Teatro e opera Inzia l'11 ottobre con l'evento speciale "La principessa di Lampedusa" di Ruggero Cappuccio, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco, la nuova stagione del Biondo di Palermo, la prima firmata dal direttore Valerio Santoro, un invito a vivere il teatro come specchio del mondo. Tra classici e nuove scritture, trentaquattro spettacoli distribuiti tra la Sala Grande e la Sala Strehler, di cui tredici tra produzioni e coproduzioni, otto prime nazionali
Trentaquattro spettacoli distribuiti tra Sala Grande (19) e Sala Strehler (15), di cui tredici tra produzioni e coproduzioni, otto prime nazionali. Sono questi i numeri della nuova stagione del Teatro Biondo di Palermo intitolata Storie che si riflettono, la prima firmata dal direttore Valerio Santoro, che si è insediato il primo gennaio di quest’anno. La stagione, che sarà illustrata da Santoro alla città il 14 maggio alle 17.30 nella Sala Grande del Teatro, è stata presentata stamattina un un’affollata conferenza stampa alla quale hanno preso parte Giovanni Puglisi, presidente del Teatro Biondo, Maria Concetta Antinoro, dirigente generale del Dipartimento del Turismo, dello sport e dello spettacolo della Regione Siciliana, Fabrizio Ferrara, presidente della Commissione cultura della Regione, Giampiero Cannella, vicesindaco di Palermo e Assessore alla Cultura del Comune, il Sovrintendente della Fondazione Teatro Massimo Marco Betta e diversi artisti in cartellone.
La campagna abbonamenti partirà già il 9 maggio con la grande novità dell’abbonamento “Duetto”, che comprende spettacoli di lirica e prosa, grazie alla collaborazione con la Fondazione Teatro Massimo. «Storie che si riflettono – ha spiegato il direttore Valerio Santoro – è l’invito aperto a tutti, a riconoscersi nelle emozioni, nei conflitti e nei sogni raccontati in scena. Una stagione che ho pensato per un pubblico eterogeneo, che intreccia grandi autori classici e nuove drammaturgie, in un dialogo vivo tra passato e presente. Il mio obiettivo è rendere la cultura accessibile a tutti e tutte, abbattendo qualunque barriera per portare il teatro a chiunque. Al centro di tutto ci sono i testi e l’attore, cuore pulsante dell’esperienza teatrale. Ogni spettacolo sarà un’occasione per riflettere, per sentirsi parte di qualcosa, per riconoscersi in storie che parlano di noi. Il Teatro Biondo vuole essere casa, specchio, spazio vivo».

Un momento della conferenza stampa di presentazione della stagione 2025-2026 del Teatro Biondo di Palermo
«Il teatro è lo specchio del mondo – ha detto il presidente dell’Associazione Teatro Biondo Giovanni Puglisi –, uno specchio che nell’accezione aristotelica ha la funzione catartica di purificare la nostra coscienza, mitigare le nostre paure, lenire le sofferenze. Per questo oggi il teatro è necessario più che mai, in un mondo che appare minaccioso e “fuori di sesto”, per usare una appropriata espressione shakespeariana. La nuova stagione del Teatro Biondo è un invito a specchiarvi nelle commedie e nei drammi che abbiamo scelto per voi, tanto per riconoscerci come componenti di una comunità, quanto per trovare strumenti di comprensione e rigenerazione in questi tempi difficili. Palermo, la città tutta porto, tutto accoglie e tutto trasforma, proprio come la dinamica teatrale, che si agita tra la vita e la scena, spazio infinito di un naufragio tanto simbolico, quanto salvifico».
Si comincia l’11 ottobre con un evento speciale: “La principessa di Lampedusa” di Ruggero Cappuccio, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco, con le musiche di Marco Betta e Ivo Parlati; uno spettacolo che restituisce la modernità e il coraggio di una donna carismatica come Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, madre di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore de Il Gattopardo. Lo spettacolo è un primo tassello di un progetto sul celebre romanzo e le sue eredità culturali e artistiche, che si svilupperà nell’arco di un triennio.

Valerio Santoro, direttore del Teatro Biondo di Palermo
Tra i protagonisti in cartellone: Ettore Bassi, Franco Branciaroli, Roberta Caronia, Ennio Coltorti, Giuliana De Sio, Federica Di Martino, Michele Di Mauro, Claudio Di Palma, Filippo Dini, Davide Enia, Enrico Ianniello, Gabriele Lavia, Luca Lazzareschi, Rosario Lisma, Filippo Luna, Nello Mascia, Peppino Mazzotta, Francesco Montanari, Antonella Morea, Maria Paiato, Graziano Piazza, Salvo Piparo, Violane Placido, Tommaso Ragno, Silvio Orlando, Elisabetta Pozzi, Teresa Saponangelo, Toni Servillo, Paolo Triestino, Paolo Valerio. Tra i registi coinvolti: Alfredo Arias, Giovanni Anfuso, Gabriel Calderón, Ruggero Cappuccio, Andrea Chiodi, Emma Dante, Luca De Fusco, Filippo Dini, Adriano Evangelisti, Pietro Giannini, Renato Giordano, Fabiana Iacozzilli, Gabriele Lavia, Davide Livermore, Marcos Morau, Leonardo Petrillo, Cristina Pezzoli (nella ripresa di Andrea Lisco), Pablo Remón, Gabriele Russo, Davide Sacco, Valerio Santoro, Carlo Sciaccaluga, Serena Sinigaglia, Giuseppe Tantillo, Paolo Valerio.
Il programma spazia dai classici – Il lutto si addice ad Elettra e Lungo viaggio verso la notte di Eugene O’Neill, Finale di partita di Samuel Beckett, Il gabbiano di Anton Čechov, Riccardo III e La tempesta di William Shakespeare, Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo, Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, Non si sa come di Luigi Pirandello – ad alcune delle più interessanti e apprezzate esperienze della nuova drammaturgia: Enigma di Hugh Whitemore sulla vita di Alan Turing, Ciarlatani di Pablo Remón, che racconta le vicende di alcuni personaggi legati al mondo del cinema e del teatro, Oltre di Fabiana Iacozzilli sul disastro aereo delle Ande, con attori e marionette ibride a grandezza naturale, Circo Zarathustra di Leonardo Petrillo, nel quale la filosofia di Nietzsche incontra attori, funamboli, clown e acrobati, Il movimentatore di Edoardo Erba, Arle-Chino di Cristina Pezzoli e Shi Yang Shi, Titanic di Davide Sacco, Stand up for Giuda di Petrillo, Argo di Letizia Russo, Poema a fumetti di Dino Buzzati, La traiettoria calante di e con Pietro Giannini, Cortile di donna di Renato Giordano ispirato al teatro di Raffaele Viviani, Letizia va alla guerra di Adriano Evangelisti, Storia di un cinghiale di Teresa Vila, Valeria e Youssef di Angela Dematté, Isidoro di e con Enrico Ianniello, Lady D di Annalisa Favetti e Pino Ammendola, Bianco Giuseppe Tantillo.
La stagione in abbonamento prenderà il via il 18 ottobre con Re Chicchinella di Emma Dante, che conferma il sodalizio del Biondo con una delle maggiori autrici e registe della scena internazionale. Tra le produzioni spicca La rigenerazione di Italo Svevo con la regia di Valerio Santoro e con Nello Mascia e Roberta Caronia nei ruoli principali.
Tra le novità della stagione, l’ospitalità del Centro coreografico Nazionale Aterballetto, che proporrà uno degli spettacoli di danza contemporanea di maggiore successo della scorsa stagione: Notte Morricone di Marcos Morau, dedicato al grande compositore italiano. Morau, con la sua potenza visionaria, ci conduce in uno spazio irreale, che è lo studio di registrazione del musicista ma anche uno spazio mentale delimitato da grandi lavagne ricoperte di spartiti musicali, appunti, disegni, immagini cinematografiche.
La stagione 2025-2026 del Teatro Biondo di Palermo: il programma della Sala Grande
11 ottobre 2025 / La principessa di Lampedusa di Ruggero Cappuccio, diretto e interpretato da Sonia Bergamasco, musiche Marco Betta e Ivo Parlati, scena Paolo Iammarone e Vincenzo Fiorillo, costume Carlo Poggioli, luci Cesare Accetta. Una produzione Teatro Segreto.

