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La Locandiera

Eventi Con Amanda Sandrelli e Alex Cendron il 9 dicembre a Modica e il 10 a Caltanissetta

Un grande classico del teatro italiano arriva in Sicilia. E’ “La locandiera” di Carlo Goldoni, considerato un autentico capolavoro del teatro di tutti i tempi, nell’adattamento Francesco Niccolini. In scena, diretti da Paolo Valerio e lo stesso Francesco Niccolini, l’amatissima Amanda Sandrelli con Alex Cendron, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci. Dello spettacolo, coprodotto da Arca Azzurra Produzioni e Teatro Stabile di Verona, firma le scene Antonio Panzuto, mentre i costumi sono di Giuliana Colzi, le luci di Marco Messeri e le musiche di Antonio Di Pofi.

 Amanda Sandrelli e Alex Cendron in La Locandiera

Amanda Sandrelli e Alex Cendron in La Locandiera

Lo spettacolo, che sarà messo in scena domenica 9 dicembre al Teatro Garibaldi di Modica, il giorno successivo, lunedì 10, approda al Teatro Regina Margherita di Caltanissetta che, sciolti gli ormeggi e individuata la rotta, è pronta a salpare con la nuova stagione teatrale che vede al timone il direttore artistico Aldo Rapè.
Protagonista della commedia di Goldoni è Mirandolina. È il nome a trarre in inganno: suona troppo dolce, troppo seducente e brioso per poter nascondere qualcosa di più oscuro. Ma, si sa, i nomi talvolta ingannano. Eppure Carlo Goldoni mette in guardia ancora prima che il testo abbia inizio, lo fa nell’avvertimento destinato al lettore: «Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire esser questa la più morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa». Goldoni non lascia spazio a dubbi, eppure per quasi duecento anni la tradizione ha voluto che Mirandolina fosse inchiodata alla sua natura dolciastra, un po’ cocotte, effervescente gaia ed esuberante. Era stata Eleonora Duse a fotografare questa tradizione con tre sole parole: «Brio, brio, brio».
«Ma se La Locandiera giustamente viene considerato un autentico capolavoro del teatro di tutti i tempi – spiegano i registi Paolo Valerio e Francesco Niccolini – non è certo perché la sua protagonista è la paladina del brio e dell’effervescenza. Tutt’altro. È una donna feroce, orfana, abituata a comandare, a difendersi e a lottare. Lottare su più fronti: lotta per portare avanti la locanda dopo la morte del padre, lotta contro quattro uomini in contemporanea, lotta per affermare la forza e la dignità di una donna amazzone, in un mondo in cui le donne sono solo oggetto di piacere o di disprezzo».

Una scena di la Locandiera

Una scena di la Locandiera

Non siamo in una parte qualunque del mondo: la scena, precisa Goldoni nella prima didascalia, si svolge a Firenze, e questo è un grande affresco di toscanità. Lo spiega con grande lucidità Guido Salvini, regista fiorentino legato a Pirandello e al Teatro d’Arte: «La scena si rappresenta in Firenze nella locanda di Mirandolina. Sta scritto ben chiaro all’inizio della commedia. Tutti i personaggi, che per interessi vari si trovano nella locanda, gravitano attorno al personaggio centrale e al suo satellite: Mirandolina e Fabrizio. Figure che a me sembrano profondamente e volutamente toscane: non nel senso dialettale che questa parola potrebbe esprimere, ma nel suo senso caratteristico. Goldoni troppe volte qualifica i toscani per rozzi, contrapponendoli ai veneziani: sia per la pronunzia più dura come per il fare meno gentile, sia per quella predisposizione al calcolo e al tornaconto che sono evidenti non solo in Fabrizio ma anche in Mirandolina. Basta conoscere le donne toscane, intelligenti e loquaci ma calcolatrici e autoritarie, per convincersi che Mirandolina è una di loro. È civilizzatissima e fine d’ingegno come i fiorentini quando lo sono: è donna che si è fatta a contatto coi forestieri, ma mantiene intatta la naturale rudezza toscana, vestita di belle e sciolte parole. Tiene a bada quattro uomini contemporaneamente e a tutti e quattro si rivela diversa, perché il suo desiderio intimo è piacere, ma anche perché, piacendo, la cassa si rimpingua. La civetteria di Mirandolina non è frivolezza, è calcolo».
Un marchese squattrinato, un ricco volgare che si è comprato una contea, un cavaliere misogino, due cattive attrici da rivista, un servo tutto fare che odia ricchi e nobili e che non vuole staccarsi dalla sua padrona, possibile sposa: sei satelliti, per usare il termine di Guido Salvini, intorno al sole di questo piccolo e sciancato sistema solare. Una somma di debolezze, contraddizioni, inganni e violenze: la più grande delle quali è proprio il gioco feroce che Mirandolina intenta contro il cavaliere di Ripafratta. Vuole umiliarlo, quest’uomo che è abituato a umiliar le donne. Ci riesce. Ma – e questo è il vero colpo di genio di Goldoni –, il piano perfetto si incrina: lei stessa è vittima della sua seduzione spietata. Di fronte al fascino turbato di un uomo innamorato, tentenna, rischia di cadere come è caduto lui.
«Nel feroce mondo nuovo che Carlo Goldoni sa dipingere – sottolinea Francesco Niccolini – la locandiera chiude tutte le porte, piega e stira panni, allontana il vero amore, sposa senza sentimenti il suo servo: resta l’indiscussa padrona della sua vita, ma scalza, la testa e il cuore svuotati. Al sicuro, certo, ma spogliata di quel turbamento amoroso che, inatteso, è arrivato a stravolgere la vita e i piani. Rinuncia, Mirandolina. Si sposa cinicamente, con il commento più feroce che mai abbia accompagnato una brulla cerimonia: “Anche questa è fatta”. E tutti vissero infelici e scontenti».

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