Recensioni Si chiude con la saggezza di "Lisistrata", incarnata da Lella Costa, elegante manovratrice dei destini altrui, la 60a stagione classica dell’Inda di Siracusa, incentrata sul tema de “Una sola passione”, dove la pace è per l'eroina ateniese bene irrinunciabile tanto da pretendere dalle donne lo sciopero del sesso pur di smetterla con le guerre. La regista Serena Sinigaglia tratta la commedia di Aristofane con rispetto cercando nel divertente confronto fra uomini e donne di salvare la "grammatica dell'amore", unico baluardo contro la forza bruta
La commedia nasce nel teatro greco antico come un corteo di festa per ingraziarsi gli dei. E il corteo della variopinta compagnia di attori che metteranno in scena la “Lisistrata” di Aristofane al Teatro greco di Siracusa valica i confini dell’orchestra e accoglie, per ingraziarselo, il pubblico che affollerà gli spalti. Non c’è rappresentazione scenica, dopo tutto, senza un pubblico complice e parte in causa, Pirandello docet… C’è qualcuno che addirittura fino all’ultimo si fa intervistare, anche il giornalista vuole la sua parte… Bene, le premesse ci sono. Diamo un occhio alla scena: ordito e trama, ordito e trama, ordito e trama… Nella struttura tipica del lavoro femminile al telaio, universale ai tempi della Grecia antica, si nasconde lo schema di “battaglia” che in “lungo ed in largo” le donne ateniesi e spartane, prima, e di tutta la Grecia antica, poi, stanno per mettere in campo per arginare la stupidità maschile per eccellenza: quella della guerra.

Lella Costa è Lisistrata, foto Maria Pia Ballarino
Dal 13 giugno è tornata “Lisistrata” al Teatro greco di Siracusa, sei anni dopo la versione confusionaria e caciarona di Tullio Solenghi che riuscì a mettere addirittura in ombra una maestra del palcoscenico come Elisabetta Pozzi, che proprio ieri ha ricevuto l’Eschilo d’oro dall’Inda. Questa volta il testo di Aristofane sulle donne e per le donne è in mano ad una donna, la regista milanese Serena Sinigaglia, che cerca, a modo suo, di dar voce non tanto alla stagione delle rivendicazioni in rosa del femminismo – stagione ovviamente ormai consegnata alla storia – ma a quel “sesto senso” che solo le donne hanno, o almeno alcune di loro, e che ben utilizzato è alla base del soft power più incisivo e influente che ci sia.

Lella Costa (Lisistrata), Cristina Parku (Mirrine), Marta Pizzigallo (Calonice), Beatrice Verzotti (donna corinzia), Didi Garbaccio Bogin (donna beota), Simone Pietro Causa (Lampitò), foto Maria Pia Ballarino
Si chiude con la saggezza di Lisistrata, incarnata da una Lella Costa mai sopra le righe, elegante manovratrice dei destini altrui al centro della scena ben concepita da Maria Spazi, la sessantesima stagione classica dell’Istituto nazionale del dramma antico, incentrata sul tema de “Una sola passione”, quell’assolutezza degli ideali che hanno spaziato dalla “vendetta sopra ogni cosa” di Elettra, alla morte in esilio come redenzione eterna di Edipo, alla pace come bene irrinunciabile di Lisistrata.
E se uno cerca la pace, 2600 anni fa (“Lisitrata” fu scritta nel 411 a.C. nel pieno della seconda guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta) come oggi – la questione, seppur narrata con il racconto della commedia, si fa seria, molto seria. Ecco perché Lella Costa, se può sembrare a primo ascolto sotto tono, è invece solenne come una sacerdotessa, anche perché il personaggio di Lisistrata nasce proprio da quello di Lisimaca, ovvero “Colei che scioglie le guerre”, sacerdotessa del tempio di Atena Poliade sull’Acropoli. Nella commedia Aristofane la fa diventare Lisitrata, colei che scioglie gli eserciti con lo stratagemma dello sciopero del sesso in cui riesce a coagulare le donne di tutta la Grecia antica.

