest Foodtheatre, il “sapore” del teatro

Teatro e opera Dal 29 dicembre, al Piccolo Teatro di Catania, la rassegna coordinata dall'attrice Valeria Contadino, prevede 5 spettacoli a tema dove vista e gusto sono assecondati. Per ogni messinscena un food concept sarà degustato dal pubblico prima, dopo o durante lo spettacolo. Primos pettacolo i "Monologhi di una caffettiera" di Lia Alibrandi con la stessa Contadino

Monofest è una rassegna che vuole sposare due elementi del piacere: la vista e il gusto. Foodtheatre, Teatro da gustare, sulla chiave del monologo, dell’assolo espositivo che viene accompagnato ad ogni appuntamento da un percorso goloso fra teatro per deliziare il palato e nutrire la mente. Monofest è un festival improntato sulla combinazione di teatro, nelle sue varie forme dalla prosa alla musica e la degustazione di prodotti enogastronomici, fulcro di aggregazione culturalgastronomico sotto il segno della creatività collocandosi come appuntamento mensile nuovo nel panorama degli eventi culturali della città di Catania. Cinque gli appuntamenti che mese per mese si succederanno sul palco del Piccolo Teatro della città di Catania, a cura dell’Associazione Teatro Città, presieduta da Orazio Torrisi in collaborazione con l’Associazione culturale Nora 2.0, presieduta da Valeria Contadino e con la partecipazione degli sponsor. La Rassegna si avvale infatti dell’apporto di sponsor di qualità che hanno permesso e sostenuto la sua ideazione: Expo Food and Wine, Hotel Nettuno, BrasilRecca caffè senza pecca, Consorzio di tutela arancia rossa di Sicilia IGP, Casa Normanna, I.P.S.S.A.R. KAROL WOJTYLA di Catania. Che gusto hanno le parole? Come le preferiamo? Dolci o amare? Condite o schiette? Proverà a svelarcelo Monofest , rassegna che associa al gioco teatrale quello della cucina. Infatti, ad ogni spettacolo verrà associato in food-concept che sarà degustato dal pubblico, prima, dopo o durante lo spettacolo.

Il primo apputamento, giovedì 29 dicembre, è “Monologhi di una caffettiera” una prima assoluta di Lia Alibrandi con Valeria Contadino, costumi Riccardo Cappello. Attraverso le divagazioni di una caffettiera che sogna di essere una diva del cinema noir d’altri tempi, il pubblico potrà gustare le essenze e gli aromi del caffè. È una fiaba illustrata, a cavallo tra poesia e racconto filosofico. Una immaginaria caffettiera osserva il mondo esterno e fantastica su quello che accade lì fuori. «Perché le caffettiere – secondo l’autrice – un po’ per disincanto o per incanto, preferiscono contemplare la vita, il tempo di un caffè». Testo fatto di immagini che racconta la vita nel breve volgere di un caffè. Monologhi di una caffettiera è l’ultimo lavoro della scrittrice Lia Alibrandi, un libro introspettivo che raccoglie gli effetti della relazione tra anima e sentimento. La protagonista dell’opera è una caffettiera che, dalla sua finestra, osserva il mondo esterno e fantastica su ciò che accade lì fuori. La Moka, cui darà corpo e voce, aroma e sentimento Valeria Contadino, ama appannare con i propri pensieri la sua finestra e le sue divagazioni procedono a monologhi proprio come per monologhi, immagina la caffettiera, proceda anche il proprietario di quella caffettiera, un aspirante scrittore intento a cercare labirinti narrativi, a imbastire conversazioni con interlocutori immaginari, a confezionare sogni imperfetti. Un pretesto per catturare spiragli di luce, rinnegando qualsiasi surrogato della vita, come l’orzo, che intasano il filtro e si dissolvono alla prima centrifuga del cuore; ecco perché “con indignati colpi di tosse” la caffettiera mostra “tutto il suo diniego”. Valeria Contadino, alla vigilia della sua tournée nazionale con “Il Casellante” di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, ha voluto fortemente questo appuntamento teatrale. Considera questa prova come «un viaggio nella surreale consapevolezza delle donne di essere libere nel sogno immaginifico di chi, come la nostra caffettiera, produce parole e aromi miscelati ad ardori e sentimenti. Moka, o come la si voglia chiamare, è anche i suoi sogni e le parole in miscela che sgorgano da lei, immaginando, come in una scena da film l’incontro con lui travestito da Humphrey Bogart in una sorta di boulevard d’altri tempi con finale a sorpresa connesso».