Sonia Bergamasco sarà la protagonista de “La principessa di Lampedusa”
Ne La principessa di Lampedusa Ruggero Cappuccio restituisce la modernità e il coraggio di una donna carismatica come Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, madre di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore de Il Gattopardo. Donna risoluta e complessa, Beatrice si staglia fra le macerie di una Palermo ferita dai bombardamenti del maggio ’43, e trova le parole per raccontare in prima persona le passioni, i fallimenti e le follie che muovono un’intera generazione, mentre il presente si sgretola e la guerra imperversa.
«Ruggero Cappuccio – spiega Sonia Bergamasco – mi consegna la trama di un sogno, da mettere in scena come interprete e come regista. Una trama musicale, in cui la voce della protagonista, e le tante voci di chi lei ha amato, detestato, compreso e rifiutato si intrecciano e si inseguono, prendono corpo e spazio. Un teatro delle emozioni e del pensiero. La solitudine essenziale di una donna che, in un presente senza tempo, prende finalmente il suo tempo per raccontarsi e raccontare la storia».
«La principessa – afferma Cappuccio – bella, coltissima, straordinaria pianista, disinvolta nell’uso di tre lingue straniere, si trova di fronte a un’abbagliante rivelazione: il suo trapasso è avvenuto, ma la coscienza è intatta. I fantasmi della sua esistenza tornano a materializzarsi intorno a lei con incarnazioni sensualissime, con disarmante comicità, con mille trame di vite corporee dense di eros, di segreti, di nostalgie. La forza della natura siciliana, la seduzione di oscure energie elleniche, gli dei, il sangue, le guerre e l’anelito alla bellezza, sono il campo magnetico in cui la Principessa, ancora attratta dal fascino dei corpi, apre un duello per raggiungere la liberazione».
dal 18 al 26 ottobre 2025 / Re Chicchinella libero adattamento da Lu cunto de li cunti di Giambattista Basile, testo, regia, elementi scenici e costumi Emma Dante, luci Cristian Zucaro con Angelica Bifano, Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yannick Lomboto, Carmine Maringola, Davide Mazzella, Simone Mazzella, Annamaria Palomba, Stephanie Taillandier, Samuel Salamone, Marta Zollet. Assistente ai costumi Sabrina Vicari, coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma, organizzazione Daniela Gusmano. Una produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa / Atto Unico – Compagnia Sud Costa Occidentale / Teatro di Napoli – Teatro Nazionale / Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale / Carnezzeria / Célestins Théâtre de Lyon / Châteauvallon-Liberté Scène Nationale / Cité du Théâtre – Domaine d’O – Montpellier – Printemps des Comédiens.

Una scena di “Re Chicchinella” con la regia di Emma Dante
Dopo La scortecata e Pupo di zucchero, con Re Chicchinella Emma Dante conclude il progetto con il quale ha attraversato l’immaginifico universo dello scrittore campano Giambattista Basile: un’altra favola per raccontare la profondità dell’animo umano attraverso il gioco e l’ornamento della poesia barocca. Protagonista della vicenda, che come sempre mescola elementi grotteschi, comici e tragici, è un re che, colto da un impellente bisogno corporale, commette il tragico errore di impiegare un animale che crede morto, una gallina, per pulirsi le terga. La pennuta, tutt’altro che defunta, gli si incolla al didietro e risale su per le viscere installandosi nelle interiora del sovrano. L’animale magico, come un verme solitario, divora tutto quello che il poveretto mangia, facendogli espellere uova d’oro. Stremato dalla cosa, il re decide di lasciarsi morire di fame, incontrando l’opposizione di tutta la corte, che non vuole privarsi delle uova d’oro.
dall’8 al 16 novembre 2025 – prima nazionale / Enigma di Hugh Whitemore, regia Giovanni Anfuso con Peppino Mazzotta e cast in via di definizione. Una produzione Teatro Biondo Palermo / Teatro Vittorio Emanuele di Messina / Teatro Menotti Milano.

Peppino Mazzotta, protagonista di “Enigma”
Questa splendida e commovente commedia, che Hugh Whitemore scrisse nel 1986 basandosi sul libro Alan Turing, The Enigma di Andrew Hodges (opera che ha ispirato il film The Imitation Game con Benedict Cumberbatch) mette in scena la storia del grande, e fino a qualche tempo fa semi-sconosciuto, scienziato che ha violato il codice usato dai sommergibilisti tedeschi per le loro comunicazioni in tempo di guerra, così come – qualche anno dopo la guerra – il codice del pudore dell’omofobica società inglese.
Il testo di Whitemore non è tanto un ritratto biografico quanto una coinvolgente riflessione sulla nostra società. L’opera si apre con l’interrogatorio che l’ufficiale Ron Miller commina ad Alan Turing a causa di un furto che quest’ultimo ha denunciato. Tramite domande ben precise, l’ufficiale mette in difficoltà il matematico, che in realtà era stato derubato dal suo compagno, ma essendo l’omosessualità non tollerata dal governo inglese di quegli anni, non vuole rivelare la tutta la verità. Da questo interrogatorio hanno origine diversi flashback della vita di Alan Turing: la sua passione per la matematica fin dai tempi della giovinezza, il periodo a Bletchley al tempo della seconda guerra mondiale, il lavoro finalizzato a decriptare i messaggi codificati, con la macchina Enigma, in possesso dell’esercito tedesco. Il suo ingegno, tuttavia, non è sufficiente a salvarlo dai pregiudizi e dalla giustizia inglese.
dal 18 al 23 novembre 2025 / Ciarlatani testo e regia Pablo Remón, traduzione italiana Davide Carnevali da Los Farsantes con Silvio Orlando e con Francesca Botti, Francesco Brandi, Blu Yoshimi. Scene Roberto Crea, luci Luigi Biondi, costumi Ornella e Marina Campanale, management Vittorio Stasi, direzione generale Maria Laura Rondanini. Una produzione Cardellino S.r.l. / Spoleto Festival dei Due Mondi / Teatro di Roma – Teatro Nazionale.

Silvio Orlando in “Ciarlatani”
Il drammaturgo e regista spagnolo Pablo Remón (Premio Nacional de Literatura Dramàtica e Premio Lope de Vega per il Teatro) porta in scena la sua brillante commedia Ciarlatani affidando al talento di Silvio Orlando il ruolo del protagonista. Ciarlatani racconta la storia di alcuni personaggi legati al mondo del cinema e del teatro. Anna Velasco è un’attrice la cui carriera è in fase di stallo, dopo aver recitato in piccole produzioni di opere classiche, lavora come insegnante di pilates e nei fine settimana fa teatro per bambini. Diego Fontana è un regista di successo di film commerciali che si sta imbarcando nella grande produzione di una serie da girare in tutto il mondo con star internazionali. Un incidente lo porterà ad affrontare una crisi personale e a ripensare la sua carriera. Questi due personaggi sono collegati dalla figura del padre di Anna, Eusebio Velasco, regista di culto degli anni ’80, scomparso e isolato dal mondo.
Il racconto di Anna ha uno stile eminentemente cinematografico, con un narratore che ci guida, e in cui sogno e realtà si confondono; la storia di Diego è un’opera teatrale più classica, rappresentata in spazi più realistici; e infine c’è, a mo’ di pausa o parentesi, una autofiction in cui l’autore dell’opera a cui stiamo assistendo si difende dalle accuse di plagio. Ciarlatani è una commedia in cui quattro attori viaggiano attraverso decine di personaggi, spazi e tempi. Una satira sul mondo del teatro e dell’audiovisivo, ma anche una riflessione sul successo, sul fallimento e sui ruoli che ricopriamo, dentro e fuori la finzione.
dal 13 al 21 dicembre 2025 – prima nazionale / La rigenerazione di Italo Svevo, regia Valerio Santoro con Nello Mascia, Roberta Caronia e cast in via di definizione, scene Luigi Ferrigno, assistente alla regia Nicasio Catanese. Una produzione Teatro Biondo Palermo / Il Rossetti Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

Nello Mascia
La rigenerazione è l’ultimo dei lavori drammaturgici di Italo Svevo, composto tra il 1926 e il 1927. Come tutti i grandi classici della letteratura e del teatro, è un testo che tratta temi universali e sempre urgenti. Svevo si esprime sulla grande questione di tutti i tempi: come affrontare la vecchiaia e la decadenza fisica? È legittimo desiderare di ringiovanire? Scendere a patti di faustiana memoria con il diavolo, consegnandosi alle mani dei medici e dei loro esperimenti? O non è forse più saggio accettare che la vita faccia il proprio corso, accogliendo con naturalezza i mutamenti del nostro fisico e della nostra mente?
Il protagonista della commedia, Giovanni Chierici, è un uomo segnato da profonde fragilità ma capace di destreggiarsi nel magma della vita, che nel suo caso è un intreccio di feroce comicità e drammatica ironia. La collaborazione tra i Teatri Stabili di Palermo e del Friuli Venezia Giulia, patria di Svevo, rende omaggio a uno scrittore che ha lasciato il segno in tutta Europa, influenzando da oltre un secolo la letteratura contemporanea. «Svevo – spiega Santoro – è un maestro nel delineare le crisi e le nevrosi dell’uomo moderno, complice anche il tessuto culturale dei suoi tempi, la nascita della psicoanalisi e i fermenti sociali dell’epoca. L’“eroe” sveviano è l’uomo con le sue fragilità e le sue inettitudini di fronte alle vicende della vita. Ne La rigenerazione abbiamo un protagonista, interpretato da Nello Mascia, ormai avanti con gli anni che vuole sottoporsi ad una “moderna” operazione che gli consenta di ringiovanire. Da qui nasce il senso del comico e del tragico di cui è permeato tutto il testo».