Il giuramento delle donne, foto Maria Pia Ballarino
E in questa sua elegante sacralità da sacerdotessa magnificata dalla tunica arancione che fa parte dello studiato ed efficace corredo di costumi di Gianluca Sbicca (forse il più bravo dei tre costumisti di quest’anno), Costa/Lisistrata, senza ovviamente apparire volgare, pronuncia in maniera asciutta e senza tema la necessità per le donne di rinunciare al… cazzo, pur di costringere gli uomini a smetterla con la guerra. Il fine, dopo tutto, giustifica i mezzi, questa è la real politik delle donne dell’Antica Grecia, non c’è malvagità di pensiero… Complice di tanto piano “rivoluzionario”, ride con contegno alla battuta il pubblico, che si fa ammaliare comunque dalla allegra combriccola delle donne ateniesi, spartane, beote e corinzie, sulle quali spiccano Marta Pizzigallo, che esterna bene in volto e parola l’eccessiva Calonice, Cristina Parku, che ha tutta la carica giovanile della incontenibile Mirrine, e Simone Pietro Causa che è la spartana Lampitò in versione drag queen («più donna di tante donne», viene definita da Lisistrata), perché per Sinigaglia la “grammatica dell’amore” fra uomo e donna, unico modo per non cedere alla violenza della guerra, appartiene a tutti noi, al di là del nostro essere uomini e donne e del nostro corpo di nascita. Tra le donne in sciopero di sesso sono ottime caratteriste Beatrice Verzotti (donna corinzia) e Didi Garbaccio Bogin (donna beota).
E in senso opposto la smania di dominio che porta alla guerra, per Sinigaglia, è apparentemente solo una questione di uomini ma abbraccia anche quel lato femmineo latente in ogni uomo come dimostra il divertente personaggio “gaio” del Commissario, un ottimo Aldo Ottobrino, il quale da maschilista professionista non riesce a pronunciare la parola “donne”, sostituendola con un comico conato di vomito, ma viene scoperto in guêpière e lingerie femminile dalle scalmanate donne arroccate nell’Acropoli ateniese. Sinigaglia, aiutata dalla agile e mai sboccata traduzione di Nicola Cadoni, spinge il ritmo della commedia e mette in bocca alle donne in sciopero d’amore gli slogan politici del Novecento più battagliero, dal “¡No pasarán!” degli antifascisti della guerra civile spagnola al “Non è che l’inizio, andiamo alla lotta” chiaro omaggio al sessantottino “Ce n’est qu’un debut, continuons le combat” del maggio studentesco francese.
Nel gioco continuo di rimandi storici tra classicità e contemporaneo, la regista mette in scena tutto il registro grottesco della commedia e colloca i due semicori dei vecchi e delle vecchie nel Settecento, dove gli uomini – Marco Brinzi (Dracete), Stefano Orlandi (Strimidoro), Francesco Migliaccio (Filurgo) – sono divertentissimi strenui “difensori da ospizio” di un ancien regime del maschilismo patriarcale puro mentre le donne – Pilar Perez Aspa (Stratillide), Giorgia Senesi (Nicodice), Irene Serini (Rodippe) – ribattono con tanto di erre moscia e “aggressività” di femme fatale senza tempo. Qui la commedia si stiracchia un po’ e i tempi si allungano un po’ troppo, una maggiore sintesi favorirebbe lo scorrere del plot narrativo.

I due semi cori dei vecchi e delle vecchie, foto di Maria Pia Ballarino
La “Lisistrata” di Serena Sinigaglia e Lella Costa (le due lavorano insieme alla direzione artistica del teatro Carcano di Milano), gode delle ottime coreografie di Alessio Maria Romano e delle belle musiche di Filippo Del Corno (finalmente un po’ di musica nella stagione delle tragedie dominate dalla parola assoluta) che riesce – tra atmosfere folk, canti sacri ed un’incursione nel pop più urbano – a rendere il carattere fiabesco di tutta la storia. E’ molto bello il movimento coreutico della filatura – “ordito e trama per avere un mantello per il popolo, se un filo si ingarbuglia lo sbrogliamo con pazienza” -, è piena di fascino Giulia Quacqueri che incarna in danza la Pace. “Pace, ci sei? Rivelati a noi” la chiama con voce ferma Lisitrata. E Pace si rivela prendendo per mano gli ambasciatori di Atene e Sparta, dalle vistose fallocrazie non espresse, danzando il lieto fine della commedia. «Cercheremo di muovere il coro – dice il coreografo Alessio Maria Romano – specificando come certo mondo danzato può ricordare, da sempre, l’adesione a determinati stereotipi sociali come a bisogni di gioco, sfogo e divertimento ma anche di corteggiamento e seduzione. Cercheremo la nostra danza o meglio il bisogno, al di là del verbo, di urlare al mondo, ai potenti, alle donne e agli uomini tutti la nostra esistenza e il nostro desiderio e sfrenato bisogno di Pace».

Giulia Quacqueri è Pace, foto Maria Pia Ballarino
«Cantiamo la Pace, cantiamo la sua vittoria – declama Lisistrata a fine spettacolo – e per favore, per il futuro, cerchiamo di non fare sempre gli stessi errori». «Il paradosso di Aristofane, a distanza di secoli, mi appare tutt’altro che un paradosso» sentenzia la regista Sinigaglia. Può darsi, ma come in tutte le fiabe a lieto fine che si rispettino, nasce urgente una riflessione morale: quanto ci manca una Lisistrata oggi in un panorama internazionale dominato da troppi stupidi uomini guerrafondai (da Putin a Netanyahu abbiamo solo l’imbarazzo della scelta). Dacci oggi la nostra Lisitrata quotidiana, linfa essenziale per la vita di tutti giorni. E quante Lisistrata sarebbero necessarie all’interno degli eserciti, a cominciare da quello israeliano (dove sono tante anche le donne in divisa) ormai abituato cinicamente ad uccidere donne e bambini a Gaza manco fossero tutti complici dei soldati di Hamas. «L’elogio dell’erezione non si può più sentire» dice in scena Lella Costa/Lisitrata, ma nell’era dei “cazzi confusi” al potere (uno su tutti Trump), anche lo sciopero del sesso oggi rischierebbe di fallire il suo obiettivo.

La scena finale dello spettacolo, foto Maria Pia Ballarino
Alla fine il pubblico del Teatro greco, ben affollato anche se non pieno per la prima, ha applaudito a scena aperta Lella Costa e tutto il cast dello spettacolo, compresi allieve e allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico, sezione Giusto Monaco. “Lisistrata” resterà in scena fino al 27 giugno alternandosi con “Edipo a Colono” di Sofocle per la regia di Robert Carsen per poi andare in tournée al Teatro Grande di Pompei dal 18 al 20 luglio e al Teatro Romano di Verona l’11 e il 12 settembre.
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