Sugnu Sicilianu Lo studioso di fotoni e nanotecnologie, da cinque anni presidente della Scuola Superiore di alta formazione dell'Università di Catania e tra i pionieri della "fotonica in silicio", spiega come la città etnea, grazie a una intensa collaborazione tra pubblico e privato, sia diventata un'eccellenza per gli studi e la ricerca scientifica, riuscendo a battere persino gli americani
«Amo la scienza, amo Catania ed ho voluto realizzare sotto l’Etna i miei sogni ed i miei progetti. Sono andato all’estero per completare la mia formazione in Fisica ma sono tornato qui, dove ho studiato dalle elementari all’Università. Ed ho avuto ottimi maestri. Al Sud è tutto più difficile ma la soddisfazione per i risultati ottenuti è più grande. E Catania è un luogo di eccellenza per gli studi e la ricerca nella Fisica. Il mio messaggio è controcorrente: a Catania si può…».
E’ un fiume in piena il professore Francesco Priolo, autorevole studioso di Fisica e presidente della Scuola Superiore di alta formazione dell’università di Catania. Come un vulcano in attività trasmette continuamente conoscenza e lo fa con spirito divulgativo. Conosce il valore alto dell’informazione ed in questo ampio dialogo non si sottrae ad alcuna domanda. Racconta e si racconta. E compie assieme a noi anche un viaggio nell’affascinante mondo della Fisica della materia, della microelettronica, delle nanotecnologie. Ambiti della scienza che toccano la vita di ognuno di noi, ogni strumento di alta tecnologia che fa parte del modo di vivere contemporaneo funziona grazie alla microelettronica. Senza la rivoluzione della meccanica quantistica il nostro mondo attuale sarebbe diverso. Per meglio comprendere la dinamicità e la vastità di interessi culturali e sociali del protagonista della nostra intervista, è opportuno ricordare che Priolo, oltre ad essere professore ordinario di Fisica della Materia –insegna Struttura della Materia presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia-, è anche il presidente del Distretto Tecnologico Sicilia Micro e Nanosistemi, fa parte anche del prestigioso European Research Council ed è Fellow della European Academy of Sciences. I suoi principali campi di ricerca riguardano le nanotecnologie e i materiali per l’elettronica, la fotonica, ed il fotovoltaico. In questi campi è autore di oltre 350 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali. Da cinque anni è Presidente della Scuola Superiore di Catania per la formazione di eccellenza.
Come è nato il suo amore per la Fisica?
«E’ un amore che è nato in me sin da quando ero bambino. Non sono stato fra quei ragazzi di Liceo che non sapevano cosa avrebbero fatto in seguito. Già dal terzo anno sapevo che avrei studiato Fisica. E la cosa curiosa è che non sono stati i miei docenti del Liceo a farmi nascere questa passione, ma un maestro delle elementari. Sicuramente vi è una mia predisposizione genetica per la matematica e la fisica, ma quel maestro mi fece conoscere in maniera affascinante il mondo della scienza».
Qual è il suo rapporto con Catania?
«Sono un catanese purosangue, ed ho studiato qui a Catania. Ho frequentato lo storico Liceo Scientifico Galileo Galilei. Ho studiato Fisica all’università di Catania, ottimo corso di laurea ed ottimi docenti. Catania è uno dei poli più importanti della Fisica a livello internazionale e non solo a livello nazionale. Nella mia formazione è stato anche importante un periodo di ricerca negli Stati Uniti nei Laboratori Bell. I Laboratori Bell non sono laboratori universitari ma industriali. E’ stata una esperienza straordinaria, la multinazionale che li finanziava investendo in ricerca guardava ai risultati, non vi era un cartellino da timbrare, non vi era un orario, contava solo il merito. Vi era solo un controllo annuale sulla produttività. Un luogo che ha attratto molti premi Nobel. Parecchi futuri premi Nobel sono giunti a tale prestigioso risultato grazie al lavoro scientifico svolto nei Laboratori Bell. Un ambiente molto concorrenziale, di alta qualità e libero».
Può delineare ai lettori la sua specializzazione?
«Sono un fisico sperimentale, la mia specializzazione è in nanotecnologie e studio della materia».