Roberta Caronia
dal 7 all’11 gennaio 2026 / Il lutto si addice ad Elettra di Eugene O’Neill, traduzione e adattamento Margherita Rubino, regia Davide Livermore con Tommaso Ragno, Elisabetta Pozzi, Linda Gennari, Aldo Ottobrino. Scene Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi, costumi Gianluca Falaschi, luci Aldo Mantovani. Una produzione Teatro Nazionale di Genova / CTB Centro Teatrale Bresciano.
Davide Livermore, foto Eugenio Pini
Un affascinante e inquietante viaggio tra mito e moderna psicanalisi, tra dramma borghese e tragedia classica. Scritto da Eugene O’Neill nel 1931, questo capolavoro della drammaturgia del Novecento, nel quale si riverbera in chiave moderna l’epopea degli Atridi narrata da Eschilo nell’Orestea, torna in scena con l’immaginifica regia di Davide Livermore. In uno spazio scenico suggestivo, che è specchio distorto della mente umana, lo spettacolo fa emergere tutte le tensioni e le contraddizioni di personaggi-mito, incarnazioni tragiche che rispecchiano inquietudini eterne. «O’Neill – spiega Margherita Rubino, che firma la nuova traduzione e l’adattamento del testo – volle ancorarsi all’atto fondativo dello spettacolo occidentale per stabilire una nuova civiltà teatrale. Scritto nel linguaggio lineare e diretto della letteratura angloamericana, il dramma corre via incatenando lo spettatore grazie a un plot serrato, a una continuità di tensione e a una profondità del sentire e dell’agire dei personaggi. Modernissimi sono l’andamento e il dialogo, del tutto contemporanea la psiche contorta dei cinque protagonisti, calamitante come un noir che non da respiro».
Lo spettacolo è anche un omaggio al celebre allestimento diretto da Luca Ronconi nel 1997, nel quale Elisabetta Pozzi interpretava il ruolo di Lavinia, corrispettivo di Elettra nell’Orestea. Oggi Livermore affida alla grande attrice genovese il ruolo di Christine Mannon, ovvero Clitennestra. Ad interpretare Ezra Mannon/Agamennone troviamo Tommaso Ragno, Linda Gennari è Lavinia, mentre Aldo Ottobrino interpreta Adam Brant/Egisto, amante di Christine.
dal 13 al 18 gennaio 2026 / Finale di partita di Samuel Beckett, traduzione Carlo Fruttero, regia Gabriele Russo con Michele Di Mauro, Alessio Piazza, Giuseppe Sartori, Anna Rita Vitolo. Scene Roberto Crea, costumi Giuseppe Avallone, disegno luci Roberto Crea e Giuseppe Di Lorenzo. Una produzione Teatro Biondo Palermo / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.

Gabriele Russo
Finale di partita, uno dei testi più rappresentativi di Samuel Beckett e di tutto il teatro novecentesco, torna in scena in un’originale chiave di lettura offerta dal regista Gabriele Russo. Hamm, Clov, i genitori rinchiusi dentro due bidoni della spazzatura, sono per Russo i membri di una famiglia dei nostri giorni, confinata in un asfittico bunker casalingo a causa della pandemia. «Da Sofocle al teatro contemporaneo, la famiglia resta il luogo della frattura, della lotta, del non detto e del soffocamento – spiega Gabriele Russo – Per affrontare un testo sacro come questo parto proprio da lì, cercando di allontanarmi dai confini teorici più consueti del testo, quelli legati alla filosofia dell’assurdo e all’immaginario distopico o post-atomico, tipici delle letture del secolo scorso, per calarlo in una dimensione più concreta, più prossima a noi. Il cuore del dramma beckettiano resta lo stesso: una famiglia chiusa in un eterno gioco al massacro. Ma oggi, dopo il trauma collettivo della pandemia, il senso di questa segregazione assume nuove sfumature. In quel periodo ci siamo trovati tutti, in un modo o in un altro, di fronte alla fragilità dei legami interpersonali, e in modo ancora più devastante, di quelli familiari. La paura del futuro ha finito per erodere il presente, rendendolo uniforme, anestetizzato. La comunicazione mediatica ha scandito e regolato le nostre giornate, riducendo la casa a un bunker esistenziale. Quella che è stata definita “la peste del 2000” ha lasciato dietro di se piccole o grandi distruzioni, fratture su cui oggi possiamo iniziare a riflettere. A distanza di qualche anno, forse possiamo provare a farne buon uso».
dal 20 al 25 gennaio 2026 / Oltre. Come 16+29 persone hanno attraversato il disastro delle Ande ideazione e regia Fabiana Iacozzilli con Andrei Balan, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Giselda Ranieri, Evelina Rosselli, Isacco Venturini, Simone Zambelli. Dramaturgia Linda Dalisi, scene Paola Villani, musiche e suono Franco Visioli, luci Raffaella Vitiello, cura dell’animazione Michela Aiello, aiuto regia Cesare Del Beato. Una produzione Teatro Stabile dell’Umbria in coproduzione con Cranpi / La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello con il sostegno e debutto nazionale Romaeuropa Festival, con il sostegno del Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale / Teatro Biblioteca Quarticciolo e con il contributo dell’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo.

Fabiana Iaccozzilli
Il 13 ottobre 1972 il volo 571 dell’Aeronautica militare uruguaiana si schiantò sulle Ande con quarantacinque persone a bordo. L’aereo trasportava i membri di una squadra di rugby insieme ad alcuni amici e familiari. La rotta era da Montevideo, in Uruguay, a Santiago, in Cile. Allo schianto sopravvissero in ventinove e dopo settantadue giorni solo sedici di loro furono salvati dai soccorsi. I corpi dei cadaveri furono utilizzati dai sopravvissuti per nutrirsi e continuare a vivere.
Fin dove siamo pronti a spingerci pur di sopravvivere? Come i miei muscoli, il mio cuore, le mie ossa e le mie viscere possono partecipare al progetto di sopravvivenza di altri esseri umani e diventare così l’energia, i muscoli e il sangue che li conducono verso la salvezza? Possiamo rinascere nel corpo di un altro? Da queste domande prende le mosse il progetto teatrale di Fabiana Iacozzilli, che racconta uno dei più impressionanti disastri aerei della storia – al quale sono stati dedicati libri, film e narrazioni diverse – con lo scopo di esplorare i comportamenti e la natura umana in una prospettiva filosofica e spirituale, che non si appiattisce sul dato storico e sull’eccezionalità dell’evento: «Il nostro – spiega la regista – vuole essere un progetto sulla rinascita e sulla trasformazione più che sulla catastrofe». L’aspetto performativo del teatro di Icozzilli si arricchisce, in questo nuovo progetto, di marionette ibride a grandezza naturale progettate da Paola Villani e manovrate a vista.
dal 28 gennaio all’1 febbraio 2026 / Tre modi per non morire: Baudelaire, Dante, i Greci di Giuseppe Montesano con Toni Servillo, luci Claudio De Pace. Una produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

Toni Servillo
Tre modi per non morire è un viaggio teatrale à rebours di Toni Servillo, che attraversa tre momenti in cui i poeti ci hanno insegnato a cercare la vita. Scritto da Giuseppe Montesano, il testo individua nel maudit Charles Baudelaire, nel sommo Dante e nei classici greci gli autori che hanno messo in pratica, e tuttora ci insegnano, l’arte di non morire. La serata si apre con la dissertazione Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte? dove si racconta come la bellezza combatta la depressione e l’ingiustizia; prosegue con Le voci di Dante, dove alcuni celebri personaggi della Commedia ci appaiono legati tra loro da un racconto che li illumina a partire dal presente; approda infine a Il fuoco sapiente dei Greci, dove poesia e filosofia accendono una visione capace di immaginare il futuro.
Tre modi per non morire è un viatico per ritrovare le parole che nutrono la nostra interiorità, interpretate da un attore con tutto il suo corpo e la sua anima. In questi tempi oscuri, incerti e gravosi, nei quali siamo tutti inquieti, impoveriti, spaventati, sentiamo che ci manca qualcosa di cui avremmo un disperato bisogno: ci manca l’amore, ci manca la vita. Ma è grazie alla poesia che possiamo ritrovare la forza e la voglia di vivere.
dal 4 all’8 febbraio 2026 / Il gabbiano di Anton Čechov, traduzione Danilo Macrì, regia Filippo Dini con Giuliana De Sio, Filippo Dini e cast in via di definizione. Scene Laura Benzi, costumi Alessio Rosati, luci Pasquale Mari, musiche Massimo Cordovani. Una produzione TSV – Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Bolzano / Teatro di Napoli – Teatro Nazionale.

Filippo Dini, foto di Luigi De Palma
La storia de Il gabbiano è molto nota: un gruppo di persone collegate tra loro da vincoli di parentela e non, si riuniscono in una casa di campagna in riva a un lago e qui dibattono nel tentativo di fuggire al grigiore del loro destino. Tra le diverse storie che si intersecano, emerge con prepotenza la vicenda di un giovane ragazzo che desidera risollevarsi da quel grigiore attraverso l’arte della scrittura, sostenuto e infiammato dall’amore per una sua coetanea, che sogna di diventare un’attrice, e impegnato ad opporsi con veemenza e passione alla madre, una famosa attrice, fidanzata con un importante scrittore assai più giovane di lei.
Filippo Dini propone un nuovo allestimento del celebre dramma di Čechov trovando sorprendenti assonanze con l’epoca di crisi che stiamo vivendo: «L’immortalità di questo testo e la sua bruciante contemporaneità sta proprio nella descrizione di una «umanità alla fine – afferma il regista –, una società sull’orlo del baratro che avverte l’arrivo di un’apocalisse; di lì a vent’anni, infatti, ci sarà la Rivoluzione, e anch’essa sarà causa o effetto (a seconda dei casi) di tante rivoluzioni in Europa. Tutta la drammaturgia di Čechov racconta una fine imminente, i suoi personaggi sono un popolo di ombre che tentano di resistere con tutte le loro forze alla malinconia, alla tristezza, al rammollimento cerebrale, lottano, si scontrano, cercando di non soccombere. Le somiglianze con la nostra epoca sono straordinarie e sconfortanti, come se il nostro Anton ci guardasse da lontano con quel sorriso e quell’ironia che gli sono certamente congeniali, nell’attesa che anche la nostra società, il nostro mondo, il nostro folle modo di condurre le nostre esistenze, arrivi all’esplosione».
dal 14 al 22 febbraio 2026 / Riccardo III di William Shakespeare, riduzione e adattamento Angela Dematté, regia Andrea Chiodi con Maria Paiato e con Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti, Ludovica D’Auria, Giovanna Di Rauso, Giovanni Franzoni, Igor Horvat, Emiliano Masala, Cristiano Moioli, Riccardo Bocci, Lorenzo Vio, Carlotta Viscovo. Scene Guido Buganza, costumi Ilaria Ariemme, musiche Daniele D’Angelo, assistente alla regia Francesco Biagetti. Una produzione Centro Teatrale Bresciano / Teatro Nazionale di Genova /Teatro Biondo Palermo / Teatro di Roma.