Valeria Contadino

Valeria Contadino

La rassegna riprende nel 2017, il 12 gennaio, con un assolo a due con una coppia di attori noti al grande pubblico, Edoardo e Silvia Siravo, dal titolo emblematico per la rassegna Monofest: “Significar mangiando”. Mangiare non significa solo appagare la sensazione di fame ma è anche convivio – nel senso latino del termine – piacere, consolazione, rifugio. Il problema del cibo è sempre stato il problema principale dell’uomo fin dall’antichità, tanto che molti autori hanno cercato una sintesi fra parole e sapori. I grandi classici della letteratura da Omero a Shakespeare hanno scritto opere intrise di momenti conviviali, di ricette, di cibo perché ciò che ha a che vedere con il cibo ha a che vedere con la vita. Edoardo Siravo e Silvia Siravo, padre e figlia nella vita, colleghi in palcoscenico, ci raccontano attraverso la voce di vari autori della letteratura mondiale il senso del cibo nella vita e nell’arte. Con arguzia e ironia, divertimento ed evocazione cavalcheranno le cucine letterarie dei più intriganti autori che si sono occupati di cibo nelle loro opere. Da Achille Campanile che in “le seppie con i piselli” tra il divertente e lirico ci ragguaglia dell’alchimia del mare e della terra e descrive quest’accoppiamento come, “i loro destini siano legati ”. In “La cura dell’uva” Campanile discute la scoperta e benefici dei fichi col prosciutto o il melone col prosciutto in modo comico. Ad esempio, quando parla di benefici per la salute di mangiare quest’accoppiamento, dice: «Volete paragonare un’iniezione di antidolorifico a un piatto di melone e prosciutto?».
La cavalcata letterario culinaria continua con le pagine ben note di Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” e la ricetta timballo di maccheroni la sera in cui nella grande sala del ballo entrò Angelica con la sua bellezza italiana, con la sua fisicità prorompente poco raffinata ma assai conturbante. Il nipote del principe, Tancredi, si innamora di lei; il principe la osserva rapito dalla sua spontaneità e dalla sua bellezza. Inizia la serata, le candele illuminano la tavola sontuosa, entra il timballo di maccheroni che l’autore così magistralmente descrive: “L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”. Non manca la lirica di Gozzano che nella poesia “Le golose”, ha le idee chiare quando descrive le donne. È il nostro vero poeta-amante, quello da cui imparare con che sguardo guardare le donne e avvicinarsi. Con le sue amanti è sempre di enorme complicità, non le usa, le ammira, le rimpiange, è un modello di seduzione e di contemplazione legato anche al cibo e alla “gola”. Questa, che è forse la sua poesia più paradossale sulle donne, dà al giovane in cerca di modelli un buon modo di intendere la bellezza. Non mancheranno le incursioni in Poesia con il Trilussa de ” La statistica” , e quelle nella musica con le ricette di Gioacchino Rossini.