Cosa risponde a coloro che mettono in contrapposizione fisici teorici e sperimentali?
«Non esiste una divisione fra Fisica teorica e sperimentale, vi è una sinergia fra studi teorici e sperimentali. Certamente vi sono delle differenze nei metodi ma è sbagliata la rappresentazione dicotomica che ne danno alcuni e che è diventata uno stereotipo. Vi è un continuo confronto e dialogo. I teorici non potrebbero lavorare senza gli sperimentali che dimostrano che le cose sono vere, come funziona il mondo e gli sperimentali non potrebbero lavorare senza i teorici che riescono ad interpretare in maniera completa i dati. Vi è una sinergia continua».
Quando ha deciso di tornare in Sicilia?
«Dopo l’esperienza ai Laboratori Bell, nonostante le sirene per restate negli Stati Uniti, sono tornato a Catania. Ho scelto di tornare a Catania e costruire qui. Nel Sud tutto è più difficile, tutto costa una fatica doppia ma proprio per questo la soddisfazione per l’ottenimento dei risultati è più grande. E si riesce a dimostrare che quando si lavora bene e si creano le giuste sinergie questa terra non è affatto periferica, anzi proprio grazie ad idee e realizzazioni concrete di progetti importanti diventa un luogo centrale. Grazie ai collegamenti che esistono, non solo internet e le altre tecnologie, non solo gli aerei ma anche le personalità che sanno creare reti intellettuali, professionali ed umane, una periferia può essere centrale a livello culturale».
Un impegno sul piano della internazionalizzazione…
«Proprio così. Su questo ho lavorato molto, avendo le mie radici in un gruppo di ricerca con punto di riferimento in Emanuele Rimini che è stato il mio maestro ed è il mio maestro (oggi è professore emerito presso l’università di Catania). Il professor Rimini aveva creato un gruppo già internazionalizzato, e questi contatti io li ho mantenuti ed ampliati. Dunque, un’ottica di internazionalizzazione sulla quale continuo a lavorare con tenacia. Debbo anche riconoscere a Rimini un rapporto pionieristico che lui ha messo in atto tra accademia ed industria, che io ho proseguito. Qui a Catania i rapporti fra università, i centri di ricerca, CNR in particolare, e la grande industria microelettronica, parlo della STMicroelectronics e tutto l’indotto che ruota attorno a questa realtà industriale, sono stati avviati da persone lungimiranti, fra questi Emanuele Rimini e Pasquale Pistorio. Questa sinergia ha portato ad importanti risultati che ancora oggi vediamo. Nulla nasce dal nulla, servono le buone scuole e le sinergie innovative. La realtà innovativa del modello Catania ha le sue scaturigini nel fatto che dei laboratori pubblici sono stati messi dentro una industria, già dai primi anni ’90, una collaborazione così intensa tra pubblico e privato è stato un modello a livello italiano ed internazionale».
Quanto è stata ed è importante la presenza della STMicrolectronics a Catania?
«E’ di grande importanza, rappresenta una delle avanguardie della microelettronica a livello internazionale, con una notevole ricaduta positivo per il territorio».
Paolo Sylos-Labini propose sul “Sole 24 Ore” l’esempio di Catania nella microelettronica e nell’alta tecnologia e l’interazione pubblico-privato che qui si è realizzata a partire dagli anni ’90 come modello di sviluppo per tutto il Sud d’Italia. Condivide?
«Così è stato e cosi è. A Catania vi è una sinergia molto forte fra industria, gruppi del CNR, l’università, l’ Istituto di Fisica Nucleare (che ha i laboratori nazionali del Sud, fra i più importanti d’Italia). Vi è l’Osservatorio di Astrofisica dell’INAF, vi è l’INGV. Vi è un insieme di alto livello nelle varie branche del sapere scientifico. Un sistema ricerca che vede eccellenze nei diversi campi, vede eccellenze nella fisica delle particelle elementari, vi sono gruppi di catanesi che hanno partecipato alla grandi collaborazioni del Cern, anche alle ricerche che hanno portato alla scoperta della particella di Higgs. Catania c’è. La fisica nucleare a Catania ha una grande storia, ma anche la fisica applicata alla sanità. Parlo con orgoglio dei vari settori della Fisica -anche quelli diversi dal mio ambito- e di altre scienze, perché mi piace e ritengo giusto mettere in evidenza il lavoro dei miei colleghi».