Maria Paiato, foto Giacomo Brini
Tutto il talento e la straordinaria forza di Maria Paiato incontrano Riccardo III di Shakespeare. Un progetto fortemente voluto dall’attrice, che prende vita grazie all’intesa con il regista Andrea Chiodi. Nei panni di Re Riccardo – l’usurpatore, il genio cattivo, l’uomo politico crudele, machiavellico, più volte preso di mira dal teatro elisabettiano – Paiato punta a restituire uno Shakespeare sorprendentemente fedele all’originale.
«Ora l’inverno del nostro scontento è diventato gloriosa estate sotto questo sole di York»: è così che si apre la tragedia che racconta l’ascesa al trono e la repentina caduta del malvagio Riccardo, duca di Gloucester. È l’ultima delle quattro opere della tetralogia minore di Shakespeare e conclude il drammatico racconto della storia inglese iniziato con Enrico IV. Il Bardo la scrisse intorno al 1592, drammatizzando gli eventi storici avvenuti circa un secolo prima quando in Inghilterra, al termine della Guerra delle due rose, il potere dei Plantageneti fu sostituito dalla dinastia Tudor, eventi drammatici culminanti con la sconfitta di Riccardo nella battaglia di Bosworth Field nel 1485. Al centro dell’opera sta la figura di Riccardo, il cui fisico deforme racchiude un’indomabile forza negativa, ma la sua fedeltà al proprio destino suscita, nonostante la crudeltà del personaggio, un innegabile fascino.
dal 24 febbraio all’1 marzo 2026 / La tempesta di William Shakespeare, regia Alfredo Arias, scene Giovanni Licheri e Alida Cappellini, costumi Daniele Gelsi, luci Gaetano La Mela con Graziano Piazza, Guia Jelo, e Federico Fiorenza, Fabrizio Indagati, Franco Mirabella, Marcello Montalto, Luigi Nicotra, Lorenzo Parrotto, Alessandro Romano, Rita Fuoco Salonia, Rosaria Salvatico. Una produzione Teatro Stabile di Catania / Marche Teatro / Tieffe Teatro / TPE Teatro Piemonte Europa, in collaborazione con Estate Teatrale Veronese.

Graziano Piazza
Il regista argentino Alfredo Arias torna a dirigere La tempesta di Shakespeare, che aveva rappresentato nell’ambito del Festival di Avignone del 1986. La tempesta è tra le opere più complesse e ricche di simbolismi del grande autore inglese: sull’isola-palcoscenico il regista realizza un allestimento poetico e originale, capace di coinvolgere il pubblico facendolo immergere nel suo mondo costruito con un linguaggio poetico universalmente riconoscibile.
Protagonista dello spettacolo è Graziano Piazza, che interpreta il ruolo del mago Prospero, legittimo duca di Milano, destituito da suo fratello Antonio con l’aiuto di Alonso, re di Napoli, e abbandonato in mare con la figlia Miranda. Dopo dodici lunghi anni di esilio su un’isola, con l’aiuto di Ariel, spirito dell’aria, Prospero scatena una tempesta per far naufragare la nave che trasporta il fratello Antonio, Alonzo e i suoi sodali. Prospero, al pari di un abile regista, orchestra vari episodi che porteranno i suoi avversari a vivere intrighi e tradimenti. Con la sua saggezza e con la magia, Prospero smaschererà la vera natura dei traditori e li perdonerà. L’isola diventa così il teatro incantato nel quale Prospero ci mostra il sentiero tortuoso da percorrere per giungere al perdono.
dal 3 all’8 marzo 2026 / Lungo viaggio verso la notte di Eugene O’Neill, traduzione Bruno Fonzi, adattamento Chiara De Marchi, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino e con Jacopo Venturiero, Ian Gualdani, Beatrice Ceccherini. Regia Gabriele Lavia, scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, musiche Andrea Nicolini, luci Giuseppe Filipponio, suono Riccardo Benassi. Una produzione Effimera S.r.l. / Fondazione Teatro della Toscana.

Gabriele Lavia
Un attore famoso ma ormai in declino, una moglie vittima della dipendenza da oppiacei, due figli in lotta con i propri demoni: Gabriele Lavia e Federica Di Martino si immergono nella dolorosa intimità della famiglia Tyrone, protagonista del più autobiografico dramma di Eugene O’Neill. Lungo viaggio verso la notte è il capolavoro del drammaturgo statunitense. Scritto tra il 1941 e il 1942, fu rappresentato per la prima volta a Stoccolma nel 1956 e vinse il Premio Pulitzer l’anno successivo, dopo la morte dell’autore. Sidney Lumet ne diresse il primo adattamento cinematografico nel 1962, con Katharine Hepburn e Ralph Richardson.
Ambientato nel 1912, il dramma, potente e struggente, racconta una giornata della famiglia Tyrone, tra conflitti, dipendenze e segreti dolorosi. Gabriele Lavia e Federica Di Martino portano in scena questa opera-confessione, “un viaggio all’indietro” nella vita di O’Neill, precipizio impietoso nell’amarezza di un fallimento senza riscatto. «Le vite degli uomini – scrive Lavia nelle note di regia – sono fatte di tenerezza e violenza, di amore e disprezzo, comprensione e rigetto, di famiglia e della sua rovina».
dal 10 al 15 marzo 2026 / Notte Morricone regia e coreografia Marcos Morau, musiche Enni Morricone, direzione e adattamento musicale a cura di Maurizio Billi, sound design Alex Röser Vatiché, Ben Meerwein, danzatori Ana Patrícia Alves Tavares, Elias Boersma, Estelle Bovay, Emiliana Campo, Albert Carol Perdiguer, Luigi Civitarese, Leonardo Farina, Matteo Fiorani, Matteo Fogli, Arianna Ganassi, Arianna Kob, Gador Lago Benito, Federica Lamonaca, Giovanni Leone, Gaia Mentoglio, Nolan Millioud. Assistenti alla coreografia Shay Partush, Marina Rodriguez, testi Carmina S. Belda, set e luci Marc Salicrú, costumi Silvia Delagneau. Una produzione Fondazione Nazionale della Danza – Aterballetto, una coproduzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, coproduzioni Macerata Opera Festival / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Fondazione I Teatri di Reggio Emilia / Centro Servizi Culturali Santa Chiara Trento / Centro Teatrale Bresciano / Ravenna Festival – Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.

Una scena di “Notte Morricone”
Il Centro Coreografico Nazionale Aterballetto omaggia Ennio Morricone con una nuova produzione firmata dal coreografo e regista spagnolo Marcos Morau, tra gli artisti più apprezzati e ricercati del panorama internazionale. Notte Morricone è un emozionante viaggio nell’universo del maestro, attraverso la danza, la musica e il cinema. Morau, con la sua potenza visionaria, ci conduce in uno spazio irreale, che è lo studio di registrazione del musicista ma anche uno spazio mentale delimitato da grandi lavagne ricoperte di spartiti musicali, appunti, disegni. Qui l’anziano Morricone crea le sue opere mentre ripercorre la propria vita costellata di successi, di passioni come quella degli scacchi e di svolte inattese, come quando abbandona il sogno adolescenziale di voler da fare il medico. In questo spazio metafisico gli fanno visita personaggi che sembrano suoi alter ego, viene trascinato in danze festose o malinconiche, dirige un’orchestra di danzatori, dialoga con un pupazzo che ha le sue sembianze e che a un certo punto si moltiplica in tanti pistoleri. Nell’arco di una notte, lo studio del maestro si riempirà di visitatori, di immagini e di suoni, che affiorano dal nostro stesso immaginario. Dice il regista: «Di formazione classica e vocazione avanguardistica, Morricone è sempre stato al di là delle tendenze del momento. La sua musica appartiene ad un intero secolo e ha fatto rivivere molti dei nostri grandi maestri e per questa serata vorrei costruire un universo basato sulla sua sensibilità per confermare che la sua eredità è ancora più viva che mai e che, come direbbe lui stesso, la mia musica ha una vita propria, che può vivere lontano dai film per cui è stata creata».
dal 21 al 29 marzo 2026 / Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo, regia Luca De Fusco con Teresa Saponangelo, Claudio Di Palma e con Alessandro Balletta, Francesco Biscione, Paolo Cresta, Alessandra Pacifico Griffini, Paolo Serra, Mersila Sokoli e cast in via di definizione. Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, luci Gigi Saccomandi, aiuto regia Lucia Rocco. Una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Teatro Biondo Palermo / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Stabile di Bolzano.

