Buio in sala Quella narrata da Daniele Luchetti è una storia in cui non ci si può schierare, perché le relazioni umane sono come i continenti alla deriva: si cambia, ed il continuo divenire può comportare anche il declino di quelle qualità che negli altri si pensavano costanti
Scelto come film d’apertura della 77a mostra del cinema di Venezia, dove è stato presentato fuori concorso, Lacci di Daniele Luchetti, tratto dall’omonimo libro di Domenico Starnone che ne ha curato la sceneggiatura insieme a Francesco Piccolo ed allo stesso Lucchetti, è il ritratto spietato di una coppia davanti alle cose che non vanno come dovrebbero andare. I luoghi e i momenti si mescolano nella storia di Aldo e Vanda (Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher), giovanissima coppia di coniugi con due bambini piccoli: la classica famigliola modello anni 70, quando si contava che la vita coniugale fosse l’approdo naturale di una felice storia sentimentale. Ed invece, il punto d’arrivo (il matrimonio) si rivela come l’origine di un ingranaggio farraginoso in cui i protagonisti, ognuno a suo modo, vengono stritolati dallo stare insieme. Il miraggio d’amore sparisce ed ancora lontano è il pensiero dei benèfici effetti del divorzio.
Aldo, uomo narcisista che lavora in RAI, perde la testa per la giovane ed avvenente collega Lidia (Linda Caridi) e non esita a confessare alla moglie di essersi innamorato. Chiaramente la coppia si sgretola, ed i bambini assistono immobili al triste spettacolo dei genitori infelici.
Nel film la storia va a spasso nel tempo, ed Aldo e Vanda prendono ora le sembianze di Silvio Orlando e Laura Morante .
Nel progressivo ma inevitabile passaggio dall’amore al dis-amore viene passato in rassegna tutto lo spettro dei sentimenti che agitano i componenti della famiglia: le incertezze, i ripensamenti, le sceneggiate per strada, la falsa remissività di Aldo che aizza l’impulsività di Vanda e rivendica l’amore del marito, utilizzando i bambini come strumento di offesa e difesa. Alla superflua e vana convinzione che «se c’è qualcosa da recuperare, la recuperiamo», segue il risultato di un’instabile equilibrio che penalizzerà per sempre i figli (Giovanna Mezzogiorno ed Adriano Giannini) a cui è stata sottratta l’infanzia e che, ormai diventati adulti, impersonano perfettamente il cinismo di chi è, e rimarrà per sempre, vittima del suo passato.
In realtà, come dice lo stesso regista, non ci si può schierare da una parte o dall’altra in questa storia, perché le relazioni umane sono come i continenti alla deriva: si cambia, ed il continuo divenire può comportare anche il declino di quelle qualità che negli altri si pensavano costanti. Come recita Silvio Orlando nei panni di Aldo anziano “Per stare insieme bisogna parlare poco, è indispensabile. Tacere sì, tanto”. Ma mentre negli anziani l’atteggiamento è quello di nascondere gelosamente i propri pensieri nella testa, o il proprio vissuto in foto hard nascoste in un cubo che magico non è, nei giovani, per fortuna, l’eco della “famiglia”, coercitivo contenitore vuoto d’amore, rimbomba cupa, ed alla fine esplode dando la stura al rancore trattenuto per troppo tempo. Nel finale del film, ma non della storia, il liberatorio ridurre tutto quanto resta in frammenti, e l’accendere un nuovo e definitivo innesco alla vendetta, mentre sullo sfondo passano allegre le note di “Lasciati Baciare col Letkiss” .
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