Approfondiamo il suo ambito…
«Mi occupo di fotonica e nanotecnologia, una branca della fisica, della scienza dei materiali. La nanotecnologia la definirei in maniera divulgativa come un gioco del Lego con gli atomi. Sostanzialmente osservare e manipolare gli atomi, atomo per atomo, per andare a fabbricare e studiare le proprietà di un nano-mondo, di un piccolo mondo in miniatura dove i mattoncini sono i singoli atomi. E’ la capacità di manipolare i singoli atomi per costruire qualcosa che non c’è con delle proprietà totalmente nuove ed una maniera di muoversi e relazionarsi con un mondo che ha leggi diverse, perché è una dimensione regolata dalla meccanica quantistica. Spesso faccio questo in collaborazione di un altro campo di cui mi occupo, quello della fotonica. La fotonica è il campo della manipolazione dei fotoni, dei quanti di luce. Sono dei campi che hanno delle applicazioni enormi. Inoltre questa branca della fisica è fondamentale per costruire i chip che servono nella fisica nucleare da ‘rivelatori’. Sono strettamente connesse, la fisica è unica, alla fine si lega tutto. Mi occupo di una branca della fisica ma la amo tutta».
Ci può parlare di una delle sue ricerche più importanti?
«Nell’ambito della fotonica, sono stato a Catania, non da solo ma con tutto il mio gruppo, tra i pionieri di una branca che si chiama ‘fotonica in silicio’. Il silicio è il materiale principe della microelettronica, tutti i chip sono realizzati in silicio. Il silicio è un semiconduttore, il nome non è bello ma si tratta di un materiale stupendo; il nome viene dal fatto che quando fu scoperta questa classe di materiale era un po’ ibrida, a volte conduceva a volte no. Poi si è capito grazie alla meccanica quantistica che è una classe di materiale straordinaria, perché conduce o non conduce ma solo quando lo dico io, quindi si può controllare la conduzione. Si tratta di un materiale che ha delle proprietà fantastiche. Il silicio però ha un problema, non è un buon emettitore di luce questa cosa la fa malissimo. Infatti i laser non si fanno con il silicio ma con altri materiali. Allora la sfida è legare microelettronica e fotonica. La fotonica in Silicio cerca di legare queste due cose, fare in modo che queste due ambiti possono essere legati, e fare in modo che nei chip possano viaggiare dei raggi di luce. Ed i raggi di luce sono molto importanti perché portano informazione, basti pensare alle fibre ottiche, internet c’è grazie ai segnali che viaggiano sulle fibre da una parte all’altra dell’ Oceano. Comunichiamo grazie ad esse in maniera molto veloce. Legare questa branca con la microelettronica significa avere una nuova rivoluzione tecnologica, che riesce ad aumentare le potenzialità, uno più uno non farebbe due ma molto di più».
Può fare un esempio?
«All’interno di un chip di microelettronica vi sono miliardi di transistor, i quali parlano tra loro attraverso delle napo-piste che non debbono mai incrociarsi perché debbono contattarli tutti fra di loro senza entrare in cortocircuito. Tutte queste piste, sembra incredibile ma è così, sono lunghe molti chilometri, il tutto in un microchip di un centimetro quadro. Queste piste diventano caldissime e vi è un ritardo nel segnale per i chilometri che il messaggio deve percorrere. Se potessi fare la stessa cosa tramite un segnale luminoso, un fotone, non avrei più alcun problema. Se potessi mandare fra i chip un segnale luminoso che viaggia alla velocità della luce, tutto sarebbe più veloce e non vi sarebbe il problema del surriscaldamento. Avremmo chip molto più potenti e più veloci. Bisogna far si che il silicio diventi un buon emettitore di luce e questo noi l’abbiamo fatto riducendo il silicio a dimensioni nanometriche, del miliardesimo di metro. In queste condizioni si creano dei punti quantici o fili quantici, i quali hanno delle proprietà completamente diverse ed emettono luce. In questo campo a proposito delle nostre scoperte a Catania, abbiamo battuto gli americani, con una pubblicazione su Nature già nel lontano 2000, e sostanzialmente si è aperto un campo».