Teresa Saponangelo
La commedia Sabato, domenica e lunedì, scritta da Eduardo De Filippo nel 1959, benché non venga rappresentata in Italia da quasi venticinque anni, risulta di grande attualità, perché descrive la crisi di una famiglia, la difficoltà di ricomporre una convivenza logorata e allo stesso tempo il desiderio di riuscirci. Il racconto è incentrato su una tradizionale domenica napoletana. Peppino Priore e la moglie Rosa aprono le porte della propria casa a nonni, figli, nipoti, amici e vicini per ritrovarsi tutti insieme intorno alla tavola imbandita per il pranzo domenicale. Ma in questo clima di apparente convivialità basta poco per far esplodere le incomprensioni. In questo caso, la troppa attenzione del ragioniere Ianniello verso la padrona di casa fa esplodere la gelosia di Peppino. Il pranzo è rovinato, il litigio diventa corale e la commedia si trasforma in una tragicommedia.

Claudio Di Palma
«Dei massimi capolavori del Teatro di Eduardo – spiega il regista Luca De Fusco – Sabato, domenica e lunedì è il testo più borghese, quasi cechoviano; la sua conclusione lieta sembra la meno agrodolce, la più sinceramente solare. L’autore dice che anticipa il tema del divorzio, ma a me non sembra. Talvolta l’opera acquista un valore autonomo dalle intenzioni del creatore. Io penso invece che la lieta riconciliazione di Rosa e Peppino ci commuova oggi forse più di ieri perché evidenzia la capacità di questa grande famiglia di comporre i conflitti. Rileggendo questo capolavoro ci viene da rimpiangere più l’equilibrio perduto che l’anticipazione dei futuri conflitti. Ed emerge forse il rimpianto di Eduardo per una famiglia “normale”, da lui mai avuta».
dall’11 al 19 aprile 2026 – prima nazionale / Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, regia Carlo Sciaccaluga con Luca Lazzareschi e cast in via di definizione. Una produzione Teatro Biondo Palermo.

Luca Lazzareschi
Quando, nel 1949, Morte di un commesso viaggiatore debuttò a Broadway, l’America era immersa in quel paradossale slancio ottimistico del dopoguerra: ricostruzione materiale, boom economico, fiducia cieca nella promessa di un’ascesa sociale illimitata. Ma Arthur Miller seppe cogliere fin da subito il volto oscuro di quel mito: la brutalità nascosta sotto la superficie del successo, la solitudine di chi misura il proprio valore sul metro della competizione, la disperazione di chi non può permettersi il fallimento. Oggi, l’opera di Miller non è una reliquia di un’altra epoca, ma lo specchio vivo delle nostre inquietudini contemporanee. In un mondo in cui il capitalismo è diventato non soltanto un sistema economico, ma una forma di vita interiore, Morte di un commesso viaggiatore non parla più soltanto dell’America, ma dell’intera umanità globalizzata.
La regia di Carlo Sciaccaluga si muove dentro questo orizzonte: è uno scavo doloroso nel nostro presente. Il Willy Loman di Luca Lazzareschi non è un relitto: è il nostro contemporaneo. È l’uomo che cerca ancora, ostinatamente, di esistere in un mondo che non conosce più il valore dell’errore, della lentezza, della fragilità. Il grido d’allarme lanciato da Miller più di settant’anni fa è rimasto inascoltato, e ciò che nel 1949 sembrava già intollerabile oggi si è fatto regola, sistema, normalità. Eppure, anche in questo paesaggio di fratture, resta qualcosa. Non una morale, non un significato ultimo, ma la traccia, inconfondibile, di un legame. Di un amore che resiste, di una voce che chiama, di uno sguardo che, pur nel fallimento, cerca l’altro.
dal 25 aprile al 3 maggio 2026 – prima nazionale / Circo Zarathustra scritto e diretto da Leonardo Petrillo con Ennio Coltorti, Violante Placido e cast in via di definizione. Una produzione Teatro Biondo Palermo.

Ennio Coltorti
Friedrich Nietzsche è stato quel filosofo che, dopo aver profetizzato la degenerazione della società occidentale, ha trascorso gli ultimi anni di vita (undici) in silenzio. Oggi è tornato, “uomo tra gli uomini”, a parlare di morale insieme al suo “grande amore”, Lou von Salomè ed il suo personaggio più famoso, Zarathustra, il primo tra tutti i profeti – islamici, ebrei e cristiani. Attingendo al mare magnum dell’opera di Nietzsche, incrociando i suoi scritti e il suo pensiero, Leonardo Petrillo ha creato un’opera sorprendente, che analizza il pensiero paradossale, a volte estremo e contraddittorio del filosofo più controverso della modernità. Il nichilismo di Nietzsche non è passivo, non è pessimismo, rassegnazione, è attivo, affronta con coraggio, eroicamente, la vita per darle un senso.

Violante Placido
In questa singolare ambientazione immaginata da Petrillo, Zarathustra, il profeta che ha piena consapevolezza che Dio è morto, si assume il compito di annunciare la sua visione al mondo, ma quando inizia a raccontare non viene ascoltato perché nel frattempo è in corso uno spettacolo circense. Il circo è la scena in cui si svolge lo spettacolo. Sei personaggi – attori, funamboli, clown, acrobati – circondano il filosofo che ha concepito il concetto di Eterno ritorno e che è tornato per annunciare le sue profezie, È sceso tra noi, sotto il tendone di un circo, dove anche un pensiero “terribile”, abissale, come l’Eterno ritorno dell’eguale, può essere metabolizzato da chi, e siamo in tanti, si sforza di attivare la volontà di potenza per superare i propri limiti, e divenire Oltreuomo, da chi fa fatica a gestisce quel meraviglioso caos interiore capace di generare una stella danzante.
dal 9 al 17 maggio 2026 / Non si sa come di Luigi Pirandello, regia Paolo Valerio con Franco Branciaroli, Alessandro Albertin, Valentina Violo, Ester Galazzi, Emanuele Fortunati. Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, luci Gigi Saccomandi, movimenti di scena Monica Codena, video Alessandro Papa. Una produzione Teatro Biondo Palermo / Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia / Centro di Produzione Teatro de gli Incamminati / Centro Teatrale Bresciano.

Franco Branciaroli
A 90 anni dal suo debutto, il regista Paolo Valerio sceglie Non si sa come di Luigi Pirandello per proseguire un percorso di ricerca sulla psicologia e sull’animo umani intrapreso con La coscienza di Zeno. Un percorso che si evolve adesso attraverso la scrittura spietata e affascinante di Pirandello, che il regista affida all’interpretazione di un attore raffinato e incisivo come Franco Branciaroli, maestro nel passare dai grandi ruoli di Shakespeare e Goldoni alle lacerazioni morali e psicologiche di questa pièce attualissima e feroce.
In un’ambientazione raffinata, i protagonisti appaiono tutti come irreprensibili rappresentanti della buona società. Eppure, “non si sa come”, l’inesorabile analisi pirandelliana porta alla luce un loro lato spaventosamente irrazionale, popolato da cosiddetti “delitti innocenti”, azioni inconfessate o inconfessabili in cui sull’autocontrollo, sulle ragioni dell’etica, prevale l’istinto brutale. Ecco allora che il protagonista Romeo Daddi, pur amando profondamente sua moglie, la tradisce insieme al suo migliore amico. Il senso di colpa fa riaffiorare in lui il ricordo di un’altra gravissima colpa: un assassinio compiuto da ragazzo e immediatamente rimosso. Un meccanismo psicologico inquietante, che scuote violentemente la coscienza del pubblico di oggi: è eticamente accettabile l’idea che, “non si sa come”, una persona possa essere sopraffatta dal suo “io istintuale” e fuori controllo? Un’indagine, dunque, sulla psicologia umana, sulla capacità di essere spaventosamente irrazionali e incredibilmente fragili, che indurrà il pubblico a profonde riflessioni.
dal 21 al 24 maggio 2026 / Autoritratto di e con Davide Enia, musiche composte ed eseguite da Giulio Barocchieri, luci Paolo Casati, suono Francesco Vitaliti. Una produzione CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia / Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa / Accademia Perduta Romagna Teatri / Spoleto Festival dei Due Mondi con il patrocinio della Fondazione Falcone.