Edoardo Siravo

Edoardo Siravo

Il 2 febbraio è la volta di “Molière immaginario”, di e con Ivan Bellavista, Sandra Conti e Matteo Di Girolamo. «Uno spettacolo nato in un modo, finito in un altro. Il rifiuto di fare “come da copione”, la necessità di portare avanti gli attori prima dei personaggi, la voglia di fare un lavoro diverso, divertente, divertito, ci ha portati a concepire questo Molière in maniera del tutto immaginaria», dice l’autore. Ed è proprio in questa chiave che la declinazione del mood di Monofest si sviluppa: teatro divertito e divertente, cibo gustoso da gustare. Figurandolo qui ai giorni nostri, Molière avrebbe certo molta fiducia nel progetto di questo pestifero terzetto, che, solidale con il punto di vista dello spettatore, naviga attraverso il “Don Giovanni”, scompaginandone trama e personaggi, per rimandarci invece a un’idea di attorialità forte e consapevole, legata a filo stretto con l’elaborazione registica (che in questo caso è davvero frutto di creazione collettiva), così da regalare al pubblico un frammento di teatro nella sua miglior accezione. In scena dunque, in vista del sovvertimento delle canoniche trasposizioni teatrali, una salubre pièce in cui Ivan Bellavista, da buon figliolo degenere e con la complicità per nulla innocente di Sandra Conti e Matteo Di Girolamo, va a rivisitare l’opera del genio del teatro francese, attuando la tecnica dello scardinamento programmatico e lo stravolgimento di ogni prevedibile collocazione, per il massimo divertimento di tutti, compagnia compresa. Ivan Bellavista, reduce dal grande successo in tutta Italia di “Fratto_X” e di “Anelante” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, dopo quattro anni dallo spettacolo “Gastone”, torna con un nuovo progetto da lui fortemente voluto ed organizzato: “Molière Immaginario”, scritto, diretto e interpretato insieme a Sandra Conti e Matteo Di Girolamo. Un clamoroso successo di pubblico e critica nella stagione 2014/2015 del Teatro dell’Orologio di Roma.
Don Giovanni viene sradicato dalla pièce seicentesca e gettato in pasto a un talk-show televisivo. Nel 2015, il mito non può rivivere che attraverso una vera e propria dissacrazione. Il servo Sganarello, tramutato in presentatore, interroga Don Giovanni che, da padrone, è diventato l’ospite d’eccezione. Donna Elvira non è più la casta fanciulla redarguita dall’affascinante tentatore: si trasforma in una vittima dei media ed essa stessa si fa carnefice del mito. I personaggi classici vengono continuamente traditi, i bei costumi sfarzosi messi nell’armadio ed ecco che emergono le persone, i tre brillanti interpreti, autoironici e pronti a mettere in discussione l’idea stessa di teatro. Un sogno-incubo teatrale, un insonne funerale dei personaggi immortali creati da Molière. Un gioco fatto di rimandi inconsapevoli e divertiti nel loro grottesco scivolare nel “già visto”. Ivan Bellavista: «Uno spettacolo nato in un modo, finito in un altro. Il rifiuto di fare “come da copione”, la necessità di portare avanti gli attori prima dei personaggi, la voglia di fare un lavoro diverso, divertente, divertito, ci ha portati a concepire questo Molière in maniera del tutto immaginaria. Ecco perché il titolo. Tracce di Molière ci sono ma il resto è totalmente nostro. Siamo noi, con i nostri clichès da far morire e con la voglia di non farci comandare dai ruoli ma solo da noi stessi. Molière Immaginario non vuole raccontare niente. Vuole solo giocare come ho fatto io (Ivan Bellavista) insieme a Sandra Conti e Matteo Di Girolamo. Infine, nessun regista ad imporci nulla, nessun costume, nessuna scenografia. Molière Immaginario è solo un gioco, giocato seriamente».

Ivan Bellavista

Ivan Bellavista

Il quarto appuntamento è affidato a Alessandra Mortelliti, interprete ed autrice del monologo “Famosa”, in scena il 16 marzo. È la storia di un ragazzino di 15 anni, nato e cresciuto nella provincia ciociara e convinto di essere una ragazza mancata a causa di un ‘errore genitale’, con il sogno di diventare famosa. Rocco Fiorella, è il suo nome, un quindicenne nato e cresciuto nell’arretratezza culturale di quella provincia ciociara, dove il conservatorismo e il bigottismo arrivano a distruggere anche i rapporti familiari interni. Tra un padre ubriaco e violento e una madre posseduta dal demonio, Rocco cresce senza andare a scuola, imparando solo il linguaggio delle botte. Rocco appartiene al genere maschile solo per “un errore genitale” ma si sente femmina e come tale desidererebbe apparire agli occhi degli altri. Ma la “società di massa” in cui è costretto a vivere è così omogenea da far scomparire le singolarità. Gli insulti e le offese contro Rocco partono da casa sua e corrono sulle bocche dei suoi compaesani, moltiplicandosi e raggiungendo quotidianamente la sua beata ignoranza. E da un paese che veramente è un “borgo selvaggio” è necessario scappare, cercando altro, magari quella notorietà, promessa dalla televisione, che serve a diventare qualcuno. “Famosa”, scritto e interpretato da Alessandra Mortelliti, diventa così un intenso e commovente manifesto di denuncia verso la società e la politica che, nella loro totale indifferenza verso i diritti civili, perpetuano e legittimano un pensiero unico da restaurazione moderna. Nella società “liquida” in cui viviamo, esiste una sola morale, imposta come regolazione coercitiva dell’agire sociale attraverso la proposta di valori cui nessun uomo ragionevole può sottrarsi. Come diceva Zygmunt Bauman: “nell’idea dell’armonia e del consenso universale, c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali.