La scoperta ebbe un forte impatto mediatico a livello internazionale.
«Il giorno dopo la pubblicazione sulla prestigiosa rivista uscì un articolo sul Financial Times, ed ancora sul New York Times. Il numero successivo dell’Economist riportava questo risultato. La prospettiva a lungo termine era particolarmente importante. E’ nata da una collaborazione tra l’ateneo di Catania e quello di Trento. E nel 2001 mi arrivò una telefonata che mi annunciava che il presidente Ciampi mi aveva nominato cavaliere del lavoro. Il presidente Ciampi, avvertito dai suoi collaboratori, aveva motu proprio ed in maniera patriottica premiato me ed il mio collega dell’università di Trento Lorenzo Pavesi, cavalieri della Repubblica in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno».
Qual è stata la ricaduta a livello industriale della vostra scoperta?
«Intel ha creato un gruppo di fotonica in Silicio, in STMicroelectronics -nello stabilimento di Agrate-esiste un gruppo puntato sulla ricerca in fotonica in Silicio. Certo prima di passare alla parte dell’applicazione pratica di tempo ne passa, ma oggi le principali industrie hanno dei gruppi interni che lavorano su questo ambito. Questa ricerca prosegue. Se noi vogliamo parlare di altre possibili applicazioni delle nanotecnologie, mi sto occupando con il Cnr -in particolare la sede di Messina- di utilizzare i nanofili di silicio come sensori. Questa è una cosa importante, perché questi nanofili emettono luce, emettono fotoni, ed è possibile ancorare lì delle proteine e non solo. Nel momento in cui si ancorano selettivamente queste proteine i nanofili non emettono più. Questo apre uno spazio enorme in diversi settori della sanità. Per l’applicazione passerà parecchio tempo, vi deve essere la sperimentazione clinica. Ma noi stiamo ponendo le basi, dimostrando che è possibile creare dei nanosensori applicati alla sanità, alla prevenzione degli infarti, ed in altri ambiti ancora».
Qual è l’importanza del Distretto Tecnologico?
«Il Distretto Tecnologico Sicilia mette assieme pubblico e privato. Vi sono le tre università pubbliche siciliane, l’Istituto nazionale di astrofisica, un partenariato di importanti imprese, fra le quali St, Sifi, Ismett, Ibm , Italtel e mi fermo qui perché non vi è lo spazio per elencarle tutte. Un aggregato di partner pubblici e privati che lavorano in sinergia per far in modo che si faccia massa critica sul territorio per procedere verso importanti obiettivi comuni. E si possa riuscire a realizzare ricerche, applicazione ed innovazioni nel pubblico che siano di interesse per il privato. Si tratta di ricadute importanti per il mondo del lavoro. Stiamo portando avanti progetti di livello europeo».
Cosa rappresenta per la Sicilia ed il Sud la Scuola Superiore di eccellenza di Catania?
«La Scuola Superiore, centro di alta formazione dell’università di Catania, quest’anno celebra i 20 anni, la fondò con scelta lungimirante il rettore Rizzarelli, ne fu il primo direttore il mio mastro Rimini. Venti anni di storia che dimostrano che anche qui al Sud, quando ci si mette con impegno tenace e vision corretta, si possono realizzare cose di grande importanza. Nel Sud non esistono altre realtà come queste, eccezion fatta per quella di Lecce, di sicuro quella di Catania è la più importante del Mezzogiorno. Ed è competitiva a livello nazionale, abbiamo una collaborazione con la Normale di Pisa, con scambi di studenti, a livello paritetico, seguono dei corsi di 6 mesi. La stessa cosa avviene con il Sant’Anna, medesima procedura stiamo per fare con altre scuole superiori italiane. Ed è un grande ascensore sociale, si entra in questa scuola solo grazie al merito e vi si rimane solo grazie al merito. I criteri per entrare sono quelli di essere dei ragazzi che hanno superato l’esame di maturità massimo da un anno, di non aver frequentato nessuna università, di essere dei think different, di avere spirito critico sia nella parte scientifica sia in quella umanistica, per poter emergere. Non basta aver studiato molto, ma bisogna saper pensare criticamente».