Davide Enia
Nell’anniversario della strage di Capaci, il Teatro Biondo affida alle parole di Davide Enia una dolorosa e allo stesso tempo spietata riflessione sul male e sui rapporti che ci legano ad esso. Partendo dalla cronaca degli anni Ottanta e dalle bombe del ’92, intorno alle quali costruisce una coinvolgente intelaiatura biografica, Davide Enia traccia «un autoritratto intimo e collettivo» di una comunità costretta a convivere con la continua epifania del male: «A Palermo, tutti possediamo una costellazione del lutto in cui le stelle sono persone ammazzate da Cosa Nostra».
«Affrontare per davvero Cosa Nostra – racconta Davide Enia – significa iniziare un processo di autoanalisi. Non volere quindi capire in assoluto la mafia in sé, quanto cercare di comprendere la mafia in me». Intrecciando cunto e parole, corpo e dialetto, «gli strumenti che il vocabolario teatrale ha costruito nella mia Palermo», Enia esplora quella che definisce la nevrosi dei suoi concittadini nei confronti della criminalità organizzata: «Per diverse ragioni, da noi la mafia è stata minimizzata, sottostimata, banalizzata, rimossa o, al contrario, mitizzata. Ovvero: non è mai stata affrontata per quello che è». Lo spettacolo racconta i continui incroci con Cosa nostra: i cadaveri incontrati per strada, i conoscenti uccisi dalla mafia, le bombe, l’apparizione del male, «il sacro nella sua declinazione di tenebra», a cui l’artista risponde con «un lavoro che è una tragedia, un’orazione civile, una interrogazione linguistica, un processo di autoanalisi personale e condiviso. Un autoritratto al contempo intimo e collettivo».
La stagione 2025-2026 della Sala Strehler del Teatro Biondo
dal 22 ottobre al 2 novembre 2025 – prima nazionale / Corifèo Diciassette di e con Salvo Piparo, canto e narrazione Egle Mazzamuto, pianoforti Ornella Cerniglia. Unaproduzione Teatro Biondo Palermo.

Salvo Piparo
Corifeo, banditore del coro, fautore di ogni trama, capo di ogni filo che intesse pensieri che si fanno racconto, è evocatore di anime nomadi promesse ad epiche sorti. Salvo Piparo, nelle vesti di un capocoro visionario, in viaggio sopra imbarcazioni inconsistenti come banchi di nebbia a forma di navi, ritrova il suo porto sicuro attraverso le storie del mito, ognuna di essa scandita dalla tecnica greca del cunto, con crasi fendenti su ogni parola, deviando il ritmo e il pathos incalzante in ogni verso.
Il filo rosso è la morte oltre l’amore, disgraziata e funesta, con il numero diciassette presagio di sventure, che unirà i destini infausti delle più appassionanti storie del mito, da Orfeo ed Euridice a Patroclo ed Achille fino a Tancredi e Clorinda. A queste anime, trainate dal respiro di chi le racconta, si aggiunge il monito a ritrovare la propria via e così la parola diventa evanescente come aria condensata, capace di annebbiare la vista o purificare l’aria.
I sofismi del cunto e le sue colorazioni ironiche legano ogni racconto alla morte dei personaggi, che ritornano a vivere solo a teatro. Il camaleontico Piparo, con il suo originale modus narrandi, ci conduce fin dentro il sentimento più viscerale del teatro di parola. Compagne di ventura, sirene e al contempo erinni, saranno Egle Mazzamuto (canto e voce recitante) e la pianista-performer Ornella Cerniglia, che interpreterà con virtuosismo le sue originali composizioni, trasformando i pianoforti in legni per naufraghi fantasmi, traghettatori in cerca di salvezza.
dal 5 al 16 novembre 2025 / Il movimentatore di Edoardo Erba, regia Paolo Triestino con Paolo Triestino, musiche Natalia Paviolo, luci Alessandro Nigro, scena Francesco Montanaro, costumi Lucrezia Farinella, animazioni Valeriano Spirito. Una produzione Teatro Biondo Palermo.
Movimentare un’opera d’arte è già di per sé un’arte. Bisogna proteggerla, farla viaggiare in totale sicurezza preservandola in ogni modo, è necessario capirne le fragilità, la distribuzione dei pesi e tante altre cose, fino alla temperatura e all’umidità necessarie per il trasporto. Un lavoro senza orari, da svolgere con passione ed infinita pazienza. Protagonista di questa divertente e originale commedia di Edoardo Erba è appunto un movimentatore, che ha il compito di trasportare opere d’arte di grande valore. Grazie a lui vediamo scorrere davanti ai nostri occhi due millenni di storia dell’arte, da Lisippo a Carracci, da Pitocrito a Jan van Kessel il Vecchio, da Michelangelo a Fontana, da Tiziano a Munch. Il movimentatore, con un linguaggio semplice, spiega, racconta, analizza, parla di sé e delle opere con molta genuinità e senza retorica. Come se, prendendosi cura di quei capolavori, sentendone il peso sulle braccia, abbia avuto modo di penetrarne lo spirito più profondo più di qualunque esperto. Mentre il movimentatore parla di opere e artisti, scopriamo che in un certo senso sta parlano di noi, non genericamente, ma proprio di noi qui ed ora. Il movimentatore è un’insolita lezione di storia dell’arte, che ci fa capire quanto l’arte ci riguardi profondamente e in che modo, grazie alla bellezza, possiamo arginare la violenza del quotidiano, per ritrovare l’umanità che attraversa la nostra storia.
dal 19 al 23 novembre 2025 / Arle-Chino. Traduttore-traditore di due padroni di Cristina Pezzoli e Shi Yang Shi, regia Cristina Pezzoli – riallestimento Andrea Lisco con Shi Yang Shi. Scene e costumi Rosanna Monti, clown coach Rosa Masciopinto, produzione Nidodiragno.
Arle-Chino è un clown dagli occhi a mandorla che, a differenza della maschera goldoniana, non è “servitore di due padroni”, bensì “traduttore” e “traditore” di due padroni. Lo spettacolo racconta la storia personale dell’attore Shi Yang Shi, nato a Jinan nel Nord della Cina. Dopo essere arrivato in Italia con la madre all’inizio degli anni ’90, Shi ha svolto diversi lavori – lavapiatti, venditore ambulante di erbe e unguenti cinesi sulle spiagge – prima di iscriversi Bocconi (abbandonata a pochi esami dalla laurea), per poi lavorare come traduttore per ministri, imprenditori e registi. Dopo aver frequentato la scuola Paolo Grassi di Milano, dove ha conosciuto Ferruccio Soleri, lo storico Arlecchino di Strehler, Shi è infine diventato attore di teatro, tv e cinema. Come molti giovani di seconda generazione, conosce poco della storia del suo paese d’origine e altrettanto poco di quello in cui vive. La sua identità è un puzzle di storie e culture diverse. Shi ha dovuto trovare un equilibrio, una sintesi tra due culture. Da qui il suo essere “traditore”, ovvero non fedele a una sola patria. Scritto a quattro mani da Cristina Pezzoli e Shi Yang Shi, Arle-Chino è nato dall’elaborazione di un progetto di integrazione sociale condotto a Prato, dove Shi ha vissuto a lungo, comune con la più alta densità di cittadini cinesi. Lo spettacolo tenta di costruire, con ironia, un ponte simbolico tra tradizioni diverse, alla ricerca di un terreno comune per contrastare gli sterili fondamentalismi culturali.
dal 10 al 21 dicembre 2025 – prima nazionale / Titanic scritto e diretto da Davide Sacco con Rosario Lisma, Filippo Luna e cast in via di definizione. Musiche Davide Cavuti, luci Luigi Della Monica, costumi Luciana Donadio, assistente alla regia Ornella Matranga. Una produzione Teatro Biondo Palermo.

Rosario Lisma
Titanic non è una ricostruzione storica del più famoso naufragio della storia. Il giovane drammaturgo e regista Davide Sacco prende spunto da quel disastro per riflettere, con il linguaggio di una commedia nera, sul potere e le sue dinamiche, e sul naufragio come metafora di una deriva morale, conseguenza di scelte ciniche e opportunistiche. Nelle prime ore del 15 aprile del 1912 a Londra, prima ancora che si diffonda la notizia del naufragio, l’armatore della compagnia responsabile del Titanic e un prete senza scrupoli si incontrano per escogitare un piano che li possa salvare dal crollo finanziario e da un danno d’immagine irreversibile. L’unica soluzione possibile sembra essere quella di vendere l’intera compagnia a un giovane e facoltoso rampollo, noto per la sua goffaggine e il suo animo disincantato.

Filippo Luna
«Ho scelto di ambientare tutto in un’unica mattina, in una stanza, per mettere i personaggi in trappola – l’autore e regista Davide Sacco – Nessuna via di fuga, solo parole, scelte, responsabilità. È lì che emerge il vero volto di ciascuno di questi tre uomini». In un crescendo serrato di dialoghi brillanti, tensione morale e ironia tagliente, il confine tra ingenuità e intelligenza si fa sempre più sfumato. E mentre il giorno avanza, e con esso la verità, solo una cosa è certa: non tutti riusciranno a salvarsi. Una storia sul potere, il senso di colpa, l’eredità e la sorprendente forza di chi viene sempre sottovalutato.
dall’8 al 18 gennaio 2026 – prima nazionale / Stand up for Giuda, scritto e diretto da Leonardo Petrillo con Ettore Bassi. Una produzione Teatro Biondo Palermo in collaborazione con Saba produzione S.r.l.