Alessandra Mortelliti

Alessandra Mortelliti

Si chiude il 27 aprile con “Odissea, un racconto mediterraneo Il Ciclope – canto IX” con Mario Incudine e Antonio Vasta, progetto e regia Sergio Maifredi. Moderno aedo l’attore, cantante e scrittore siciliano Mario Incudine propone la “sua” Odissea in forma di cunto… con suggestive contaminazioni tra l’epos antico e la lingua immaginifica di Pirandello e Sbarbaro – traduttori del ciclope euripideo con la colonna sonora firmata da Antonio Vasta, per raccontare lo scontro tra intelligenza e forza bruta – tra barbarie e civiltà. “Odissea – Un racconto mediterraneo” restituisce alla narrazione orale, al cantore vivo e in carne ed ossa di fronte a noi, le pagine dell’Odissea che dagli anni della scuola abbiamo letto in silenzio. L’Odissea è la prima fiction a episodi. Questa è una delle sue forze. I racconti vivono assoluti. Il “montaggio” avviene nella testa dello spettatore che può conoscere o ignorare gli episodi precedenti. “Odissea – Un racconto mediterraneo” è una rotta, la rotta di Odisseo, ed è la rotta che unisce le sponde del mediterraneo da Est a Ovest da Nord a Sud. L’Odissea è un arco che scavalca le epoche. È la classicità e al tempo stesso la modernità, inventa il flashback tremila anni prima del cinema americano, cala Odisseo all’Inferno duemila anni prima di Dante. Calipso oggi scolpisce in un sms il suo ultimo pensiero per Odisseo e Odisseo twitta la strage dei Proci anziché affidarla a Femio il cantore, padre di tutti gli uffici stampa del mondo. Ma la forza dell’Odissea resta immutata. “Odissea – Un racconto mediterraneo” è un progetto permanente, un percorso da costruire canto dopo canto scegliendo come compagni di viaggio i grandi cantori del teatro contemporaneo e quegli artisti che sappiano comunicare in modo estremamente diretto, non con la protezione del “buio in sala” ma guardando negli occhi il proprio pubblico, non proteggendosi dietro gli schermi delle belle luci o di una bella musica di sottofondo ma affrontando a mani nude la parola.
Il Ciclope – Canto IX è il primo cunto di Odisseo. È il racconto con cui inizia la “versione di Odisseo”. Alla reggia di Alcinoo, Odisseo ascolta Demodoco il cantore, narrare della guerra di Troia e dei ritorni degli eroi sopravvissuti. Odisseo piange e si rivela ad Alcinoo. Omero dal racconto in “oggettiva” passa al racconto in “soggettiva”. Odisseo dipana per Alcinoo il filo delle sue avventure ed inizia con gli “effetti speciali”, con il ciclope Polifemo, certo di catturare l’attenzione del re e di ottenere da lui navi per tornare ad Itaca. Mario Incudine, artista di straordinario talento, attore, cantante, scrittore, reduce dal successo de Le Supplici a Siracusa di cui ha firmato la regia con Moni Ovadia e di cui è stato interprete e traduttore in lingua siciliana, affronta a suo modo questo “cunto”. Lo trasforma in un vero e proprio canto con musiche scritte appositamente da Antonio Vasta, suo fidato collaboratore. Il Ciclope di Omero si contamina con la riscrittura di Pirandello e di Sbarbaro, entrambi “traduttori” del Ciclope di Euripide. Ed è interessante notare che Pirandello lo traduca a ridosso della prima guerra mondiale e Sbarbaro delle seconda. Il Ciclope anche questo è: la forza bruta contro l’intelligenza, la violenza contro l’accoglienza.

Mario Incudine e Antonio Vasta

Mario Incudine e Antonio Vasta

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