Come funziona il vostro concorso di ammissione?
«Al nostro concorso di ammissione partecipano 250-300 ragazze e ragazzi molto preparati, ne entrano 20. La struttura del concorso è simile a quella della Normale di Pisa, la commissione è fatta di membri esterni e di alto profilo, deve essere totalmente terza anche rispetto al territorio. In maniera tale che non solo non vi siano pressioni ambientali ma che vi sia anche la chiara percezione all’esterno che tali pressioni sono incompatibili con una scuola fondata sul merito. La nostra è una scuola dove conta solo il merito. Le nostre prove scritte sono a livello universitario. Prove vere, non sono dei quiz. Le nostre prove per essere superate hanno bisogno di conoscenze e soprattutto della capacità di saper ragionare. Stessa cosa per la prova orale»
Il voto di maturità è un vincolo?
«Non è un parametro né viene detto alla commissione (anche se noi abbiamo tutti i documenti) il voto di maturità. La nostra è una selezione assolutamente meritocratica. Le nostre statistiche ci dicono che i media due su 20 che superano il concorso non avevano ottenuto il massimo voto al Liceo ma hanno sbaragliato altre centinaia di ragazzi che avevano ottenuto cento e cento e lode. In totale abbiamo 100 studenti per 5 anni. Vi sono anche ragazze e ragazzi non siciliani. Vi sono presenze di ragazzi del Centro-Sud, vorremmo ampliarci nel Meridione. Tanti ragazzi siciliani partecipano al concorso della scuola, dopo che si erano iscritti in università del Nord, e poi restano a Catania grazie alla scuola superiore di eccellenza. I ragazzi debbono mantenersi in regola con i corsi ed avere una media superiore al 27, altrimenti ci debbono salutare. Oltre ai corsi standard seguono anche i nostri laboratori specifici, ne cito alcuni: dai big data al teatro, dallo storytelling al diritto. C’è un anche un laboratorio di digital marketing».
Chi sono i docenti?
«I corsi sono tenuti per metà da docenti della nostra università e per metà da docenti esterni -non solo professori universitari, ma persone affermate nella loro professione, da alti magistrati ad ingegneri della Ferrari solo per fare degli esempi-. La nostra scuola è legata al mondo del lavoro. Vengono molti docenti stranieri a fare dei corsi, professori delle università più prestigiose del mondo. Abbiamo avuto anche premi Nobel che hanno tenuto lezioni e conferenze. L’inglese è obbligatorio. Noi forniamo un corso in inglese, così i nostri allievi possono imparare la lingua e padroneggiarla a livelli alti»
Quali sono i rapporti con i vostri ex allievi?
«Ottimi. Un nostro ex allievo, Marco Pavone, si trova all’università di Stanford, è un ingegnere ed insegna robotica. E’ stato premiato da Obama. Abbiamo ex allievi a Cambridge, ad Oxford. Gli ex allievi hanno formato una associazione e collaborano con la scuola. Molti nostri studenti hanno creato diverse start-up. I nostri allievi sin dal primo anno entrano in contatto con una dimensione internazionale. Per essere centrali bisogna aprirsi, la Scuola Superiore lo fa bene e può diventare un modello che si irradia in tutta l’università di Catania. Bisogna saper fare squadra e fare massima critica. Sui cervelli in fuga sfatiamo i luoghi comuni. I giovani che studiano fuori non sono cervelli in fuga, ritengo centrale per i giovani andare a fare formazione altrove, non perché è necessariamente meglio, ma per consentirgli di avere una visione più ampia ed anche per poter apprezzare le eccellenze che abbiamo qui. Uscire fuori è importante per crescere. Il nodo cruciale è creare le occasioni affinché possano tornare dopo aver fatto formazione. Tutti i miei studenti li mando a fare formazione fuori. Non tutti possono tornare, ma che alcuni dei migliori tornino e possano realizzare cose importanti è la vera sfida. Nel Sud è tutto più difficile ma si può…».
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