Ettore Bassi
Nell’immaginario collettivo Giuda Iscariota, uno dei dodici apostoli, è il traditore per eccellenza. Studiandone la storia, cogliendone il profondo simbolismo, però, ha ancora molto da dirci. L’autore e regista Leonardo Petrillo ricostruisce i passaggi fondamentali della vita di Giuda, dall’incontro con Gesù, quell’“amens”, il folle visionario sul quale nutriva molti dubbi, sino al giorno in cui smise di ragionare e seguì l’istinto. La voce del cuore fu premiata quando si convinse che era davvero il figlio di Dio, e lo amò più di tutti gli altri apostoli, arrivando a tradirlo, affinché potesse compiersi il disegno divino.
Ma quando Gesù si lascia crocifiggere, senza ricorrere ai poteri soprannaturali per salvarsi, perdendo l’occasione per dimostrare la sua natura divina; Giuda, realizza che è solo un uomo; il folle che la ragione gli aveva indicato all’inizio. Un mitomane che si è inventato il disegno divino. Se solo Gesù avesse spiegato, senza ricorrere a incomprensibili metafore, il “mistero della resurrezione”, Giuda e gli altri apostoli avrebbero compreso il significato di quella morte, e non si sarebbero smarriti. Con l’“apparizione” il mistero fu svelato agli altri, ma non all’iscariota, che si era già suicidato, distrutto dal rimorso per aver sacrificato inutilmente l’amico. Questo è lo spartiacque tra lui e gli altri. Questa è la versione dei fatti, che ci dà oggi Giuda. Un uomo che, sentendosi ingiustamente discriminato da secoli, si ribella alla “coscienza collettiva” che lo ha fatto diventare “il traditore”, il monito per l’umanità. Ma Giuda non ha perso la speranza, è tornato a dirci che la sua condanna non è eterna; finirà quando, come ci insegna Papa Francesco, «orgoglio, cupidigia e vanità, le radici del male, saranno estirpate e l’uomo non sarà più prigioniero del pregiudizio».
dal 21 al 25 gennaio 2026 / Argo di Letizia Russo, liberamente ispirato al romanzo Storia di Argo di Maria Grazia Ciani, regia Serena Sinigaglia con Ariella Reggio, Maria Ariis, Lucia Limonta, scene Andrea Belli, costumi Valeria Bettella, luci e suono Roberta Faiolo, assistente alla regia Michele Iuculano. Una produzione Il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia / Teatro Stabile di Bolzano.

Serena Sinigaglia, foto di Serena Serrani
Serena Sinigaglia firma la regia dello spettacolo scritto da Letizia Russo e ispirato al romanzo Storia di Argo di Maria Grazia Ciani, racconto autobiografico di un esilio che diventa metafora della vita stessa. La scrittrice e traduttrice ha vissuto da bambina l’esodo istriano del 1947 e racconta quello strappo con delicatezza. «Un argomento storico delicatissimo – dice Sinigaglia – importante e tuttavia ancora poco approfondito, uno di quegli argomenti che appena lo tocchi rischi di sollevare un polverone tra chi quella storia non solo la conosce ma l’ha vissuta, e tutti gli altri, che per lo più non ne sanno nulla e rimangono indifferenti».
A simboleggiare il trauma dell’esilio forzato, lo straziante momento della separazione di Maria Grazia Ciani dal cane York, abbandonato la notte della fuga. York che, come Argo, il cane di Ulisse, ha continuato ad aspettare invano il suo ritorno, fino alla morte. Il fedele animale è simbolo di “casa”, di attesa, di amicizia e di pace.
Dando voce ai silenzi, riscoprendo la Storia, entrando tra le pieghe di quelle vicende Sinigaglia imbastisce un confronto fra generazioni che si svolge nel presente. Il racconto è affidato a tre donne: una nonna (che ha vissuto la vicenda), una madre (che conosce i fatti dalla madre) e una figlia (che non ne sa niente). In maniera intima e umana le tre donne prendono in mano la loro storia familiare per confrontarla la Storia di tutti, di oggi e di domani.
dal 29 gennaio all’1 febbraio 2026 / Poema a fumetti testi e disegni di Dino Buzzati, regia Paolo Valerio con Paolo Valerio e con Sabrina Reale (pianoforte), musiche originali Antonio Di Pofi. Una produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia / Teatro Stabile di Verona.

Paolo Valerio
Poema a fumetti è un delicato omaggio al suo autore Dino Buzzati. L’opera, pubblicata con grande scalpore nel 1969, è divenuta ben presto irreperibile nelle librerie per quanto rappresenti in qualche modo la summa della poetica buzzatiana. Nel rileggere in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice, Buzzati ci parla di se stesso, concentrando in 208 tavole a colori tutti i temi a lui più cari, a partire dall’eterno dialogo tra la vita e la morte.
Con un raffinato gioco di citazioni e autocitazioni, un omaggio ad artisti di ogni epoca, attraverso la contaminazione di generi, le pagine di Poema a fumetti svelano l’intero universo creativo di Dino Buzzati, i suoi riferimenti culturali, le fonti di ispirazione, le suggestioni infantili, gli interessi di adulto, il metodo di lavoro.
Paolo Valerio, nel doppio ruolo di regista e interprete, accompagnato in scena dalle note di un pianoforte, dà voce alle suggestive tavole realizzate da Buzzati e proiettate sulla scena. Il risultato è uno spettacolo raffinato, caratterizzato dall’ibridazione di linguaggi diversi, dalla letteratura al teatro, dalla musica al fumetto.
dal 5 al 7 marzo 2026 / La traiettoria calante di e con Pietro Giannini, consulenza drammaturgica Comitato Parenti Vittime Ponte Morandi, regia Pietro Giannini, visual artist Loredana Antonelli, luci Aldo Mantovani, consulenza artistica Enrica Carini, Dario Manera. Una produzione Teatro Nazionale di Genova
Il 14 agosto 2018 crolla a Genova il Ponte Morandi, la principale arteria del capoluogo ligure, scatenando un effetto domino che investe le persone e le cose. «Ho diciassette anni. Devo andare con mio padre in campagna. Piove a dirotto. Stiamo caricando i bagagli in macchina. Il suono di un tuono lontano ci fa sobbalzare. Una nuvola di polvere, in mezzo alle case, si alza dalla terra per andare ad abbracciare le sue sorelle. Rumore di sirene e antifurti. Il Ponte Morandi si è appena sgretolato. Squilla il telefono. Mia madre dall’altro lato urla. Pensa che si stia solo immaginando la mia voce e che io in realtà sia morto…».
Con queste parole il giovane Pietro Giannini, classe 2000, presenta il suo lavoro in memoria delle 43 vittime di quel drammatico crollo. Un toccante monologo nel quale si intrecciano ricordi personali, interviste, ricostruzione dei fatti, pezzi di una città travolta da quella tragedia ma in grado di affrontarla con la dignità, la coscienza e la forza tipica dei genovesi.
Figura emergente della scena italiana, attore e autore diplomatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, Giannini, da genovese che ha sentito sulla propria pelle l’eco di quella tragedia, sulla scena è unico testimone inerme, un Amleto moderno perseguitato dai fantasmi di chi non c’è più. In una bolla temporale definita dal vuoto, quest’unico superstite cerca di sfuggire al buio del dramma attraverso la testimonianza, qualunque essa sia.
dall’11 al 22 marzo 2026 – prima nazionale / Cortile di donna liberamente ispirato a Raffaele Viviani, scritto e diretto da Renato Giordano con Antonella Morea, musiche eseguite dal vivo da Cristina Vetrone. Una produzione Teatro Biondo Palermo.

Antonella Morea
Cortile di donna è una favola visionaria nella quale sogno e realtà si intrecciano come avviene spesso anche nella vita, impendendoci di distinguere cosa sia frutto dell’immaginazione e cosa sia veritiero. L’autore e regista Renato Giordano sostiene che «viviamo una realtà immaginaria, una verità illusoria, fatta di preconcetti e suggestioni, risultando vittime e carnefici di noi stessi, come la protagonista di questa pièce ispirata a Luisella Viviani, sorella del grande Raffaele, che con la sua forza e la sua debolezza, la caparbietà e la remissività, la fantasia e la pragmaticità, racconta la storia di un grande uomo dal punto di vista di una grande donna».
Il “cortile” di cui parliamo è quello dell’infanzia di Luisella e Raffaele. Li vediamo per strada, li seguiamo con tenerezza lungo il percorso della loro vita. Quante sono le donne vissute da Luisella? Chi sono gli uomini di Raffaele? E perché siamo cosi attratti dal loro modo di essere? Da queste domande nasce il desiderio di portare in scena Cortile di donna, un lavoro sulle parole, sulle suggestioni e sulle sonorità della lingua di Viviani, ambientato nel mondo di oggi ma con radici che affondano in un tempo lontano. Ma è soprattutto un omaggio alle donne, a tutte le incantevoli sfumature di donna. Antonella Morea dà voce a tantissimi personaggi prendendo a prestito le parole, le musiche, i suoni di Viviani. Realtà e fantasia si rincorrono continuamente così come la vita e la morte, rendendo difficile distinguere tra immaginazione e realtà, proprio come nel teatro, dove tutto è finto ma nulla e falso.
dal 25 al 29 marzo 2026 / Letizia va alla guerra. La suora, la sposa e la puttana, ideazione e regia Adriano Evangelisti, drammaturgia Agnese Fallongo con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, coordinamento creativo Raffaele Latagliata, direzione tecnica Valerio Di Tella, produzione Centro di Produzione Gli Incamminati. In collaborazione con ARS Creazione e Spettacolo.
Letizia va alla guerra è un racconto tragicomico, di tenerezza e verità, che ha per protagoniste tre donne del popolo fatalmente travolte dal ciclone della guerra. Un evento tragico e violento che sconvolge il loro quotidiano spingendole a compiere, in nome dell’amore, piccoli grandi atti di coraggio. Tre grandi donne, due guerre mondiali, un sottile fil rouge ad unirle: uno stesso nome, Letizia, un unico destino.
La prima Letizia è una giovane sposa, partita dalla Sicilia per il fronte carnico durante la Prima Guerra Mondiale nella speranza di ritrovare suo marito Michele. La seconda Letizia è un’orfanella cresciuta a Littoria (Latina) dalle suore e riconosciuta dalla zia solo dopo aver raggiunto la maggiore età. La ragazza giungerà a Roma in concomitanza con l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Infine, suor Letizia, un’anziana sorella dalle origini venete e dai modi bruschi che, presi i voti in tarda età, si rivelerà essere il sorprendente trait d’union dei destini di queste donne tanto lontane quanto unite nel destino. Lo spettacolo, interpretato da Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, è un omaggio alle vite preziose di persone “comuni” che, pur senza esserne protagoniste in prima linea, hanno fatto la Storia.
dall’8 al 12 aprile 2026 / Storia di un cinghiale. Qualcosa su Riccardo III liberamente ispirato a Riccardo III di William Shakespeare, traduzione Teresa Vila, scritto e diretto da Gabriel Calderón con Francesco Montanari, scene Paolo Di Benedetto, costumi Gianluca Sbicca, luci Manuel Frenda. Una produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa / Carnezzeria.

