L'albero proveniente dall'Himalaya quando è tutto fiorito muore. Non perché decadente, ma perché ha raggiunto la pienezza della vita. Così la nonna Seby, come si faceva sportivamente chiamare da noi nipoti, che lascia un grande albero in fiore, tutti quei nipoti che ha cresciuto di semplicità e genuinità, di autenticità materna, di spartana dolcezza e carezze nodose
Nei pressi di Latina, a Ninfa, c’è un orto botanico. Al suo interno, si trova una pianta straordinaria, la magnolia Campbellii: è un albero raro, proveniente dall’Himalaya. Man mano che cresce, i suoi rami si dispongono a raggiera, formando una serie concentrica di anelli, che si sviluppano in successione: dal più largo, alla base, fino al più piccolo, al vertice. Solo dopo molti anni, quando tutte queste “corone” si sono completate, l’albero comincia a fiorire. Inizia dall’anello più in basso, al quale si aggiunge, ogni anno, l’anello successivo. Quando è tutto fiorito, l’albero muore. Muore non perché decadente, ma perché ha raggiunto la pienezza della vita.
Siamo certe che Seby continuerà a tenerci d’occhio da lassù, vicina ad Agata - la sua Santa preferita - e alla sua bambina persa presto.
Pensandoci, di nonna prima che fosse nonna conosciamo in realtà pochissimo, e di nonna da quando era nonna, sappiamo che la famiglia era lei.
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Pubblicato il 27 novembre 2018
Sono nata nel posto più bello del mondo. Correva l’anno della mucca pazza e del primo virus informatico. Era l’anno di Chernobyl, e nonostante i duemila chilometri che separavano la Russia dalla Sicilia, mia madre non beveva latte né mangiava verdure. A dispetto di ciò, sono cresciuta e pure parecchio.
Ho vissuto a Riposto e poi a Giarre, accoccolata tra mar Jonio e la montagna, l’Etna. Tra il muretto di Torre Archirafi e le foglie di limone di casa in campagna. Mi è sempre piaciuto leggere, poi scrivere. Mi sono laureata in Lettere moderne a Catania.
Ho la fortuna di vivere facendo il mestiere forse più inutile che la mente umana potesse concepire, ma io lo trovo stupendo, come con certi fidanzati stranamente irresistibili. Quindi per comprare il pane (e le scatolette per il mio adorato Momò, un felino malaticcio raccattato per strada che mantengo negli agi) lavoro come giornalista. Faccio e mi faccio un sacco di domande. Parlo tanto, qualcuno dice troppo. Mi piacciono: l’autunno con i suoi viali alberati, le chiacchiere sul mio divano, le cassatelle di Agira.
Non vivo più nel posto più bello del mondo, ma per cercare di farmela piacere raccontano che sia eterna, questa città. Di bello, lo possiamo dire, c’è che Roma è piena di siciliani.
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