Francesco Montanari in “Riserva indiana”
L’autore e regista uruguayano Gabriel Calderón esplora in questo spettacolo i pericoli che derivano dal calcare il palcoscenico, teatro di passioni violente non sempre soltanto simulate.
Partendo dal Riccardo III di Shakespeare, il testo racconta la vicenda di un attore di teatro che non ha mai avuto la soddisfazione di interpretare un ruolo da protagonista. Ora che finalmente è arrivato il suo momento, desidera sfruttare al meglio l’opportunità. A poco a poco, si accorge di un’inquietante affinità tra la sua vita e quella del personaggio: ambizione, rabbia repressa, sete di riscatto, opportunismo… Interpretando il celebre monologo di re Riccardo, ritrova in se stesso i lati oscuri del sovrano di York: un re che per diventare tale ha dovuto eliminare tutti i possibili rivali; un attore che finalmente ha ottenuto il ruolo della vita.
Il regista affida a Francesco Montanari questo intenso monologo che è un’originale variazione sul tema di Riccardo III, in cui i confini tra epoche e identità si fanno labili, sullo sfondo di uno stesso scenario di ambizione, sete di potere, violenza repressa.
dal 15 al 19 aprile 2026 / Valeria e Youssef di Angela Dematté, regia Andrea Chiodi con Mariangela Granelli e Ugo Fiore, scene Guido Buganza, luci Cesare Agoni, costumi Ilaria Ariemme, video Sergio Fabio Ferrari, musiche Daniele D’Angelo, assistente alla regia Elisa Grilli. Una produzione Centro Teatrale Bresciano
Lo spettacolo racconta la storia di Valeria e di suo figlio Youssef, del loro amore incondizionato e della fede nell’Islam. Valeria non è nata musulmana, si è convertita per amore di un uomo, l’ha fatto con convinzione e determinazione, educando i suoi figli a quella fede. L’adesione all’Islam di questa donna è un’evoluzione della sua personale ricerca di senso, di totalità, iniziata ancor prima di sposarsi, ai tempi dell’esperienza del Terzo teatro, movimento di ricerca e studio sul lavoro dell’attore affermatosi nella seconda metà del Novecento intorno al manifesto di Eugenio Barba del 1976. Youssef ora ha vent’anni e anche lui è in cerca della stessa totalità, di una pienezza di significati: ha sete di giustizia sociale e pretende per sé e per il mondo una dimensione sacra.
Madre e figlio si confrontano. Il dialogo tra i due è serrato, i pensieri sono profondi, le domande del giovane sono dense di aspettative che provengono dall’influenza di nuovi maestri: i propagandisti del mondo musulmano radicalizzato.
Al centro dello spettacolo c’è il tentativo di una madre di comprendere e arginare la deriva radicale del figlio. Ma le ragioni della ricerca e del bisogno di senso di un ragazzo di vent’anni, oltre che un’intensa riflessione sulle manipolazioni di un sistema di potere che usa il sacro per affermare se stesso.
dal 24 al 26 aprile 2026 / Isidoro di e con Enrico Ianniello liberamente tratto dal romanzo La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin, regia Pau Miró, disegno luci Lluis Serra, videoproiezione Jordi Homs, responsabile di produzione Meri Notario. Una produzione Teatre Akadémia Barcelona / La Fanfola, Barcelona / Casa del Contemporaneo, Napoli.
Quarantacinque anni dopo il terremoto dell’Irpinia, a dieci anni dall’uscita del fortunato romanzo La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (vincitore dei premi Campiello Opera Prima, Fante Opera Prima, Cuneo Opera Prima, Selezione Bancarella e Selezione Premio Berto) Enrico Ianniello porta in scena la storia prodigiosa del piccolo Isidoro, bambino felice nell’Irpinia degli anni ’70. Grazie alla dote specialissima che lo rende unico, quella capacità di urlafischiare che s’è ritrovato nella gola, Isidoro elabora insieme a Quirino Raggiola – il dolce papà sindacalista e poeta che si chiude in bagno per scrivere lettere d’amore – un fischiabolario necessario ad insegnare una nuova lingua agli ultimi, per difendersi da un mondo prepotente che vuole offenderli. Nutrito dall’intelligenza, la tenerezza e le magnifiche paste della mamma Stella di Mare, Isidoro va in giro per le fiere di paese dell’osso d’Italia nell’estate del 1980 e il miracolo sembra avverarsi, la rivoluzione fischiata di un’umanità libera e felice quasi prende corpo davanti a suoi occhietti da bambino. Arriverà addirittura un antropologo dalla Francia per fare la conoscenza di questo ragazzino fenomenale! Purtroppo, però, quel terribile 23 novembre è alle porte. E con lui se ne andranno definitivamente l’infanzia e la voce del prodigioso Isidoro.
dal 6 al 10 maggio 2026 / Lady D di Annalisa Favetti, Pino Ammendola con la collaborazione di Clelia Ciaramelli, regia Pino Ammendola con Annalisa Favetti, scene Giuseppe Santilli. Una produzione/distribuzione Nicola Canonico per la Good Mood.

Annalisa Favetti in “Lady D”
Nelle prime ore del 31 agosto 1997 la vettura sulla quale viaggiavano la principessa del Galles Diana Spencer e il suo compagno, Dodi Al Fayed, si scontra contro un pilone del Ponte dell’Alma a Parigi; con loro l’autista Henri Paul e la guardia del corpo di Dodi, Trevor Rees-Jones. In quel gomitolo di lamiere fumanti in cui si è ridotta per il forte impatto la Mercedes, Lady D. è ancora viva ma gravemente ferita, il suo cuore cesserà di battere all’alba nonostante i vari tentativi di rianimarla. In Lady D Annalisa Favetti da voce alla “Principessa del popolo” che, in una sorta di delirio pre-morte, comincia a raccontare tutta la sua vita, ripercorrendo le vicende pubbliche note a tutti fino alla scoperta di un mondo più intimo e segreto. Passata alla storia anche come “La principessa triste”, Lady D. ha condiviso con il popolo britannico, e non solo, un caleidoscopio di sentimenti, mostrando di essere dotata di grande sensibilità verso gli ultimi, ai quali si avvicinava con estrema dolcezza e delicatezza, ma anche di grande forza d’animo. Doti indispensabili prima ancora che ad una principessa ad ogni essere umano capace di reggere lo scettro della vita.
dal 13 al 17 maggio 2026 / Bianco testo e regia Giuseppe Tantillo con Valentina Carli e Giuseppe Tantillo, scene Antonio Panzuto, costumi Alessandro Lai, disegno luci Paolo Rodighiero, tecnico luci Gianni De Monaco. Un progetto Bestfriend Teatro, una produzione Binario Vivo Teatro Nuovo / Accademia perduta Romagna teatri / Teatri molisani.

Valentina Carli e Giuseppe Tantillo in “Bianco”
Bianco è la terza opera dell’attore e autore palermitano Giuseppe Tantillo, che nel 2013 ottenne con il suo primo testo teatrale, Best friend, la menzione speciale al prestigioso Premio Riccione per il Teatro. È una commedia che, come tutte le opere che non si prefiggono come fine unico il puro intrattenimento, cerca (invano) di trovare un senso alla nostra presenza su questo pianeta. Lo spettacolo affronta il tema del tempo e di come la malattia ne modifichi la percezione. E lo fa con un tono leggero, l’unico adatto ad affrontare certi argomenti. Mia e Lucio si conoscono un pomeriggio nel reparto di oncologia dell’ospedale locale. Hanno rispettivamente 37 e 40 anni. E se non fosse che sono entrambi terrorizzati dall’idea di morire, si accorgerebbero subito che non si tratta di un incontro qualunque. Ma come si fa a riconoscere la vita mentre si sta guardando in faccia la morte? Ed e possibile immaginare un futuro se non si è sicuri di averlo? Bianco parte dalla condivisone di un percorso delicato e complesso per raccontare l’incontro tra due anime che, per potersi afferrare, devono prima di tutto riuscire a restare attaccate ai propri corpi.
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